Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20584 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 31/07/2019, (ud. 30/04/2019, dep. 31/07/2019), n.20584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15631-2017 proposto da:

DELTAMEDIA ARTIGRAFICHE SRL, in persona del rappresentante pro

tempore, GUERRA EMILIANO, GOLOTTA RAFFAELLA, VALERIANI LUCIA, DE

ANGELIS GUIDO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIOVANNI

BETTOLO 17, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO PENZAVALLI, che

li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

BANCA IFIS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI ANTONIO PLANA, 4,

presso lo studio dell’avvocato GABRIELE MARIA PANINI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

BANCA POPOLARE DI BARI – SOC. COOP. PER AZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1329/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 12/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 30/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Deltamedia Artigrafiche s.r.l., Guerra Emiliano, Valeriani Lucia, De Angelis Guido e Golotta Raffaella proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo con cui era stato loro intimato il pagamento della somma di Euro 9.229,88: importo – questo – che l’ingiungente Tercas s.p.a. aveva preteso in forza di un contratto di conto corrente assistito da apertura di credito, il cui saldo era a debito, e di un’anticipazione bancaria su fattura rimasta insoluta.

Il Tribunale di Teramo respingeva l’opposizione.

2. Il proposto gravame era poi rigettato dalla Corte di appello di L’Aquila con sentenza pubblicata il 16 dicembre 2016.

3. – Contro quest’ultima pronuncia Deltamedia, Guerra, Valeriani, De Angelis e Golotta ricorrono per cassazione: lo fanno con una impugnazione articolata in cinque motivi. Resiste Locam s.p.a., resasi cessionaria dei crediti azionati. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 2702,2719,2697 c.c., degli artt. 115,116,183,216 e 217c.p.c., dell’art. 72 ss. e dell’art. 87 disp. att. c.p.c.. Viene lamentato che la parte opposta, attrice in senso sostanziale, aveva omesso di depositare, entro i termini di cui all’art. 183 c.p.c., sia il proprio fascicolo di parte relativo alla fase monitoria, sia gli originali delle scritture private oggetto di disconoscimento. E’ osservato, con particolare riguardo alla produzione degli originali, che, venendo in questione una prova precostituita, l’attività in questione non poteva non soggiacere alle preclusioni istruttorie previste dal cit. art. 183.

Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 115,116 e 183 c.p.c.. Con riferimento alle stesse scritture di cui al primo motivo è dedotto che il giudice di prime cure non potesse autorizzarne il deposito una volta che era scaduto il termine di legge che regolava la produzioni dei documenti: l’acquisizione al processo degli scritti in questione avrebbe quindi implicato l’esercizio, da parte del giudice, di un inesistente potere officioso in ordine all’assolvimento dell’onere della prova, e ciò in contrasto col principio dispositivo che informa il processo civile.

I due motivi possono esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione e sono infondati.

Ricordano i ricorrenti (pag. 5 del ricorso) che, nel mentre l’ultimo dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, ebbe a scadere il 17 giugno 2011, il fascicolo relativo alla fase monitoria venne depositato l’8 luglio 2011 e che il 17 novembre 2011 furono prodotti gli originali dei contratti la cui sottoscrizione era stata disconosciuta.

Che il fascicolo monitorio sia stato depositato dopo la scadenza dei termini assegnati dal giudice dell’opposizione per la produzione dei documenti è privo di rilevanza. Come rilevato dalle Sezioni Unite, i documenti prodotti in allegato alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte (quanto meno) sino alla scadenza del termine per proporre opposizione (in base a quanto disposto dall’art. 638 c.p.c., comma 3), e quindi esposti al contraddittorio delle parti, non possono essere qualificati nuovi nei successivi sviluppi del processo: pertanto, “un’interpretazione restrittiva escluda, in caso di giudizio di primo grado bifasico, documenti prodotti nella prima fase e non riprodotti nell’opposizione, comporterebbe una modifica del contenuto della norma non consentita all’interprete” (così, in motivazione, Cass. Sez. U. 10 luglio 2015, n. 14475). In tal senso, non può considerarsi inammissibile la produzione dei detti scritti che si attui a seguite) dello spirare dei termini assegnati dal giudice per le produzioni documentali (cfr., con riferimento ai termini di cui al modificato art. 184 c.p.c., Cass. 4 aprile 2017, n. 8693).

Non dissimili considerazioni impone l’esame del profilo che attiene alla produzione dell’originale delle scritture private disconosciute. Impropriamente, infatti, i ricorrenti assumono che la produzione degli originali degli scritti in questione soggiacesse ai termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6. E’ da ritenere, in proposito, che la banca abbia assolto al proprio onere probatorio con la tempestiva produzione della copia dei detti scritti (copia nemmeno contestata quanto alla conformità all’originale, come sottolineato dalla Corte di appello: pag. 4 della sentenza impugnata): e nella specie pare pacifico – dal momento che sul punto non è agitata alcuna questione – che le copie dei contratti conclusi fossero state allegate al ricorso per ingiunzione e appartenessero, quindi, al giudizio, fin dalla fase monitoria. Non può opinarsi, nemmeno in questo caso, che si sia in presenza di documenti diversi rispetto a quelli già acquisiti al processo: la copia di un documento altro non è che la riproduzione dell’originale del medesimo scritto e tale riproduzione tiene luogo dell’originale in assenza del disconoscimento della conformità (art. 2719 c.c.); soltanto se si guarda a tale equivalenza deve escludersi che la produzione dell’originale, preceduta da tempestiva produzione della copia conforme, sia tardiva perchè non attuata nei termini di cui all’art. 183 c.p.c.. Questa Corte ha del resto puntualmente affermato che il deposito dell’originale di un documento la cui copia sia stata prodotta nel giudizio di primo grado non costituisce “nuova” produzione ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, trattandosi della regolarizzazione formale del precedente deposito tempestivamente avvenuto (Cass. 26 gennaio 2016, n. 1366) .. maggior ragione deve quindi ritenersi ammissibile la produzione dell’originale della scrittura provata che sia avvenuta in primo grado, ma dopo lo spirare dei termini ex art. 183 c.p.c. Chiaramente, altro è il tema della necessità, in caso di disconoscimento dell’autenticità della sottoscrizione di scrittura privata prodotta in copia fotostatica, della produzione dell’originale al fine di ottenerne la verificazione (per cui cfr., ad es., Cass. 27 marzo 2014, n. 7267): tale profilo è tuttavia estraneo alla presente controversia, giacchè, come si è visto, la banca, che ha agito per la verificazione, non si è sottratta all’onere, su di essa incombente, di produrre l’originale.

In considerazione di ciò che è stato appena rilevato, e, segnatamente, in ragione della richiamata giurisprudenza di questa Corte circa l’assenza di preclusioni quanto alla produzione dell’originale del documento già prodotto in copia, reputa il Collegio che la relativa questione possa essere decisa, nei termini indicati, in questa sede, senza rimessione della causa alla pubblica udienza, come invece domandato, in memoria, dalla parte ricorrente.

2. – Col terzo mezzo viene lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2702,2727,2697 c.c., degli artt. 115,215,216c.p.c., dell’art. 219c.p.c., comma 2 e dell’art. 117t.u.b. (D.Lgs. n. 385 del 1993). Secondo i ricorrenti, la Corte di appello avrebbe impropriamente ritenuto che la mancata loro comparizione avanti al c.t.u., incaricato di acquisire il saggio grafico, fosse equiparabile, quanto agli effetti, all’ipotesi, prevista dall’art. 219 c.p.c., comma 2, – relativa alla mancata presenza della parte avanti al giudice per la redazione di una scrittura sotto dettatura – e che, nella fattispecie, sarebbe stato invece necessario un accertamento tecnico dell’autenticità delle contestate sottoscrizioni. Viene inoltre osservato che il giudice non avrebbe potuto basare il proprio giudizio su presunzioni, giacchè venivamo in questione contratti formali, e che, avendo la parte resistente omesso di insistere nella propria istanza di verificazione in esito all’interruzione dell’indagine peritale, avrebbe dovuto ritenersi che la convenuta, cui si doveva la produzione del documento disconosciuto, avesse rinunciato al mezzo istruttorio non espletato.

Il motivo non merita accoglimento.

Ai fini della verificazione, la Corte di appello ha valorizzato, al pari del giudice di prime cure, la mancata comparizione dei ricorrenti avanti al c.t.u., il quale avrebbe dovuto acquisire il loro saggio grafico, oltre che altri elementi di prova, come, ad esempio, ma non solo, il possesso, da parte dell’istituto di credito, dei dati dei loro documenti di identità (evenienza, questa, che è stata evidentemente reputata rappresentativa del contatto intercorso tra la banca e i ricorrenti: e quindi della sottoscrizione dei documenti contrattuali da parte di questi ultimi). I “accertamento dell’autenticità delle scritture private disconosciute è stato quindi operato sulla scorta di prove diverse rispetto alla consulenza tecnica grafica, che non ha avuto seguito.

Ora, a fronte di una istanza di verificazione della scrittura privata il giudice non è tenuto a disporre necessariamente una consulenza tecnica grafica per accertare l’autenticità della scrittura qualora possa desumere la veridicità del documento attraverso altri elementi, tra cui la comparazione con altre scritture incontestabilmente provenienti dalla medesima parte e ritualmente acquisite al processo (Cass. 16 gennaio 2018, n. 887), o la valutazione del complessivo comportamento tenuto dalla parte cui la sottoscrizione sia attribuita (Cass. 27 luglio 2015, n. 15686). Nella specie, pertanto, rettamente i giudici di merito hanno attribuito rilievo sia al raffronto tra le disconosciute sottoscrizioni e quelle presenti sui documenti di riconoscimento e in calce alla procura ad litem (cfr. ricorso, pag. 7), sia alla condotta tenuta dai ricorrenti, che si erano sottratti al rilascio del saggio grafico: condotta che, a prescindere dalla contestata sua riconducibilita a quella contemplata dall’art. 219, comma 2, c.p.c., era comunque suscettibile di essere apprezzata come argomento di prova, a mente dell’art. 116 c.p.c., comma 2.

Non hanno poi idonea consistenza le deduzioni svolte con riguardo al regime di forma dei contratti bancari e alla supposta rinuncia, da parte dei ricorrenti, all’esperimento della consulenza tecnica. Quanto alla prima, è facile osservare che il tema dell’accertamento dell’autenticità di una sottoscrizione non è sovrapponibile a quello della forma del contratto che la ospita: se l’accertamento è conforme alle prescrizioni che lo disciplinano, non vi è modo di negare che il documento contrattuale sia munito di sottoscrizione, e quindi rispondente al requisito di forma prescritto. Quanto alla seconda deduzione, essa risulta finanche declinata con scarsa chiarezza. Se la parte istante allude – come parrebbe doversi ritenere – ad una rinuncia della banca all’espletamento dell’indagine tecnica (con essa dovendosi identificare il “mezzo istruttorio non espletato” di cui a pag. 16 del ricorso), l’assunto è privo di rilevanza, giacchè, come si è spiegato, il giudice del merito poteva desumere la genuinità delle sottoscrizioni da altri elementi. Ove, invece, i ricorrenti intendano sostenere che l’odierna controricorrente avesse rinunciato all’istanza di verificazione, andrebbe rilevato che una tale volontà non avrebbe potuto certo ricavarsi dalla mancata reiterazione dell’istanza in questione a seguito dall’interruzione delle operazioni peritali, giacchè la disciplina vigente non onerava la banca di ribadire, nell’occasione, la propria volontà di ottenere l’accertamento dell’autenticità delle scritture disconosciute.

3. – Col quarto motivo la sentenza impugnata viene censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 117 t.u.b., degli artt. 1325, 1326, 135U, 1418 e 2697 c.c.. Gli istanti si dolgono, in sintesi, del mancato rilievo officioso della nullità dei contratti azionati per il difetto di sottoscrizione degli stessi da parte del legale rappresentante dell’istituto bancario.

Il mezzo è inammissibile.

La questione è nuova e implica nuovi accertamenti di fatto: ciò avendo riguardo sia al dato dell’asserita mancata sottoscrizione (questione estranea al tema del decidere della precorsa fase di merito), sia a quello delle condotte che potrebbero rendere non significativa l’assenza, sui contratti, della firma del soggetto legittimato a impegnare la banca; infatti, in materia di contratti bancari, la omessa sottoscrizione del documento da parte dell’istituto di credito non determina la nullità del contratto per difetto della forma scritta ed è priva di rilievo in presenza di comportamenti concludenti dell’istituto di credito idonei a dimostrare la sua volontà di avvalersi di quel contratto (Cass. 18 giugno 2018, n. 16070). L’uno e l’altro accertamento non sono consentiti in sede di legittimità, sicchè la questione, se pure rilevabile d’ufficio, non può avere ingresso (per tutte: Cass. 13 agosto 2018, n. 20712).

4. – Il quinto mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 118 t.u.b., degli artt. 1831, 1832 e 2697 c.c.. Assumono i ricorrenti che la propria eccezione, vertente sulla mancata trasmissione dei predetti estratti conto, oltre che delle comunicazioni periodiche di variazione delle condizioni contrattuali, risultava essere fondata.

Il motivo è privo di fondamento.

E’ irrilevante, anzitutto, che gli estratti conto non siano stati mai inviati al correntista, in quanto anche la produzione in giudizio dell’estratto conto costituisce “trasmissione” ai sensi dell’art. 1832 c.c., ed onera il correntista stesso di provvedere alle necessarie contestazioni specifiche ove voglia superare l’efficacia probatoria alla produzione (Cass. 28 luglio 2006, n. 17242). La doglianza formulata con riguardo alla comunicazione delle variazioni del rapporto è, poi, del tutto generica: gli istanti non spiegano, difatti, quali siano le modificazioni del rapporto che sarebbero intervenute, con ciò precludendo al giudice di legittimità ogni apprezzamento circa la decisività della censura.

5. – In conclusione, il ricorso è respinto.

6. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore di Locam s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6^ Sezione Civile, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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