Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20580 del 19/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 19/07/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 19/07/2021), n.20580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24658/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

C.P.M.P., titolare della ditta individuale C.

Sport, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Giuliani,

dall’avv. Luigi Ferrajoli, elettivamente domiciliato presso A-I

Avvocati Associati in Italia, in Roma, via del Tritone n. 102, per

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 146/64/13, depositata il 26.8.2013.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24.11.2020

dal Consigliere Rosaria Maria Castorina.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.P. titolare della ditta individuale C. Sport, esercente il commercio al dettaglio di articoli sportivi, adiva la Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo impugnando tre avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2005, 2006 e 2007, con i quali l’Agenzia delle Entrate accertava maggiori ricavi in base alle risultanze di una verifica condotta dalla Guardia di Finanza; i verificatori avevano proceduto, in via presuntiva, alla rideterminazione di maggiori ricavi sulla base dell’applicazione alla merce venduta di una percentuale di ricarico medio ponderato del 53,90% sul costo di acquisito.

La CTP di Bergamo, previa riunione, accoglieva parzialmente i ricorsi rideterminando la percentuale di ricarico medio nella misura del 37,73%.

Il contribuente proponeva appello e a CTR della Lombardia, con sentenza n. 146/64/13 depositata il 26.8.2013 lo accoglieva sul presupposto che l’avviso di accertamento non fosse adeguatamente motivato e che il calcolo su base campionaria, limitato a 274 prodotti su oltre 7000 trattati fosse inadeguato a fornire un quadro preciso ed esaustivo delle dinamiche aziendali.

Avverso la decisione L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi d’impugnazione.

Il contribuente resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), per aver la CTR ritenuto illegittima la percentuale di ricarico utilizzata per il calcolo dei maggiori ricavi accertati per le annualità 2005, 2006 e 2007 in quanto determinata sulla base dell’esame degli importi di alcune fatture di acquisto e di vendita relative al 2008.

La censura non è fondata.

Il riscontro di incongrue percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce – sia in tema di imposte dirette (v. Cass. n. 7871 del 2012, Cass. n. 7653 del 2012, Cass. n. 13319 del 2011), sia in tema di IVA (v. Cass. n. 30276 del 2017 e Cass. n. 26312 del 2009) – legittimo presupposto dell’accertamento analitico-induttivo, purché la determinazione della percentuale di ricarico sia coerente con la natura e le caratteristiche dei beni venduti, sicché, qualora il contribuente, in sede di giudizio, contesti il criterio di determinazione della percentuale di ricarico, il giudice di merito è tenuto a verificare la scelta dell’Amministrazione in relazione alle critiche proposte, alla luce dei canoni di coerenza logica e di congruità, tenuto conto della natura, omogenea o disomogenea, dei beni-merce nonché della rilevanza dei campioni selezionati, e la loro rispondenza al criterio di media (aritmetica o ponderale) prescelto (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24001 del 2013).

In particolare, “le circostanze di fatto, comprese quelle relative alle percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale non possono essere estese acriticamente ad ogni altro esercizio precedente (o successivo), anche perché ogni periodo impositivo è autonomo rispetto agli altri, ma costituiscono pur sempre validi elementi indiziari, da utilizzare secondo criteri di razionalità e di prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi agli anni precedenti (o a quelli successivi). Costituisce, infatti, una regola d’esperienza che l’entità dei vari ricarichi non è una variabile indipendente di carattere occasionale, ma è condizionata da una serie di fattori che costituiscono nel loro insieme le condizioni di mercato (ad esempio la situazione di concorrenza esistente in concreto, il settore merceologico, la località, la posizione dell’esercizio con l’eventuale rendita di posizione, ecc.)” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1286 del 2004).

Nella specie, la CTR, si è attenuta ai suddetti principi, avendo rilevato che i verificatori avevano scelto dei prodotti presenti nel magazzino nel 2008 senza alcuna verifica che gli stessi fossero anche presenti e commercializzati dall’azienda negli anni oggetto degli accertamenti impositivi a fronte della contestazione del contribuente (Cass. n. 26589 del 2018).

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 42, nonché della L. n. 212 del 2000, art. 10.

Lamenta che la CTR aveva ritenuto inadeguato il campione in quanto esiguo nonostante lo stesso fosse stato individuato con l’accordo del contribuente.

La censura non è fondata.

La giurisprudenza è consolidata nel ritenere, in materia di determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita, che il controllo di logicità sulla scelta ed applicazione del criterio di calcolo per il ricarico si estende anche alla congruità del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di rivendita e di acquisto, dovendo comprendere un “gruppo significativo, per qualità e quantità dei beni” oggetto dell’attività d’impresa, anche senza estendersi necessariamente alla totalità dei beni (cfr. Cass. n. 13816 del 2003).

In tema di rettifica della dichiarazione IVA, la determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico effettiva sul prezzo della merce venduta, in sede di accertamento (analitico) induttivo, deve avvenire adottando un criterio che sia: (a) coerente con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame; (b) applicato ad un campione di beni scelti in modo appropriato; (c) fondato su una media aritmetica o ponderale, scelta in base alla composizione del campione di beni; tale modalità di determinazione della reale percentuale di ricarico prescinde del tutto dalla circostanza che la contabilità dell’imprenditore risulti formalmente regolare (Cass. n. 30276 del 2017); in sostanza, il riscontro di incongrue percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce – sia in tema di imposte dirette (v. Cass. n. 7871 del 2012, Cass. n. 7653 del 2012, Cass. n. 13319 del 11), sia in tema di IVA (v. Cass. n. 26167 del 2011 e Cass. n. 26312 del 2009) – legittimo presupposto dell’accertamento (analitico) induttivo, purché la determinazione della percentuale di ricarico sia coerente con la natura e le caratteristiche dei beni venduti, sicché, qualora il contribuente, in sede di giudizio, contesti il criterio di determinazione della percentuale di ricarico, il giudice di merito è tenuto a verificare la scelta dell’Amministrazione in relazione alle critiche proposte, alla luce dei canoni di coerenza logica e di congruità, tenuto conto della natura, omogenea o disomogenea, dei beni-merce nonché della rilevanza dei campioni selezionati, e la loro rispondenza al criterio di media (aritmetica o ponderale) prescelto (Cass. n. 26589 del 2018).

Nella specie, la CTR ha osservato come: “un campione limitato all’analisi di 274 prodotti su oltre 7000 trattati dall’azienda, pari a circa il 4% sia del tutto insufficiente a dare un quadro preciso ed esaustivo delle dinamiche aziendali portanti alla formazione del prezzo di vendita e all’indicazione di una percentuale di ricarico medio attendibile; inoltre come si evince dal pvc non viene data ragione del perché erano stati scelti proprio quei prodotti e non altri, ma nel verbale si legge soltanto che erano ritenuti maggiormente rappresentativi senza alcuna spiegazione dei motivi per cui si era pervenuti a tale conclusione”.

Il contribuente ha documentato, riproducendo la parte del ricorso in ossequio al principio di autosufficienza, che sin dal primo grado di giudizio aveva contestato le modalità di determinazione del campione, evidenziando di non aver fornito alcuna indicazione sulla selezione dei prodotti. In ogni caso la CTR fonda la propria decisione, non solo sulla scelta del campione, effettuata alla presenza della parte, quanto sull’esiguità del campione scelto sul 4% dei prodotti trattati e quindi non rappresentativo dei beni aziendali nel loro complesso.

3. Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che la CTR aveva ritenuto non adeguatamente motivati gli avvisi nella parte in cui erano giunti a conclusioni diverse rispetto alle risultanze del PVC, mentre l’ufficio non aveva alcun obbligo di condividere le conclusioni del pvc, ben potendone usare gli elementi e determinare diversamente.

La censura è inammissibile.

La decisione impugnata si fonda su due diverse rationes decidendi, con la conseguenza che il rigetto delle censure relativa ad una di esse rende il ricorrente carente di interesse ad impugnare l’altra. Difatti, quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo Potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (Cass. n. 2108 del 2012; Cass. n. 22753 del 2011; Cass. n. 12372 del 2006).

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Le spese eseguono la soccombenza.

Considerato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere l’amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna L’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.800,00 per compensi oltre al 15% a titolo di rimborso forfettario spese generali e accessori come per legge ed Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

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