Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20577 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. II, 29/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 29/09/2020), n.20577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21398 – 2019 R.G. proposto da:

B.J., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in L’Aquila, alla via del Beato

Cesidio, n. 49, presso lo studio dell’avvocato Paolo Vecchioli che

lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO – c.f. (OMISSIS) – Commissione Territoriale

per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bari.

– intimato –

avverso la sentenza n. 2164/2018 della Corte d’Appello de L’Aquila;

udita la relazione nella camera di consiglio del 30 giugno 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. B.J., cittadino del Gambia, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che era stato accusato ingiustamente di violenza carnale ai danni della figlia minorenne del suo datore di lavoro, che era stato accusato altresì di aver presieduto in moschea una riunione di preghiera in un giorno di divieto e di non aver rispettato i giorni del Ramadam; che era dunque esposto al rischio di una inumana e degradante detenzione carceraria; che aveva abbandonato il suo paese d’origine, trasferendosi dapprima in Senegal, paese dal quale, nel luglio del 2016, era partito alla volta dell’Italia.

2. La Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bari rigettava l’istanza.

3. Con ordinanza in data 11.11.2017 il Tribunale de L’Aquila respingeva il ricorso con cui B.J., avverso il provvedimento della commissione territoriale, aveva chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine il riconoscimento della protezione sussidiaria, in ulteriore subordine il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. Avverso tale ordinanza B.J. proponeva appello.

Il Ministero dell’Interno – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bari resisteva.

5. Con sentenza n. 2164/2018 la Corte de L’Aquila rigettava il gravame.

Evidenziava la corte che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria; segnatamente che, alla luce degli avvenimenti politici più recenti, era da escludere che in Gambia esistesse una situazione di “violenza indiscriminata”.

Evidenziava inoltre che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso B.J.; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bari non ha svolto difese.

7. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia l’illogicità, la contraddittorietà e l’insufficienza della motivazione nonchè l’erronea valutazione da parte della corte d’appello delle dichiarazioni rese.

Deduce che l’elezione del nuovo presidente non ha posto fine in Gambia alle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dagli agenti di polizia e dagli ufficiali dell’Agenzia di Intelligence nazionale (N.I.A.).

Deduce che la corte ha errato nel disconoscere la sussistenza di una minaccia grave alla sua vita derivante dalla situazione di violenza indiscriminata esistente nel suo paese d’origine.

Deduce, in tema di protezione umanitaria, che, se rimpatriato, verserebbe in condizioni di estrema vulnerabilità, idonea a precludergli l’esercizio dei diritti fondamentali, viepiù alla stregua della perdurante precarietà della situazione politica del suo paese.

8. Il ricorso è inammissibile.

9. Del tutto generici e dunque destinati a risolversi in mere affermazioni di principio sono i profili di censura secondo cui la corte d’appello ha “le argomentazioni fornite dal ricorrente ritenute non esaurienti ancorchè verosimili e dotate di intrinseca logicità motivazionale” (così ricorso, pag. 3), secondo cui la corte d’appello non ha valutato la sua credibilità alla luce dei parametri di legge (cfr. ricorso, pag. 4), ha valutato in forma superficiale le sue dichiarazioni (cfr. ricorso, pag. 5), non ha fatto applicazione dell’onere attenuato della prova (cfr. ricorso, pag. 4).

Ovviamente i motivi di ricorso per cassazione devono connotarsi, a pena di inammissibilità, in conformità ai requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (cfr. Cass. 17.7.2007, n. 15952; cfr. Cass. (ord.) 10.8.2017, n. 19989).

10. La corte di merito si è essenzialmente pronunciata in ordine alla sussistenza dei presupposti della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) ed in ordine alla sussistenza dei presupposti della protezione umanitaria.

In tal guisa le prospettazioni del ricorrente, secondo cui è stato costretto a lasciare il suo “Paese d’origine a causa di vicende personali che lo avrebbero portato, senza alcuna colpa, a subire un verosimile trattamento carcerario crudele, inumano ovvero degradante” (così ricorso, pag. 2) e secondo cui “sulla condizione carceraria in Gambia basti rimettersi ai rapporti di Amnesty International succedutisi negli anni” (così ricorso, pag. 3), prospettazioni che evidentemente rimandano all’ipotesi di protezione sussidiaria di cui all’art. 14 cit., lett. b) non si correlano alla ratio decidendi.

D’altro canto, seppur B.J. avesse specificamente domandato la protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14 cit., lett. b) domanda della cui proposizione nella sentenza impugnata, in verità, non vi è riflesso, di certo il ricorrente avrebbe dovuto denunciare al riguardo un’omissione di pronuncia, denuncia cui, viceversa, per nulla – nelle forme postulate dall’insegnamento n. 17931 del 24.7.2013 delle sezioni unite di questa Corte – ha atteso.

11. In tema di protezione sussidiaria l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

12. Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

Per un verso, il dictum della corte distrettuale, pur in punto di valutazione dei presupposti della protezione sussidiaria ex lett. c) dell’art. 14 cit., non è inficiato da alcuna forma di “anomalia motivazionale” rilevante alla stregua dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

In particolare la corte abruzzese ha specificato che, dopo le elezioni democratiche del 6.4.2017, con la vittoria del partito del nuovo presidente, la situazione politica in Gambia si è in modo permanente stabilizzata (cfr. sentenza d’appello, pag. 8).

Per altro verso, la corte aquilana per nulla ha omesso la disamina del fatto decisivo, ossia il concreto riscontro delle situazioni di fatto postulate dall’art. 14 cit., lett. c).

Per altro verso ancora, il riferimento – in verità non meglio specificato – al rapporto di Amnesty International 2017/2018, ove si darebbe atto della “creazione di una commissione ad hoc per i diritti umani” (così ricorso, pag. 3), si correla piuttosto all’ipotesi di protezione sussidiaria di cui alla lett. b) e non propriamente all’ipotesi di protezione sussidiaria di cui all’art. 14 cit., lett. c).

13. In toto ingiustificato, a fronte dei rilievi finali dell’impugnato dictum (cfr. sentenza d’appello, pag. 8), è l’assunto del ricorrente secondo cui “nella sentenza impugnata è mancato del tutto l’esame della sussistenza dei requisiti (della protezione umanitaria)” (così ricorso, pag. 6).

14. In ogni caso, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, questa Corte spiega che la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela, che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

15. Su tale scorta è innegabile che le ragioni di doglianza che, in tema di protezione umanitaria, l’esperito mezzo di impugnazione veicola, recano, al più, censura del giudizio “di fatto” cui, senza dubbio anche in parte qua, la corte territoriale ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

16. Ebbene, in quest’ottica, nei limiti della novella previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel segno, nuovamente, della pronuncia n. 8053/2014 delle sezioni unite, non può che argomentarsi come segue.

Da un canto, è da escludere che forme di “anomalia motivazionale” inficino in parte qua l’impugnato dictum.

In particolare la corte d’appello ha puntualizzato che, in ipotesi di rimpatrio, l’appellante non si sarebbe ritrovato in una condizione di particolare vulnerabilità sia in considerazione della stabilizzazione democratica in atto in Gambia sia in considerazione dell’irrilevanza dell’inesistenza di legami parentali nel paese d’origine sia in considerazione dell’irrilevanza dell’attività lavorativa a tempo determinato dall’appellante svolta in Italia.

D’altro canto, la corte di merito in nessun modo ha omesso la disamina dei fatti decisivi caratterizzanti in parte qua la res litigiosa.

17. Taluni finali rilievi si impongono.

18. Tra le forme di “anomalia motivazionale” rilevanti alla stregua dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte di certo non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione.

19. Nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – al di là dell’ipotesi del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, insussistente nel caso de quo – non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

20. Dai rilievi tutti in precedenza esposti si evince che la Corte d’Appello de L’Aquila ha statuito in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte.

Il ricorso quindi è nel complesso inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, (cfr. Cass. sez. un. 21.3.2017,n. 7155, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348 bis c.p.c.. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”).

21. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese; nonostante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, pertanto, nessuna statuizione va assunta in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

22. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

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