Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20576 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. II, 29/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 29/09/2020), n.20576

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21244-2019 proposto da:

J.F., elettivamente domiciliato in VIA LAMARMORA N. 42 –

MILANO – presso l’avv. STEFANIA SANTILLI che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO

PRO-TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 27/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

J.F. – cittadino della (OMISSIS) – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Milano avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano che aveva rigettato la sua istanza di protezione internazionale in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’aver dovuto lasciare il suo Paese poichè, di fede cristiana, non aveva voluto aderire a culto tradizionale, del quale il padre era sacerdote, sicchè per evitare persecuzioni, che si manifestavano anche in luoghi distanti dal suo villaggio natale e sotto forma di malefici ed affezioni somatiche, era dovuto venire in Europa per curarsi.

Il Tribunale lombardo ebbe a rigettare il ricorso ritenendo che la vicenda personale narrata dal ricorrente non fosse credibile; che non sussisteva nel Delta State nigeriano una situazione socio-politica caratterizzata da violenza diffusa; che non concorrevano ragioni attuali di vulnerabilità od elementi lumeggianti integrazione nella società italiana ai fini della protezione umanitaria.

Il F. ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale ambrosiano articolato su tre motivi.

Il Ministero degli Interni, ritualmente evocato, ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto dal F. appare siccome inammissibile, ex art. 360 bis c.p.c. – Cass. SU n 7155/17 -.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce violazione della norma D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. e) in unione ad altre norme portate nel medesimo D.Lgs. ed in quello sub n 25/08, poichè i Giudici milanesi avrebbero emesso l’effettuare il prescritto esame comparativo tra le informazioni rese dal richiedente asilo e la sua vicenda personale, anche, mediante l’utilizzo dell’istituto della cooperazione istruttoria.

La censura articolata s’appalesa generica posto che si compendia nella mera proposizione di tesi alternativa, rispetto alla statuizione adottata dal Tribunale, fondata su apprezzamento di parte dei dati fattuali acquisiti in causa e denunzia apodittica di scarso approfondimento della vicenda da parte dei Giudici lombardi. In effetti il Collegio ambrosiano ha puntualmente messo in evidenza le ragioni della statuizione circa la scarsa credibilità del ricorrente in ordine al nucleo essenziale della sua racconto, ossia la morte inspiegabile del fratello al rifiuto di succedere al padre nella posizione di sacerdote del culto tribale del proprio villaggio natale, l’insistente pretesa del padre, alla morte del fratello, di farlo succedere nella sua posizione di sacerdote di detto culto tradizionale, benchè da oltre cinque lustri vivesse in città ed i conseguenti malanni somatici, posto che la posizione apicale in detti culti, come da informazioni desunte da specifici rapporti estesi da Organismi internazionali al riguardo, era il risultato di un prolungato procedimento esoterico-iniziatico e, non già, di mera successione in ambito familiare.

Quanto poi al lamentato malo utilizzo dei canoni di legge va rilevato come il dato normativo – art. 3, comma 5 – riguarda non tanto la valutazione della credibilità, bensì l’assenza di dati probatori a supporto della domanda, carenza superabile se il Giudice ritiene credibile il racconto.

Nella specie, però, la versione fornita dal richiedente asilo è stata ritenuta non credibile motivatamente sulla scorta di specifico insegnamento di questa Suprema Corte e delle informazioni desunte dai citati rapporti redatti da Enti internazionali.

Quanto poi all’obbligo del Giudicante di procedere, anche ex officio, all’acquisizione di elementi informativi utili a colmare le lacune probatorie afferenti le allegazioni del richiedente asilo, lo stesso non sorge in presenza di un narrato – oggetto dell’indagine – motivatamente ritenuto non credibile, siccome da costante insegnamento di questo Supremo Collegio.

A fronte di dette puntuali argomentazioni il ricorrente si limita ad analisi astratta dei principi degli istituti processuali e sostanziali, dianzi richiamati, con cenni ad arresti di legittimità e passi di rapporti in tema di culti tradizionali africani privi però di ogni confronto con la specifica situazione esaminata dal Collegio ambrosiano e, soprattutto, senza confutazione degli argomenti portati in decreto per sostenere la conclusione di non credibilità del ricorrente. Con la seconda ragione di doglianza il F. deduce violazione delle norme D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2, lett. G) e art. 14 nonchè omesso esame di fatto decisivo e D.Lgs. n. 25 del 2008 in relazione alla statuizione di diniego della protezione sussidiaria specie con relazione all’attuale situazione socio-politica della Nigeria, a sua opinione, qualificabile siccome pervasa da violenza diffusa.

La censura si compendia in argomentazione critica priva di un effettivo confronto con l’argomentazione esposta dal Collegio ambrosiano riguardo alla situazione socio-politica, esistente al momento della decisione, nella zona della Nigeria in cui effettivamente viveva il ricorrente e, comunque, fondata sull’elaborazione di tesi astratta meramente alternativa rispetto alla statuizione adottata dal Collegio lombardo.

Difatti il Tribunale, sulla scorta di indicate fonti di conoscenza tratte da rapporti estesi da Organismi internazionali all’uopo preposti e resi in epoca prossima alla decisione, ha evidenziato come nella zona della Nigeria d’interesse – Lagos State dove il ricorrente viveva da molti anni dopo aver abbandonato il villaggio natio – se anche si verificavano episodi di violenza criminale e politica, tuttavia non sussisteva una situazione connotata da violenza diffusa; anzi detto Stato nigeriano era considerato tra i meno afflitti da torbidi diffusi. A fronte di detta puntuale motivazione il ricorrente si limita a riproporre il tema del pericolo rappresentato dalle violenze correlate ai culti tradizionali, ossia l’argomento già escluso in dipendenza della non credibilità del racconto fatto; a postulare un inadeguato – considerato omesso – esame da parte del Tribunale, senza indicare fonti non considerate e lumeggianti una situazione socio-politica diversa da quelle descritta nel provvedimento impugnato, richiamando apoditticamente anche la condizione d’incapacità della pubblica Autorità di tutelare i cittadini – Cass. sez. 1 n. 26728/19 -.

Con il terzo mezzo d’impugnazione il F. lamenta violazione delle norme D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 19 poichè il Tribunale, in relazione all’istanza di godimento della protezione umanitaria, non ha valutato il suo radicamento nella società italiana e la sua condizione di vulnerabilità in dipendenza e dell’attuale situazione socio-politica della Nigeria e della persecuzione da parte degli adepti del culto tradizionale, già ricordata.

La critica avanzata s’appalesa assolutamente generica in quanto non si confronta con l’argomentazione sul punto esposta dalla Corte ambrosiana, bensì propone una ricostruzione astratta dell’istituto fondata su questioni già esaminate in relazione alle precedenti ragioni d’impugnazione e disattese.

Difatti il Collegio lombardo ha puntualmente messo in risalto come il F. abbia documentato impegni, anche lavorativi, esclusivamente attuati nell’ambito del circuito dell’accoglienza; come le patologie di chi soffriva risultano, in forza della documentazione dimessa, risolte tanto che nemmeno vengono richiamate nel suo ricorso al Tribunale; come il richiedente asilo non deduca specifica situazione di vulnerabilità se non la situazione socio-politica del suo Paese, ossia questione già ampiamente esaminata nelle precedenti ragioni di impugnazione con esito negativo.

A fronte di tale precisa motivazione il ricorrente nulla di concreto contrappone se non operare, come dianzi precisato, una ricostruzione astratta e generica dell’istituto senza alcun cenno specifico alla sua situazione particolare.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione segue, ex art. 385 cod. proc. civ., la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione dell’Interno costituita, liquidate in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Amministrazione resistente le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in camera di consiglio, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

 

 

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