Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20575 del 07/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 07/10/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 07/10/2011), n.20575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorse 15077/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

MORTEO INDUSTRIA SPA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona del

Commissario liquidatore e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso

lo studio dell’avvocato MANZI LUIGI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GLENDI CESARE FEDERICO, giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 61/2004 della COMM.TRIB.REG. di GENOVA,

depositata l’11/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2011 dal Consigliere Dott. RENATO POLICHETTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIDORE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato COGLITORE, per delega Avvocato

MANZI, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 11.3.2005 n. 61 la CTR della Liguria ha confermato la sentenza di prime cure che, accogliendo il ricorso proposto da Morteo Industrie s.p.a., aveva annullato l’avviso di rettifica parziale emesso dall’Ufficio IVA di Genova con il quale era stata liquidata la maggiore imposta dovuta dalla società per l’anno 1993 in dipendenza della violazione di obblighi di fatturazione e conseguente infedele dichiarazione (avendo la società ritenuto esenti operazioni intracomunitarie prive dei requisiti prescritti dal D.L. n. 331 del 1993, art. 41, comma 1, lett. a, conv. in L. n. 427 del 1993), nonchè di indebite detrazioni per operazioni presunte inesistenti.

La Commissione territoriale di appello rigettava l’appello dell’Ufficio finanziario:

– quanto alla pretesa fondata su asserite operazioni inesistenti, rilevando che il PVC sul quale era fondato l’avviso di rettifica si limitava ad affermare la inesistenza della operazione, segnalata all’A.G., senza tuttavia specificare alcun elemento circostanziale di riscontro a tale affermazione;

– quanto alla “non imponibilità” della operazione di cessione di beni costituenti “dotazioni di bordo” delle navi (containers), assumendo errata la tesi dell’Ufficio appellante che intendeva far gravare sulla contribuente l’onere della dimostrazione della effettiva installazione dei containers sulla nave, in quanto il cedente “una volta perduto il possesso dei beni ceduti non avrebbe possibilità di verificare la concreta destinazione funzionale attribuita agli stessi;

– quanto alla “non imponibilità” di operazioni intracomunitarie, ritenendo sufficiente al conseguimento del diritto al beneficio la comunicazione ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 50, conv. in L. n. 4327 del 1993, da parte del cessionario (nella specie una società britannica), del numero identificativo IVA allo stesso attribuito dalla Stato membro di appartenenza, ed ancora non ritenendo onerato il cedente, una volta consegnato il bene al cessionario, dell'”obbligo di verifica della effettiva uscita dei ben dal Italia”.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero della Economie e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate denunciando con due motivi vizio i violazione di norme sostanziali e vizio di motivazione. Ha resistito la società depositando controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente dichiarata ex officio l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione attiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svolto avanti la CTR del Lazio introdotto con ricorso proposto dall’Ufficio di Genova dell’Agenzia delle Entrate, in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3, (cfr. Corte Cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).

Non avendo il ricorso proposto dal Ministero comportato aggravio di attività difensiva si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.

2. La Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza di appello deducendo i seguenti vizi di legittimità:

a) violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, artt. 40, 41 e 50; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. a), ed art. 8 bis; dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La ricorrente sostiene che dalla lettura del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 8 ed 8 bis, risulta che il diritto al beneficio spetta soltanto se il cedente “abbia dimostrato la messa a bordo dei containers” cioè il fatto della esportazione; inoltre, quanto alla cessione di beni intracomunitaria, contesta la errata applicazione delle norme indicate in rubrica in quanto la CTR non avrebbe tenuto conto che il beneficio è riconosciuto esclusivamente in relazione alla effettiva uscita dei beni oggetto di cessione dal territorio nazionale, circostanza da verificarsi ad onere del cedente;

b) vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Nella esposizione del motivo la ricorrente si sofferma sull’errore interpretativo in cui è incorsa la CTR richiamando circolari e risoluzioni della Amministrazione finanziaria non pertinenti al caso concreto in quanto riferite – relativamente alla cessione alla esportazione – al TU delle leggi doganali approvato con D.P.R. n. 43 del 1973, ed a diversa ipotesi concernente le prestazioni di servizi di manutenzione a bordo di natanti, e – relativamente alle operazioni intracomunitarie – alla disciplina dettata dall’art. 130 bis del predetto Testo Unico con riferimento a fattispecie anteriore all’entrata in vigore dell’IVA comunitaria.

3. La società resistente, rilevato che il ricorso non aveva investito il capo di sentenza favorevole alla contribuente relativo alla illegittimità del recupero a tassazione di operazioni pretese inesistenti, contesta entrambi i motivi di ricorso rilevando che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, comma 1, lett. d), deriva dalla disposizione dell’art. 15 paragr. 5 dir. CE n. 77/388 che prevede la esenzione da imposta dei beni destinati al comparto navale ed aeronavale, on richiedendo alcuna delle dette norme l’ulteriore requisito dell’imbarco dei containers sulla nave. Quanto alla operazione intracomunitaria la stessa, secondo la disciplina dettata dal D.L. n. 331 del 1993, art. 41, comma 1, lett. a), deve ritenersi compiutamente realizzata con la mera “messa a disposizione” dei beni ceduti a favore del cessionario che ha comunicato il proprio numero identificativo, dovendosi ritenere corretta la soluzione giuridica adottata dalla Commissione tributaria regionale.

4. Il primo motivo è fondato nei limiti di seguito esposti.

4.1 La tesi sostenuta dalla Agenzia delle Entrate, secondo cui dal combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. a), ed art. 8 bis, comma 1, lett. d), emergerebbe l’onere gravante sul cedente, che intenda avvalesi dell’esonero dal pagamento dell’IVA, di fornire la prova della effettiva installazione dei containers (quali dotazioni di bordo della nave destinata ad attività commerciali) sulla nave, è infondata.

Le fattispecie disciplinate dalle due norme del decreto IVA sono infatti diverse e non sovrapponìbili: l’art. 8 bis riconosce, infatti, la non imponibilità alle operazioni di scambio concernenti specifici ed individuati beni e prestazioni di servizi, senza alcun altra condizione per ottenere il beneficio; l’art. 8, comma 1, lett. a), invece, disciplina le esportazioni extracomunitarie – indipendentemente dalla natura e caratteristiche dei beni ceduti – “eseguite mediante trasporto o spedizione di beni a nome dei cedenti o commissionari ed assoggetta il beneficio alla prova della esportazione che deve “risultare da un documento doganale, o da vidimazione apposta dall’ufficio doganale su un esemplare della fattura ovvero su un esemplare della bolla di accompagnamento……, o se questa non è prescritta, sul documento di cui all’art. 21, comma 4, secondo periodo”. Indicativo in proposito è l'”incipit” dell’art. 8 bis, comma 1, secondo cui le operazioni ivi contemplate non costituiscono “cessioni alla esportazione” ma sono soltanto “assimilate” a quelle (ai fini della non imponibilità), sempre che non integrino fattispecie già “comprese nell’art. 8” (in tal caso rimanendo regolate da tale norma): tale specificazione è dirimente ai fini dell’esegesi delle due norme, in quanto consente di individuare tra l’art. 8 e l’art. 8 bis un rapporto di “genus ad speciem” nel senso che, con riferimento alla concreta fattispecie in esame, la cessione di beni destinati alla “dotazione di bordo” della nave ricade nella disciplina della cessione alla esportazioni (art. 8, comma 1, lett. a), nel solo caso in cui la operazione venga attuata mediante il trasporto o la spedizione di detti beni fuori della Comunità Europea, mentre ricade nella disciplina dell’art. 8 bis, comma 1, lett. d), nella ipotesi in cui la cessione alla ditta acquirente (extracomunitaria o meno) avvenga mediante consegna dei beni nello spazio comunitario, venendo in sostanza a beneficiare tale operazione di una esenzione d’imposta, atteso che, in assenza della indicata norma agevolativa, la operazione rimarrebbe altrimenti soggetta aila ordinaria imposta ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6 e ss., (la “anomalia” della norma di esenzione di cui all’art. 8 bis – inserita tra le disposizioni volte disciplinare gli scambi transazionali – emerge in tutta evidenza in quelle operazioni di cessione di beni, dalla stessa contemplate, certamente prive del connotato extracomunitario – cfr. art. 8 bis, comma 1, lett. b), e per i beni e prestazioni accessori lett. d) ed e)-, configurandosi in tal caso una vera e propria esenzione d’imposta).

Tanto premesso, l’elemento discretivo della consegna (trasporto o spedizione) dei beni all’estero al quale è condizionata l’applicazione di una piuttosto che dell’altra norma, non risulta affatto palesato (non emergendo dal ricorso, nè dalla sentenza impugnata, le modalità di esecuzione della operazione), con la conseguenza che difetta l’accertamento del presupposto di fatto necessario per invocare il differente regime probatorio stabilito per le cessioni alla esportazione e per le operazioni c.d. assimilate.

Ne consegue che il primo motivo di ricorso ove inteso a far valere il difetto di prova del trasporto o spedizione all’estero dei beni ceduti, richiesto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. a), si palesa inammissibile sotto il profilo della carenza di autosufficienza ex art. 366 c.p.c.; se invece volto a far valere la insussistenza del beneficio D.P.R. n. 633d del 1972, ex art. 8 bis, comma 1, lett. d), a favore della società cedente in difetto di prova della effettiva installazione a bordo dei containers, si palesa infondato, andando esente da censure sul punto la sentenza impugnata.

Ed infatti osserva il Collegio che l’unico elemento certo – pacifico in atti – è dato dalla incontestata “destinazione funzionale” dei containers quali beni costituenti “dotazione di bordo della nave adibita ad attività commerciale”, con la conseguenza che – dovendo ritenersi circoscritto il punto decisivo della controversia alla applicazione del criterio normativo di riparlo dell’onere probatorio – la mancata contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria delle caratteristiche funzionali del bene esaurisce l’ambito della prova gravante sulla ditta cedente ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, comma 1, lett. d), la quale – in assenza di ulteriori adempimenti richiesti dalla norma, come invece espressamente imposto dall’art. 8, comma 1, lett. a), seconda parte – non è tenuta a fornire anche la prova del concreto impiego del bene (installazione del container a dotazione di bordo della nave) da parte del cessionario.

Tale conclusione non trova ostacolo nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 30.1.2009 n. 25201) per cui la norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, non pone una presunzione legale secondo cui tutti i “containers” costituiscono “normale corredo di navi mercantili in esercizio per il trasporto delle merci” essendo in conseguenza tenuto il cedente a fornire adeguata prova che i beni abbiano le caratteristiche di “dotazione di bordo”.

Non avendo, infatti, costituito tale accertamento tecnico questione controversa tra le parti, la stessa risulta sottratta al “thema probandum” che, secondo la prospettazione della ricorrente, deve, invece, individuarsi nella ulteriore dimostrazione della “messa a bordo dei containers”, circostanza di fatto evidentemente diversa dalla verifica delle caratteristiche tecniche del bene ceduto, essendo agevole osservare al riguardo che una nave bene può caricare a bordo e trasportare containers – al pari di qualsiasi altra merce – senza che questi necessariamente costituiscano, per ciò stesso, anche “dotazioni di bordo”.

4.2 Fondata deve ritenersi invece la cesura formulata con il primo motivo in relazione alla violazione delle norme indicate in rubrica relative alle “operazioni intracomunitarie” e della norma generale sull’onere della prova.

L’assunto della CTR ligure secondo cui deve ravvisarsi una operazione intracomunitaria non imponibile per il solo fatto che i beni ceduti siano “destinati a soggetto straniero in possesso del codice di identificazione attribuitogli dallo Stato di appartenenza” (cfr.

motivazione sentenza pag. 4), non è conforme alla previsione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 41, comma 1, lett. a), conv. in L. 29 ottobre 1993, n. 427, ed al criterio di riparto stabilito dall’art. 2697 c.c..

La norma tributaria, infatti, considera non imponibili ai fini IVA. allo scopo di evitare doppie imposizioni ed affinchè l’imposta venga pagata nello Stato della Comunità Europea nell’ambito del quale il bene è destinato al consumo, “le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti di imposta…”. Ne segue che l’elemento della movimentazione territoriale dei beni oggetto di cessione, da uno Stato membro a quello del soggetto finale (cessionario), deve essere considerato elemento strutturale della fattispecie normativa da cui non potrebbe prescindersi senza disconoscere lo stesso carattere “intracomunitario” della operazione (specularmente, per gli acquisti, l’elemento dello spostamento spaziale del bene è individuato dal D.L. n. 331 del 1993, art. 38, comma 2, e art. 40, comma 1).

Conseguentemente, contrariamente a quanto afferma la CTR Ligure, l’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario (cioè 1″effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro) va posto a carico del contribuente che emette la fattura, dichiarando che la operazione non è imponibile (D.L. n. 331 del 1993, art. 46, comma 2,) senza applicare l’imposta nei confronti del cessionario il D.L. n. 331 del 1993, art. 50, comma 1), in ragione del principio generale ex art. 2697 c.c., secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga agevolativa (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 13.2.2009 n. 3603, in motivazione, che richiama a supporto la costante giurisprudenza della Corte in tema di prova, della quale è onerato il contribuente, del trasporto o spedizione del bene ceduto nel caso di cessioni alla esportazione disciplinate dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, – cfr.

Corte Cass. 5^ sez. 3.5.2002 n. 6351; id. 21.6.2002 n. 9104; id.

26.5.2006 n. 1260 -. Si veda anche Corte Cass. 5^ sez. 27.10.2010 n. 21956 che, sempre in tema di cessione all’esportazione, nel caso di c.d. triangolazione richiede che il cedente fornisca la prova dell’avvenuta uscita della merce dal territorio doganale della Comunità).

Il D.L. n. 331 del 1993, art. 50, che descrive gli obblighi connessi agli scambi intracomunitari ed al comma primo prescrive: “le cessioni intracomunitarie… sono effettuate senza applicazione dell’imposta nei confronti dei cessionari e dei committenti che abbiano comunicato il numero di identificazione agli stessi attribuito dallo Stato membro di appartenenza”, opera su un piano distinto dalla identificazione degli elementi costituivi della fattispecie descritti dalla norma (art. 41 stesso D.L.) che individua i presupposti della “operazione intracomunitaria non imponibile”, prescrivendo adempimenti di obblighi formali volti ad agevolare il successivo controllo da parte degli Uffici finanziari e ad evitare che atti elusivi o di natura fraudolenta (obbligo del cessionario di comunicare il proprio codice identificativo: conferma della validità del codice da parte dell’Amministrazione finanziaria; trasmissione degli elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisiti intracomunitari). Ne segue che dalla norma che dispone i predetti adempimenti formali, non è dato desumere, come erroneamente ritenuto dai Giudici di appello, l’ambito della prova – relativa alla sussistenza dei presupposti applicativi del beneficio – richiesta nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria, come nella specie, contesti la esistenza della operazione “intracomunitaria” non imponibile, per non essere stati i beni ceduti dalla società contribuente introdotti nel territorio dello Stato membro in cui il cessionario è soggetto di imposta.

Alla stregua delle precedenti considerazioni si palesa, pertanto, inconsistente ed errato l’argomento dei Giudici di appello secondo cui con la consegna dei beni al cessionario straniero, avvenuta in Italia, “i beni stessi erano usciti dalla sfera giuridica del cedente” e non competeva alla società contribuente l’obbligo di verifica degli eventi successivi, atteso che la norma tributaria richiede espressamente quale presupposto della non imponibilità la destinazione effettiva dei beni nel territorio di un altro Stato membro, ponendo a carico del soggetto che intende avvalersi del beneficio l’onere di fornire la prova dei relativi fatti costitutivi.

4.2.1 Il primo motivo deve, pertanto, ritenersi fondato “in parte qua” e la questione sottoposta all’esame della Corte deve essere risolta in base al seguente principio di diritto al quale dovrà attenersi la Commissione territoriale nel giudizio di rinvio: “nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria, contesti, recuperando l’imposta non versata, la non imponibilità ai fini IVA – ai sensi del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 41, comma 1, lett. a), prima parte, conv. in L. 29 ottobre 1993, n. 427 – della cessione intracomunitaria di beni a titolo oneroso, per difetto del presupposto della introduzione dei beni ceduti nel territorio di altro Stato membro, grava sul cedente – in applicazione del criterio di riparto dell’onere probatorio – la prova dei fatti costitutivi del diritto che intende far valere in giudizio, non essendo sufficiente a tal fine la prova di aver richiesto ed ottenuto la conferma della validità del numero di identificazione attribuito a cessionario da altro Stato membro (D.L. n. 331 del 1993, art. 50 commi 1 e 2) e di aver debitamente indicato tale numero nella fattura emessa ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 46, comma 2, occorrendo invece, – avuto riguardo alla espressa previsione del D.L. n. 331 del 1993, art. 41, comma 1, lett. a), secondo cui la cessione non imponibile si realizza mediante il trasporto o la spedizione dei beni nel territorio di un altro Stato membro – la prova della effettiva destinazione dei beni ceduti nel territorio dello Stato membro in cui il cessionario è soggetto di imposta”.

Rimane assorbito nella pronuncia di accoglimento del ricorso il secondo motivo, con il quale la ricorrente investe la sentenza in relazione alle medesime questioni di diritto sollevate con il primo motivo, limitandosi ad evidenziare la inconferenza al caso concreto delle circolari amministrative citate in sentenza dai Giudici territoriali, e richiamate, peraltro, solo ad integrazione e supporto degli argomenti motivazionali sviluppati e dunque non a fondamento di autonome “rationes decidendi”.

5. In conseguenza il ricorso trova accoglimento nei limiti indicati in motivazione (paragr. 4.2, con riferimento al capo della sentenza di appello concernente le “operazioni intracomunitarie”) e la sentenza impugnata va cassata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Liguria che si atterrà al principio di diritto enunciato (paragr. 4.2.1 motivazione) provvedendo all’esito anche alla liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero della Economia e delle Finanze, compensando interamente tra le parti le spese di lite;

– accoglie il ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate, quanto al primo motivo – nei limiti indicati in motivazione – e per l’effetto cassa la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Liguria che si atterrà al principio di diritto enunciato (paragr. 4.2.1 motivazione), provvedendo all’esito anche alla liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2011

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