Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20566 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. I, 29/09/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 29/09/2020), n.20566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. IOFFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 16329-2016 r.g. proposto da:

B.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato

Nazario Agostini, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Paolo

Emilio n. 28, presso lo studio dell’Avvocato Andrea Recchi;

– ricorrente –

contro

M.R. (cod. fisc. (OMISSIS)) e G.A.,

rappresentati e difesi, giusta procura speciale apposta in calce al

controricorso, dagli Avvocati Sergio Gabrielli e Norberto Manenti,

elettivamente domiciliati in Roma, Viale Giulio Cesare n. 61, presso

lo studio dell’Avvocato Manenti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona, depositata in

data 18.3.2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/9/2020 dal Consigliere Dott. Amatore Roberto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha chiesto dichiararsi il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito, per i controricorrenti, l’Avv. Manenti, che ha chiesto

respingersi l’avverso ricorso ed accogliersi il ricorso incidentale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Ancona ha parzialmente accolto l’appello principale proposto da M.R. e G.A. nei confronti di B.M., avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Ascoli Piceno del 12.11.2009, rigettando pertanto la domanda proposta dal B. e diretta ad accertare il grave inadempimento contrattuale in relazione al contratto di cessione di quote intercorso tra le parti, con conseguente risoluzione del contratto ed obbligo restitutorio di quanto già versato a titolo di corrispettivo.

Il B. aveva invero lamentato con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado che i convenuti avevano ignorato i suoi solleciti volti al perfezionamento del contratto di cessione delle quote della società Auru s.n.c., mediante autentica delle firme, così impedendo – con il loro inadempimento ad un obbligo contrattualmente assunto – la necessaria annotazione sul registro delle imprese del predetto contratto di cessione ed anzi favorendo a loro vantaggio una seconda cessione, non autorizzata, dell’intero capitale sociale della Auru s.n.c. in favore di D.M. e Bi.Lo., al prezzo complessivo di Euro 61.975, in virtù di scrittura privata datata 1.10.2003 ed autenticata nelle firme in data 13.11.2003.

Gli odierni controricorrenti avevano invece lamentato, nel giudizio di primo grado, il mancato pagamento da parte del B. della somma pari ad Euro 23.363,27, quale saldo del corrispettivo pattuito per la cessione di 1/3 dell’intero capitale sociale della predetta società Auru s.n. c, dispiegando sul punto domanda riconvenzionale con la quale era richiesto pertanto il pagamento in loro favore della menzionata somma.

Il Tribunale di Ascoli Piceno aveva, all’esito del giudizio di primo grado, accolto la domanda proposta dall’attore, pronunciando la risoluzione del contratto di cessione delle quote della Auru s.n.c. e condannando G. e M. alla restituzione in favore dell’attore della somma pari ad Euro 59.392,54, quale corrispettivo versato dal B. per l’acquisto delle quote sociali. Il giudice di prime cure rigettava invece la domanda riconvenzionale. Il Tribunale aveva fondato le menzionate decisioni, in primo luogo, ritenendo il contratto intercorso tra le parti un negozio definitivo di trasferimento della titolarità della quote, e ciò sulla base della qualificazione in tal senso della scrittura privata del 13.1.2000, con la conseguente affermata piena ed esclusiva proprietà in capo al B. della menzionata partecipazione societaria. Il giudice di prima istanza aveva tuttavia escluso che il B. avesse pagato integralmente il corrispettivo pattuito nella somma di Lire 150 milioni, fondando tale convincimento sul riconoscimento prestato dai convenuti al pagamento della minor somma pari a Lire 115 milioni e giustificando però tale parziale inadempimento da parte dell’attore sulla base della considerazione del corrispondente inadempimento dei convenuti all’obbligo di formalizzazione del contratto di cessione tramite autenticazione delle sottoscrizioni. Il tribunale aveva infine considerato grave l’inadempimento dei convenuti, in ragione, da un lato, dell’omessa restituzione all’attore della somma già versata pari a Lire 115 milioni per la cessione delle quote, nonostante il rifiuto alla formalizzazione del negozio e, dall’altro, della cessione dell’intero capitale sociale a terzi, nonostante la mancata autorizzazione del B.. La corte del merito ha invece ritenuto, sulla base di una completa rivisitazione delle prove documentali e testimoniali acquisite, che il B. fosse consapevole e concorde con gli altri soci in ordine alla volontà comune di alienare il complessivo capitale sociale a D.M. e Bi.Lo., così fondando tale convincimento sulla base della circostanza riferita dai testi – della partecipazione del B. ad almeno uno degli incontri con D.M. e Bi.Lo. per la definizione dell’operazione di cessione e della cogestione, unitamente alla madre P., del ristorante che costituiva l’oggetto dell’attività sociale.

2. La sentenza, pubblicata il 18.3.2016, è stata impugnata da B.M. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui G. e M. hanno resistito con controricorso, con il quale hanno anche avanzato ricorso incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1321 c.c., art. 1325 c.c., comma 1, n. 1, e dell’art. 1326 c.c.. Si evidenzia come erronea e violativa dei principi normativi ora richiamati l’affermazione contenuta nella motivazione impugnata secondo cui anche il B. era concorde con gli altri soci nella iniziativa di cessione delle quote a terzi, in quanto la corte territoriale non aveva specificato in quale modo fosse stato raggiunto l’accordo tra le parti per la conclusione del predetto negozio. Si osserva come nessun testimone escusso avesse confermato la predetta circostanza e che, anzi, la diversa versione dei fatti allegata dal ricorrente fosse stata confermata dalla teste P. e indirettamente confortata anche dalla natura vessatoria delle condizioni di vendita delle quote che non avrebbero mai raccolto il consenso del B. per una alienazione ad un prezzo eccessivamente ribassato rispetto a quello di acquisto intervenuto pochi mesi prima.

2. Il secondo mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’omessa comunicazione a B. da parte di G. e M. della volontà di vendita a terzi dell’intero capitale sociale per un prezzo infimo e della contemporanea volontà di utilizzare integralmente il corrispettivo della vendita per ripianare l’esposizione debitoria della società Auru s.n.c. ed in relazione alla circostanza della cogestione del ristorante “Perbacco” da parte del B. ed infine in relazione alla valutazione delle testimonianze.

3. Il ricorso principale è inammissibile.

3. In primo motivo è inammissibile per come formulato.

3.1.1 Sul punto, non è inutile ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).

3.1.2 Ciò posto, osserva la Corte come il ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretenda ora una ricognizione della fattispecie concreta tramite la rilettura degli atti istruttori, per accreditare una versione diversa dei fatti conforme alla tesi perorata nei suoi scritti difensivi, e cioè una ricostruzione della vicenda negoziale che escluda la partecipazione consapevole del B. al contratto di cessione delle quote ai terzi sopra indicata, così proponendo censure che si pongono ben al di là del perimetro delimitante la cognizione di questo giudice di legittimità.

3.2 Anche il secondo motivo non supera invero il vaglio di ammissibilità.

In tal caso il ricorrente ripete la richiesta di nuovo apprezzamento delle fonti di prova, già scrutinate dai giudici del merito, declinando tuttavia il diverso vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La censura, sebbene diversamente articolata in rubrica, è comunque inammissibile.

3.2.1 Sul punto, occorre ancora una volta ricordare che, secondo la giurisprudenza di vertice espressa da questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Detto altrimenti ma sempre con le parole delle ricordate Sezioni Unite, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

3.2.2 Anche in tal caso il ricorrente pretende una rilettura delle dichiarazioni rese dai vari testimoni, proponendo una interpretazione probatoria diversa e più conforme alla sua linea difensiva, senza allegare quali “fatti storici” fossero stati non esaminati e quali rivestissero valenza decisiva nel senso sopra chiarito.

Senza contare che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice. Ed invero, il fatto storico dell’intervenuta partecipazione del B. alla stipulazione del negozio di cessione di quote è stato considerato dalla corte meritale, attraverso una valutazione probatoria che ha preso in considerazione sia l’esito della prova testimoniale che altre circostanze indiziarie emerse nel corso dell’istruttoria.

Pretendere ora una rivalutazione del materiale probatorio significherebbe ammettere l’esame di un vizio di motivazione che tuttavia non è più declinabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. Il ricorso incidentale va invece rigettato.

4.1 Lo stesso presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.

4.1.1 Il primo profilo di censura, declinata come violazione degli artt. 1697, 2702, 2721, 2726 e 2730, in relazione agli artt. 115 e 116 c.c. ed in riferimento alla ritenuta raggiunta prova del pagamento da parte del B. dell’intero corrispettivo per la cessione di un 1/3 delle quote, deve essere dichiarato inammissibile, per novità delle questioni prospettate, posto che le stesse non risulta che fossero state proposte nelle precedenti fasi di merito del giudizio. Nè la parte ricorrente in via incidentale ha puntualmente allegato in quale scritto difensivo le doglianze fossero state in precedenza dedotte.

4.1.2 In relazione al secondo profilo di censura, declinato in riferimento alla presunta confessione del B. circa il pagamento di una sola parte del corrispettivo pattuito, occorre ancora ricordare che secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte le ammissioni contenute negli scritti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem, non hanno valore confessorio, ma costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento, mentre neppure valore indiziario hanno le ammissioni del procuratore contenute in atti stragiudiziali (Sez. 1, Sentenza n. 20701 del 02/10/2007; Sez. 3, Sentenza n. 4475 del 24/02/2011; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7702 del 19/03/2019).

Orbene, non emerge nè la parte controricorrente ha allegato che la comparsa, nella quale sarebbe contenuta l’affermazione confessoria sopra ricordata, fosse stata sottoscritta dalla parte personalmente, sicchè non può conferirsi decisività alla circostanza allegata nel motivo di ricorso incidentale.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta quello incidentale; compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

 

 

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