Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20564 del 30/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 30/08/2017, (ud. 16/06/2017, dep.30/08/2017),  n. 20564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16439-2016 proposto da:

L.S., rappresentato e difeso dall’avv. GIANPAOLO MASSA e

domiciliato ex lege presso la Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

LA ROTONDA SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2202/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 14/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/06/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Corte di Appello di Torino, con sentenza 14.12.2015, ha rigettato l’appello proposto da L.S. contro la sentenza del Tribunale (n. 5916/2012) che aveva revocato il decreto ingiuntivo per Euro 31.000, oltre interessi e spese, ottenuto dal L. nei confronti della società La Rotonda srl a titolo di restituzione della caparra confirmatoria versata dal primo in relazione ad un preliminare di vendita di un immobile stipulato con la società (promittente venditrice).

Per giungere a tale soluzione la Corte di merito – per quanto ancora interessa in questa sede – ha osservato che il recesso della società promittente venditrice con diritto a trattenere la caparra trovava giustificazione nel fatto che il promissario acquirente non aveva dimostrato di essersi neppure attivato per ottenere il mutuo dalla banca e quindi non poteva invocare l’applicazione della clausola n. 30 del preliminare, che subordinava l’efficacia del contratto all’accettazione del mutuo richiesto dalla parte promissaria acquirente entro e non oltre il 30.9.09.

Contro tale decisione il L. ricorre per cassazione sulla base di un unico motivo sviluppato in una duplice articolazione.

La società La Rotonda in liquidazione non ha svolto difese.

Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 1362,1322,2725,2698,1355,2697 e 2727 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., art. 183 c.p.c., commi 7, 8 e 9. Omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5).

Assume in particolare che la Corte d’Appello avrebbe errato nell’imporgli, quale promissario acquirente, l’onere di produrre la documentazione bancaria comprovante l’istruttoria e il rifiuto della concessione del mutuo: a suo dire, la clausola dell’art. 30 del preliminare faceva dipendere l’efficacia della condizione alla volontà della banca; ritiene quindi che la Corte di merito doveva consentirgli di provare non solo con documentazione bancaria ma anche in altro modo, di essersi attivato per ottenere il mutuo, atteso il chiaro tenore letterale della clausola contrattuale con cui, attraverso l’uso del participio passato (“richiesto”) si dava atto che il promissario acquirente già aveva formulato domanda di mutuo.

Il motivo è manifestamente infondato sotto entrambi i profili in cui si articola.

Innanzitutto, non si comprende quale sia il fatto decisivo che la Corte d’Appello avrebbe omesso di esaminare, posto che il tema essenziale era proprio l’inadempimento del preliminare e su tale argomento i giudici di merito si sono espressi con una soluzione del tutto coerente, che piaccia o meno al ricorrente.

Inoltre, quanto alla censura sul rigetto dell’istanza di prova testimoniale, va osservato che la Corte ha motivato (v. penultima pagina) ed il vizio di motivazione oggi non è più censurabile in sede di legittimità come si evince dal chiaro disposto del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Sulle plurime violazioni di legge denunziate in tema di interpretazione del contratto, come costantemente affermato da questa Corte, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e ss. (tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 13242 del 31/05/2010 Rv. 613151 01; Sez. 2, Sentenza n. 17717 del 29/08/2011 non massimata; Sez. L, Sentenza n. 17168 del 09/10/2012 Rv. 624346 – 01).

In ogni caso – e sempre per giurisprudenza costante – per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007 Rv. 595003; Sez. 2, Sentenza n. 19044 del 03/09/2010 Rv. 614628; Sez. 3, Sentenza n. 15604 del 12/07/2007 Rv. 598587 in motivazione).

Nella fattispecie in esame non si ravvisano vizi di motivazione (peraltro neppure più denunziabili alla luce del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5) o specifiche violazioni di regole di ermeneutica, perchè la Corte d’Appello, attraverso un percorso logicamente coerente e giuridicamente corretto, è pervenuta ad una delle possibili interpretazioni del contenuto della clausola (attività su cui concorda lo stesso ricorrente, come si evince dallo stesso ricorso a pag. 26 punto 3), ed ha concluso qualificando la clausola n. 30 come condizione risolutiva del preliminare operante in caso di mancata concessione del mutuo, ma sempre che si sia data dimostrazione della avvenuta presentazione, da parte del promissario acquirente, di una formale domanda alla banca, dimostrazione, nel caso di specie – e sempre secondo l’apprezzamento del giudice di merito – non fornita non essendo stato prodotto “un solo documento attestante presso quale banca fosse in corso l’istruttoria e i motivi per i quali essa non sia andata a buon fine entro il successivo termine contrattuale”.

In conclusione il ricorso va respinto, senza alcun addebito di spese alla parte soccombente, stante il mancato svolgimento di attività difensiva dell’altra parte.

Considerato che il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, per cui ricorrono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 -quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2017

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