Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20562 del 12/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 12/10/2016, (ud. 05/04/2016, dep. 12/10/2016), n.20562

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29117-2011 proposto da:

AZIENDA AGRICOLA S FRANCESCO DI G.R. SAS, (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZZA DI VILLA CARPEGNA 43 C/0

GREGORIS, presso lo studio dell’avvocato PIETRINA SOPRANO,

rappresentato e difeso dagli avvocati OTELLO BIGOLIN, GIORGIO

MASSAROTTO;

– ricorrente –

contro

CEVA VETEM SPA, in persona dei legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE B.BUOZZI 77, presso lo

studio dell’avvocato FILIPPO TORNABUONI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ALFREDO TALENTI;

– controricorrente –

e contro

FILOZOO SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 965/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2016 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato MAIOLINO Angelo, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato MASSAROTTO Giorgio, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento delle difese esposte ed in atti;

udito l’avvocato TORNARUONI Filippo, difensore della resistente che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Nel 1992 l’azienda agricola S. Francesco di G.R. sas ha agito per il risarcimento dei danni causatile dalla somministrazione ai propri maiali da allevamento di mangimi contaminati da sostanze proibite.

Stando al ricorso, l’azienda ha accertato nelle carni suine vendute al cliente abituale Salumificio Lovison la presenza di un antibiotico sulfamidico vietato dal (OMISSIS).

Ha pertanto convenuto in giudizio la Filozoo Rhone Poulenc (oggi Filozoo spa) venditrice in febbraio 1991 del prodotto (OMISSIS) e la Società Nuova Agricoltura sas di D.R., che le aveva fornito in (OMISSIS) i prodotti (OMISSIS), nonchè la produttrice di questi ultimi, spa Centralvet, ora Ceva Vetem spa.

Il giudice onorario aggregato del tribunale di Treviso, in contumacia di Nuova Agricoltura sas, ha rigettato la domanda, in mancanza di prova della somministrazione agli animali proprio di quel mangime e non di altri prodotti provenienti da altre fonti.

La Corte di appello di Venezia ha dichiarato inammissibile il gravame nei confronti di Nuova Agricoltura sas, pur costituitasi in secondo grado, perchè soggetto estinto prima della notifica dell’atto di appello, a seguito di cancellazione dal registro delle imprese.

Ha rigettato l’appello nei confronti delle altre due società.

L’azienda agricola S. Francesco ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria.

Ha resistito solo Ceva Vetem spa con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e vizi di motivazione.

La ricorrente afferma che sia stata data la prova della somministrazione del mangime adulterato ai suini.

Assume che questa prova era desumibile dalla non contestazione in primo grado da parte delle convenute, che si erano difese eccependo: Centralvet, la sola decadenza per tardività e la Filozoo, la sola ammissibilità e rilevanza del deposito nella causa ordinaria del fascicolo del procedimento “per ATP preventivamente promosso”.

Parte ricorrente deduce che in ogni caso la prova avrebbe dovuto essere tratta per presunzioni, essendovi “inferenza probabilistica in forza del seguente ragionamento: “se vengono comprati dei mangimi adulterati da sulfametazina e tale sulfametazina, in un contesto temporalmente sostenibile in termini di somministrazione di mangimi ed analisi delle carni, venga rinvenuto nei suini allevati con tali mangimi, è possibile sostenere che l’assunzione di quei mangimi adulterati hanno avuto incidenza causale, almeno concorrente” nel ritrovamento della stessa nelle carni degli animali.

La censura è fondata con riguardo alla violazione delle norme sulle presunzioni e alla carenza della motivazione.

Il giudice di primo grado aveva negato la forza presuntiva delle circostanze provate e soprariferite, perchè aveva ritenuto necessario un ulteriore elemento costituito dall’acquisto di mangimi esclusivamente dalle aziende convenute.

La sentenza di appello non spiega, se non con apodittiche affermazioni di principio, perchè le “produzioni documentali, le risultanze degli accertamenti tecnici e le deposizioni testimoniali richiamate dall’appellante” siano, come reca la motivazione “inidonee ad evidenziare l’assolvimento dell’onere della prova condivisibilmente escluso dal primo giudice”.

La Corte di appello riconosce (undicesima e dodicesima riga di pag. 6) che le analisi compiute nell’accertamento tecnico preventivo e nella ctu avevano evidenziato la presenza di sulfametazina nei prodotti venduti dalle società appellate.

Nega però che la prova della somministrazione ai maiali di prodotti adulterati da questa sostanza si possa desumere per presunzione a fronte della circostanza (quart’ultimo rigo di pag. 6) che vi era “presenza di sulfametazina nei prodotti e negli stessi suini in mancanza di qualsiasi prova in ordine ai mangimi dati ai suini, acquistati dalle parti o da terzi”.

In sostanza, così come aveva già fatto il giudice di primo grado, i giudici distrettuali hanno preteso che fosse data la prova diretta della avvenuta somministrazione di quel mangime e solo di quello.

2.1) In tal modo però si nega valore probatorio all’istituto della prova mediante presunzioni, che è prevista nel nostro codice e che può avere valore di prova piena.

Si tratta pertanto non di una valutazione sulla portata probatoria dei fatti noti, ma di una risposta del tutto incongrua.

L’analisi doveva essere portata sui singoli fatti documentati, da analizzare singolarmente e cumulativamente.

A quanto sembra comprendersi dalla stessa sentenza, le seguenti circostanze erano incontroverse: la certezza della avvenuta vendita; la esistenza di adulterazioni del prodotto venduto, esaminato in parti insospettabili di esso (sacchi “chiusi ed integri”, secondo il testo della ctu riportato in ricorso a pag. 4); l’esito di numerosi controlli privati effettuati dal laboratorio (OMISSIS) (prova atipica liberamente valutabile, costituita da una certificazione di un laboratorio, significativamente coincidente con l’esito delle indagini peritali giudiziarie); la presenza delle medesime sostanze nella carne dei maiali allevati dalla azienda attrice.

Ad un esame logico astratto, tali circostanze, se ammesse, possono avere, unitariamente considerate, la portata di fatti noti da cui risalire al fatto ignorato, cioè alla circostanza che quel mangime sia stato somministrato dall’acquirente ai propri suini da allevamento.

In ogni caso il giudice di merito per ammettere o escludere tale portata deve interrogarsi sulla presenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza delle circostanze (nel senso di cui all’art. 2727 c.c.) addotte e quindi sulla loro idoneità, nel contesto probatorio completo, a divenire presunzioni, cioè conseguenze dei fatti noti.

Ciò non ha fatto e sarà compito del giudice di rinvio procedere in tal senso.

3) La smentita della portata probatoria può essere data dalla esistenza di risultanze che contraddicono le circostanze o le presunzioni che se ne siano tratte, ma tali rilievi non si desumono adeguatamente dalla sentenza impugnata.

Il ricorso sottolinea l’approssimazione con cui è stata valutata la deposizione Lovison.

Essa è stata considerata non giovevole all’attrice perchè non aveva dato “assoluta conferma” degli alimenti “somministrati dall’attrice ai maiali”, che è la medesima richiesta di prova ulteriore, che si è già spiegato essere estranea al valore probatorio intrinseco delle presunzioni.

Ma la doglianza è fondata anche con riguardo all’oscura frase con cui la Corte di appello considera inutilizzabile il fatto che il teste abbia riferito la presenza del farmaco anche in suini da lui commerciati che sarebbero provenienti dalla stessa azienda.

La Corte ha rilevato che il teste si è riferito a accertamenti fatti nel (OMISSIS) e che ciò esclude la derivazione delle contaminazioni dai prodotti acquistati nell'(OMISSIS). Fin qui la valutazione è ovvia, e comunque logica e congrua; ma non lo è più nel momento in cui la Corte nega che il mangime acquistato il (OMISSIS) da Filozoo potesse aver contaminato i maiali esaminati nel marzo.

I “tempi ristretti” tra acquisto e riscontro, cui allude la sentenza, lungi dall’essere un indizio a sfavore della ricorrente possono essere in astratto intesi in senso opposto, giacche occorre aver riguardo alla probabilità che il prodotto acquistato venga con una certa rapidità (per evitare inutili giacenze) somministrato agli animali.

Il tempo di oltre un mese doveva essere considerato quindi alla luce delle abitudini di rifornimento degli allevatori, della emivita dei farmaci di cui si trattava e di ogni altra utile circostanza acquisibile, anche mediante consiglio tecnico, per stabilire se su basi conoscitive scientifiche o comunque probabilistiche, fosse verosimile o meno che il mangime adulterato acquistato per allevamento fosse stato somministrato dall’allevatore acquirente agli animali su cui la medesima adulterazione era risultata presente.

La valutazione data dalla Corte di appello presta quindi il fianco alla censura di motivazione illogica che è stata addotta in ricorso (pag. 13 in fine).

L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta che è superfluo esaminare secondo e terzo motivo, relativi ai danni subiti e al loro addebito in solido alle parti convenute.

Le questioni ivi poste dovranno essere esaminate dalla Corte di appello qualora dovesse affermare la responsabilità delle convenute per i danni lamentati e da accertare.

La sentenza impugnata va cassata e la cognizione, anche in considerazione della sede delle parti (tra (OMISSIS)) può essere rimessa ad altro ufficio giudiziario, meno gravato, che si individua nella Corte di appello di Trento.

Il giudice di rinvio effettuerà anche la liquidazione delle spese di questo giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Trento, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile, il 5 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2016

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