Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20562 del 06/10/2011
Cassazione civile sez. I, 06/10/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 06/10/2011), n.20562
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
G.B., G.G.A., C.
C., G.F., G.V., G.G., D.
M.E., F.R., C.A., L.
F., L.R., L.G., F.
F., G.L., con domicilio eletto in Roma, Via Giulio
di Colorendo n. 46/48 presso l’Avv. DE PAOLA Gabriele che li
rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;
– intimata –
per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Roma n. 4509
rep. depositato il 31 agosto 2009.
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
giorno 28 settembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio
Zanichelli;
sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LETTIERI Nicola, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Le parti in epigrafe ricorrono per cassazione nei confronti del decreto della Corte d’appello che ha dichiarato improponibili i loro ricorsi con i quali è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti alla Corte dei Conti dei Lazio dal 10.10.1998 al 14.12.2006.
L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.
Il P.G. ha depositato memoria.
Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, per avere la Corte d’appello ritenuto improcedibili le domande di equo indennizzo proposte dai ricorrenti in quanto non sufficientemente documentate quanto all’esistenza e alla pendenza del giudizio presupposto senza esercitare il potere di acquisizione del fascicolo del giudizio stesso.
Prescindendo dalla considerazione che la mancata dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto azionato atterrebbe semmai alla fondatezza della domanda e non alla sua proponibilità, la censura è fondata, essendo principio già acquisito quello secondo cui “In tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, la legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2) affida l’accertamento in concreto della violazione al giudice: la parte ha indubbiamente un onere di allegazione e dimostrazione, ma esso riguarda la sua posizione nel processo, la data iniziale di questo, la data della sua definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato, e spetta poi al giudice – sulla base dei dati suddetti e di quelli eventualmente addotti dalla parte resistente – verificare in concreto e con riguardo alle singole fattispecie se vi sia stata una violazione del termine ragionevole, avvalendosi anche – secondo il modello processuale di cui all’art. 737 cod. proc. civ., e segg., adottato dalla legge (art. 3, comma 4, legge cit. – di poteri di iniziativa, i quali si estrinsecano attraverso l’assunzione di informazioni che, espressamente prevista dall’art. 738 cod. proc. civ., non resta subordinata all’istanza di parte. Pertanto, il giudice – pur non essendo obbligato ad esercitare tali poteri, potendo attingere “aliunde” le fonti del proprio convincimento – non può ascrivere alla parte una asserita carenza probatoria superabile con l’esercizio dei poteri di iniziativa d’ufficio, nè, tanto meno, può ignorare la richiesta della parte ricorrente di acquisire, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, gli atti del processo presupposto e fondare il proprio convincimento su mere ipotesi in ordine alle cause della durata dello stesso” (Sez. 1, Sentenza n. 17249 del 28/07/2006).
La fondatezza del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo basato sulla asserita sufficienza del materiale probatorio in atti e sul difetto di contestazione da parte dell’Amministrazione.
Il ricorso deve dunque essere accolto e cassato il decreto impugnato con rinvio della causa, anche per le spese, al giudice a quo che si atterrà al principio enunciato.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2011