Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20560 del 06/08/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 20560 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 5532-2017 proposto da:
IPER MONTEBELLO

S.P.A.,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
‘n ROMA, VIA A. POLIZIANO, 76, presso lo studio
dell’avvocato STEFANO ROSSI, rappresentata e difesa
dall’avvocato DAVIDE GIUSEPPE SPORTELLI, giusta delega
2018

in atti;
– ricorrente –

1873

contro

– VIDA ANGELO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 06/08/2018

SABINA CICCOTTI,

che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MASSIMO RAFFA, giusta delega
in atti;
– QUAI MARIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
BARBERINI

36,

rappresentato e difeso dall’avvocato

controrícorrenti –

avverso la sentenza n.

154/2016 della CORTE D’APPELLO

di TRIESTE, depositata

il 19/08/2016,

R. G. N.

344/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

09/05/2018

dal Consigliere Dott. ROSA

ARIENZO;
udito l’Avvocato ALBERTINA PEPE per delega DAVIDE
GIUSEPPE SPORTELLI;
udito l’Avvocato SABINA CICCOTTI;
udito l’Avvocato STEFANO QUEIROLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

STEFANO QUEIROLO, giusta delega in atti;

FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 19.8.2016, la Corte di appello di Trieste, in
parziale riforma della sentenza definitiva del Tribunale di Udine – che
aveva, con sentenza non definitiva, escluso la legittimazione passiva
di alcuni degli originari intimati (compagnie di brokeraggio) ed aveva,

e dichiarava l’illegittimità del licenzia—mento intimato da Iper
Montebello s.p.a. nei confronti di Angelo Vida il 31-.8.2005, ordinava
alla società di reintegrare il predetto nel posto di lavoro sino al
sopravvenire di valida causa di risoluzione del rapporto stesso e la
condannava a pagare al Vida le retribuzioni maturate dal settembre
2005 in poi, con gli accessori di legge, confermando nel resto
l’impugnata decisione.
2. Rilevava la Corte che erano fondati i motivi dell’appello principale
del Vida quanto alla violazione dell’art. 2087 c.c. e del d. Igs. 626/94
sul rilievo che il predetto, assunto quale ausiliario alla vendita con
diritto all’applicazione della I. 104/92, era affetto da diabete mellito
con ulcera piantare al piede e che la riduzione dei turni di lavoro,
applicata dall’azienda dopo un infortunio occorso al lavoratore nel
marzo 2004, non era sufficiente a tutelare la sua condizione di
invalido, occorrendo un totale ripensamento del lavoro e delle
mansioni da affidare allo stesso (sottoposto ad un carico lavorativo
usurante), a ciò conseguendo che le assenze dal lavoro del ricorrente
ed appellante dal febbraio 2005 in poi erano ascrivibili a detta carente
e non adeguata organizzazione del lavoro e, quindi, irrilevanti ai fini
del computo del periodo di comporto. Doveva, secondo la Corte,
essere respinta ogni pretesa risarcitoria fondata sul preteso episodio
infortunistico del 25.2.2005, laddove andava, invece, accolta, per le
ragioni esposte, la domanda proposta in relazione al licenziamento
per superamento del periodo di comporto, in ragione dell’ascrivibilità

con sentenza definitiva, respinto integralmente il ricorso -, accertava

dello stato di malattia del ricorrente alla sua precedente adibizione a
mansioni incompatibili con le condizioni di salute.
3. Quanto alla domanda di risarcimento del danno da infortunio, la
dinamica di quest’ultimo era ritenuta incompatibile con la descrizione
datane dall’interessato e veniva escluso che le ulcere al piede fossero

costituissero complicanza della patologia diabetica sofferta. Da ciò
discendeva che fossero liberi da ogni pretesa gli appellati Quai, Zurich
e Generali Ass.ni in quanto chiamati in causa per la sola manleva
della società Iper Montebello quanto alle pretese risarcitorie.
4. Di tale sentenza domanda la cassazione la spa IPER Montebello,
affidando l’impugnazione a quattro motivi – illustrati nella memoria
depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. -, cui resistono, con distinti
controricorsi, Angelo Vida e Mario Qual. Le altre parti intimate non
hanno svolto attività difensive.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, si denunzia violazione e falsa applicazione
dell’art. 112 c.p.c. ed è dedotta nullità della sentenza per avere la
Corte d’appello accertato il superamento del comporto quale
conseguenza dell’assegnazione a mansioni non confacenti allo stato di
salute del Vida, in assenza di specifica domanda di parte – vizio di
extrapetizione e mutatio libelli (art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.) -, sul rilievo
che l’inesistenza dell’infortunio del 25 febbraio 2005 e comunque
l’esclusione di ogni incidenza causale sulle patologie, su cui si
fondavano le pretese reintegratorie e risarcitorie del Vida sia in primo
grado che in appello, erano state confermate dalle c.t.u. disposte sia
in primo che in secondo grado, e che il ricorrente non aveva mai
chiesto che fosse accertata l’illegittimità del licenziamento per essere
il superamento del comporto da imputare allo svolgimento di

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conseguenze del sinistro, essendo stato accertato che le stesse

mansioni incompatibili con il suo stato di salute. Si assume che non
era mai stata seguita tale prospettazione nel ricorso introduttivo di
primo grado e che l’eccezione al riguardo era stata tempestivamente
sollevata dalla Iper Montebello in sede di appello, allorchè controparte
aveva introdotto per la prima volta il tema delle mansioni

precisamente nelle memorie del 10.6.2016 ed all’udienza di
discussione del 23.6.2016, ove aveva posto in essere una
inammissibile mutatio libelli, rispetto alla quale non poteva esservi
pronuncia. Vi era stata, secondo l’assunto, una sostanziale
modificazione della causa petendi, fondata su situazioni giuridiche
non prospettate prima e fondate su un fatto costitutivo radicalmente
differente, con conseguente mutamento del thema decidendum.
2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione
dell’art. 134 c.p.c. ed è dedotta la nullità del secondo grado di
giudizio per avere la Corte di appello disposto la rinnovazione della
c.t.u. con ordinanze non motivate. Si sostiene che sia stato nominato
nuovo ausiliare in relazione a quesiti relativi a questioni già risolte in
prime cure e che la Corte del merito, oltre che all’accertamento del
nesso di causalità tra infortunio e malattia, ha avuto riguardo alle
“emergenze istruttorie maturate anche medio tempore riservandosi il
relativo quesito” in modo illegittimo nella parte in cui, senza domanda
del Vida, è stata estesa l’indagine anche alle mansioni concretamente
svolte dal predetto. Si rileva che la nullità degli atti endoprocessuali
di ammissione della c.t.u. comporti la nullità di tutti i successivi,
inclusa la sentenza impugnata.
3.

Con il terzo motivo, sono ascritti alla decisione impugnata

violazione e falsa applicazione dell’art. 2110 c. c., dell’art 116 c.p.c.
ed omesso esame di un fatto decisivo controverso: omessa pronuncia
sull’assenza di nesso causale tra mansioni assegnate al Vida e
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collegandole al comporto in assenza dell’episodio infortunistico,

superamento del comporto, nonché tra evento infortunistico del 25
febbraio 2005 e superamento del comporto, assumendosi il suddetto
vizio per avere escluso il CTU che le mansioni assegnate al ricorrente,
per quanto non confacenti al suo stato di salute, abbiano concorso in
alcun modo all’aggravamento dello stesso. A fronte di

dell’esclusione di nesso causale anche tra mansioni svolte ed
evoluzione naturale della patologia determinante il superamento del
comporto, la Corte di appello avrebbe tratto conclusioni opposte, non
considerando che il Vida aveva imputato tutte le assenze successive
al 25 febbraio all’infortunio asseritamente subito e non, invece,
all’assegnazione a mansioni non consone al suo stato di salute.
4. In subordine, nel quarto motivo, ci si duole della violazione e falsa
applicazione degli artt. 1218, 2043 e 2236 c.c. e dell’ omesso esame
di un fatto decisivo e controverso, per avere la Corte di appello
escluso la responsabilità del medico competente. Si insiste, per
l’ipotesi di rigetto dei primi tre motivi, per la cassazione della
sentenza nella parte in cui non ha ritenuto ed accertato la
responsabilità del medico competente, dott. Quai, ed il correlativo
obbligo di tenere la società manlevata ed indenne da tutti i danni
cagionati, non solo dei danni non patrimoniali, in tal senso essendo
stata formulata la domanda.
5. Il primo motivo è inammissibile, posto che, ai fini dell’esame della
denunziata extrapetizione, la società ricorrente avrebbe avuto l’onere
di riportare gli esatti termini del ricorso introduttivo, con precisa
trascrizione delle conclusioni ivi rassegnate, al fine di consentire a
questa Corte di verificare l’evidenziato scostamento rispetto al thema
decidendum delineatosi in rapporto ai fatti ed alle ragioni dedotti
nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.

un’inequivocabile ed evidente conclusione della c.t.u. nel senso

6. Va, invero, evidenziato come, ai fini della identificazione della
“causa petendi” posta dalla parte a base della domanda, non rilevano
tanto le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa
avanzata in giudizio, bensì l’insieme delle circostanze di fatto che la
parte pone a base della propria richiesta, sicché è compito precipuo

dai fatti dedotti in causa. Ne consegue che la enunciazione formulata
dalla parte delle ragioni di diritto su cui la sua pretesa si fonda può
valere a circoscrivere la cognizione del giudice solo nella misura in cui
essa stia a significare che la parte medesima ha inteso trarre dai fatti
esposti soltanto quelle e non altre conseguenze giuridiche (cfr., tra le
altre, Cass. 2.3.2006 n. 4598) e tanto non è consentito verificare
nella specie, in assenza di un puntuale richiamo dell’atto introduttivo
nei precisi termini della sua articolazione.
7. Quanto al secondo motivo, quello nello stesso enunciato dalla
ricorrente è un principio che attiene alle nullità della c.t.u. e non alla
ammissione di consulenza tecnica d’ufficio, mezzo istruttorio (e non
prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidata
al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo
potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario
giudiziario. Peraltro, a prescindere dal rilievo che le ordinanze
risultano motivate, anche l’assunto secondo cui l’accertamento del
nesso di causalità tra infortunio e malattia ha avuto riguardo, in
maniera non consentita, ad emergenze istruttorie maturate medio
tempore, con estensione della relativa indagine anche al contenuto
delle mansioni del Vida, è destituito di giuridico fondamento, posto
che il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e nuovi
documenti nel giudizio di appello, previsto dall’art. 345, comma 3,
c.p.c., che deriva dal carattere tendenzialmente chiuso delle fasi di
impugnazione, non opera quando il giudice eserciti il proprio potere di

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del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti

disporre o rinnovare le indagini tecniche attraverso l’affidamento di
una consulenza tecnica d’ufficio (cfr., da ultimo, Cass. 27.6.2017 n.
15945).
8. Va ugualmente disatteso il terzo motivo, in quanto con lo stesso,
in primo luogo, si denunziano inammissibilmente i vizi di cui al 360 n.

omissione di pronunzia ed, in ogni caso, deve rilevarsi che il Vida, nel
controricorso, riporta ampi stralci del ricorso introduttivo, nonché le
relative conclusioni, in cui si evidenzia che l’invocata esclusione dei
periodi di malattia dal comporto era fondata anche sulla asserita
violazione, da parte del datore, degli obblighi posti a tutela delle
condizioni di lavoro e sull’affidamento da parte del predetto di compiti
che avevano determinato un aggravamento dello stato di salute del
lavoratore.
In sentenza si dà atto che, sin dall’inizio della causa, il Vida aveva
rilevato di essere stato assegnato a mansioni incompatibili con il suo
stato di salute, di avere richiesto invano un mutamento delle stesse,
di avere continuato a svolgere compiti che ne aggravavano le
condizione di salute.
9. Ogni altra valutazione effettuata dalla Corte di Trieste sulla base di
quanto risultante dall’elaborato peritale del marzo 2016 (v. pag 19
della sentenza impugnata), in cui il dott. Pellizzo osserva di avere
riscontrato la sottoposizione del Vida, dopo il marzo 2014, ad un
carico lavorativo usurante dell’apparato locomotorio con ripercussioni
sulla sua condizione generale di salute ed evidente incidenza del tipo
di lavoro svolto sulle difficoltà deambulatorie, attiene al merito della
controversia, sicchè le censure, nei termini in cui risultano formulate,
mirano in modo inammissibile a sollecitare una rivisitazione del
merito. Le difficoltà deambulatorie evidenziate in sede di c.t.u. e

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3 e 5 e non quello di cui al n. 4 c.p.c., in relazione ad una prospettata

dimostrate dal ricorso da parte del Vida a presidi ortopedici quale il
tutore rigido alla caviglia e la scarpa con piantare, diversamente da
quanto assume la società ricorrente, sono state dalla Corte ricondotte
a malattie causate dalle circostanze e modalità lavorative, con la
conseguenza che i periodi di assenza derivatine, al pari di quelli

affermato nella sentenza impugnata (cfr. Cass. 7730/04 con riguardo
a soggetto collocato al lavoro ex P. 482/68 e degli oneri datoriali).
10. L’ultimo motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza
e specificità quanto all’individuazione dei termini della proposta
domanda di manleva. Peraltro, è stata esclusa ogni responsabilità del
sanitario, in termini di responsabilità a monte idonea a determinare
l’obbligo del predetto di tenere indenne la società dai danni cagionati
al lavoratore (In tali termini la sentenza a pag 17: Vi furono diverse

visite da parte del medico competente nel 2001 e nel 2002 con
segnalazione pure al Vida di una “qualche possibilità di tutela” ed il
medico competente ebbe a provvedere, ma solo nel senso di
riduzione della durata dei turni lavorativi. Per oltre due anni,
nonostante la vigenza del principio generale di cui all’art. 10 2°
comma I. 68/1999 in tema di adibizione a mansioni non confacenti, le
attività di verifica furono attivate a livello locale solo nel 2003 e per
oltre 2 anni l’impresa nulla fece di concreto al riguardo. La società
Iper Montebello non ha dato prova di avere fornito al servizio di
prevenzione ed al medico competente le informazioni in merito a) alla
natura dei rischi, b) organizzazione del lavoro, programmazione ed
attuazione delle misure protettive e preventive, c) descrizione degli
impianti e degli processi produttivi ai sensi del d. Igs 81/2008 art. 18
comma 2).
11.

Alla luce delle esposte considerazioni, deve pervenirsi al rigetto

complessivo del ricorso.

conseguenti ad infortuni, non rilevano ai fini del comporto, così come

12.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la

soccombenza della ricorrente e sono liquidate, in favore delle parti
costituite, come da dispositivo. Nulla va statuito nei confronti delle
altre parti rimaste intimate.
13.

Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al
pagamento, in favore del Vida e del Quai, delle spese del presente
giudizio di legittimità, liquidate, in favore di ciascuno, in euro 200,00
per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori
come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura
del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma1bis, del
citato D.P.R..
Così deciso in Roma, in data 9 maggio 2018
Il Consigliere estensore
Dott. Rosa Arienzo

115 del 2002.

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