Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20558 del 30/09/2014
Civile Sent. Sez. 3 Num. 20558 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA
PU
SENTENZA
sul ricorso 5618-2011 proposto da:
CARILE
FRANCO
considerato
CRLFNC42C22G479P,
domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da
se medesimo con studio in 60121 ANCONA – C.SO
GARIBALDI 110;
– ricorrente contro
CURCIO
VITTORIA
CRCVTR65T55F537N,
elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI, 13, presso
lo studio dell’avvocato ALDO FERRARI,
che
la
Data pubblicazione: 30/09/2014
rappresenta e difende unitamente all’avvocato VITTORIO
MICUCCI giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente nonchè contro
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE TRASPORTI 80020170561;
avverso la sentenza n. 67/2010 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 22/01/2010 R.G.N. 1315/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/07/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato ALDO FERRARI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
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– intimato –
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’avv. Franco Carile convenne in giudizio, davanti al
Tribunale di Ancona, la dott.ssa Vittoria Curcio e il Ministero
dei lavori pubblici per sentirli condannare, in solido, al
risarcimento dei danni da lui patiti nella qualità di
Espose, a sostegno della domanda, che la Curcio, nominata
commissario governativo della suddetta cooperativa, aveva
deciso di presentare ai competenti uffici tributari, per conto
della società, la denuncia di inizio attività ai fini dell’IVA,
nonché le dichiarazioni annuali IRPEG e ICI, ritenendo che la
cooperativa fosse obbligata a tali adempimenti. Poiché tale
decisione era, a suo dire, errata e costituiva illecito doloso
o colposo, l’attore chiese il risarcimento dei relativi danni.
Presidente della società cooperativa edilizia “Spes”.
Costituitisi entrambi i convenuti, il Tribunale rigettò la 1:S.Jú/
domanda, condannando l’attore al pagamento delle spese.
2.
La sentenza è stata appellata in via principale
dall’avv. Carile e in via incidentale dal Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti; la Corte d’appello di Ancona,
con pronuncia del 22 gennaio 2010, ha respinto entrambi gli
appelli, confermando la sentenza di primo grado e condannando
l’appellante principale al pagamento delle ulteriori spese del
grado in favore dell’appellata Curcio.
Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse
in
questa
sede,
che
nell’azione
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di
responsabilità
extracontrattuale spetta al danneggiato dimostrare l’esistenza
di tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito. Nel caso
di specie, doveva ritenersi che la società cooperativa fosse
tenuta alla denuncia ai fini IRPEG e che, comunque, non potesse
ravvisarsi un comportamento doloso o colposo nella decisione
in capo alla cooperativa.
Quanto al comportamento tenuto dal commissario in ordine
alla gestione della contabilità della società, la Corte ha
osservato che non era possibile affermare che i rilievi
compiuti dal medesimo fossero frutto di un suo comportamento
illegittimo. Né, infine, era stata dimostrata in alcun modo la
sussistenza di un discredito a carico dell’avv. Carile in
conseguenza dell’operato della Curcio.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Ancona
propone ricorso l’avv. Franco Carile, con atto affidato a tre
motivi.
Resiste la dott.ssa Vittoria Curcio con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. in
relazione alla disciplina delle cooperative edilizie (r.d. 28
aprile 1938, n. 1165), nonché in relazione alla insussistenza
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della dott.ssa Curcio di disporre l’apertura di una partita IVA
degli
obblighi
tributari
ipotizzati
dal
commissario
governativo.
Rileva il ricorrente, dopo aver ricostruito tutta la
vicenda storica della cooperativa da lui per lungo tempo
presieduta, che la stessa non era tenuta ad alcun obbligo ai
tenuto dalla dott.ssa Curcio integrerebbe gli estremi
dell’illecito, almeno sotto il profilo dei maggiori costi
sostenuti dai soci – e, quindi, dal ricorrente – per gli
adempimenti fiscali non dovuti.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod.
proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod.
proc. civ. in relazione al capo della domanda relativo alla
pretesa falsità dei bilanci, nonché insufficiente motivazione
sul punto.
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello non avrebbe
ammesso le prove richieste e non avrebbe motivato in modo
adeguato circa la presunta illiceità del comportamento della
dott.ssa Curcio consistente nella denuncia sporta alla Procura
della Repubblica di Pesaro circa la falsità dei bilanci tenuti
dalla società cooperativa. Il punto sarebbe stato
specificamente dedotto, con conseguente omissione di pronuncia
da parte della Corte d’appello.
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fini dell’IVA, né ai fini dell’IRPEG, sicché il comportamento
,
3. I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto tra
loro connessi, non sono fondati.
Essi
mentre contengono una lunga e non necessaria
ricostruzione della normativa relativa alle società cooperative
edilizie, nonché una storia della cooperativa presieduta dal
quali si fonda la sentenza impugnata, la quale resiste alle
censure proposte.
Ed invero la Corte d’appello, richiamando l’ampia e
dettagliata motivazione della sentenza di primo grado, ha
spiegato che: l) non poteva ravvisarsi nel comportamento della
dott.ssa Curcio alcun profilo di dolo o di colpa, in quanto le
attività svolte dalla medesima erano comunque dovute; 2)
neppure era ravvisabile l’esistenza di un comportamento doloso
o colposo per ciò che riguarda le osservazioni compiute dal
commissario circa la tenuta della contabilità; 3) comunque, ove
anche la dott.ssa Curcio avesse sottoposto la cooperativa ad
adempimenti fiscali indebiti, ciò non si sarebbe mai potuto
tradurre in un danno, e tantomeno nei confronti del solo
presidente della medesima (ossia l’odierno ricorrente), dovendo
semmai la legittimazione attiva sussistere in capo alla società
cooperativa e non al suo presidente come persona fisica (punto,
quest’ultimo, neppure affrontato nel ricorso).
In altre parole, la dott.ssa Curcio aveva assunto alcune
iniziative che mancavano, in concreto, di ogni
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potenzialità
ricorrente – non superano le convincenti argomentazioni sulle
dannosa
in quanto, a prescindere dall’esattezza o meno delle
scelte compiute da un punto di vista tributario, nessuna
lesione poteva derivarne a carico dei soci. Anche in relazione
al secondo motivo, concernente la denuncia compiuta alla
Procura della Repubblica di Pesaro, il ricorrente prospetta
conclusa l’indagine penale.
I due motivi di
ricorso in esame,
in sostanza,
ripresentando una serie di elementi già valutati dalla Corte
d’appello, si risolvono nel vano tentativo di ottenere da
questa Corte un nuovo e non consentito esame del merito.
4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod.
proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e
2059 cod. civ., dovendosi ritenere la sicura esistenza di una
danno da lesione all’immagine.
Tale danno, secondo il ricorrente, non doveva essere inteso
come danno-conseguenza, consistendo anche nella «valutazione
negativa che gli altri possono dare della persona».
4.1. Il motivo non è fondato.
.
Il danno alla reputazione e all’immagine, per pacifica
giurisprudenza di questa Corte, è un danno-conseguenza che
richiede, pertanto, specifica prova da parte di chi ne chiede
il risarcimento (v., tra le altre, le sentenze 13 maggio 2011,
n. 10527, 21 giugno 2011, n. 13614, e 14 maggio 2012, n. 7471);
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censure vaghe, senza neppure dare conto di come si sia poi
prova che il giudice di merito, con accertamento non
sindacabile in questa sede, ha ritenuto non essere stata
fornita dall’avv. Carile. E, d’altra parte, mancando il
carattere dell’antigiuridicità del comportamento della dott.ssa
Curcio, non vi sarebbe comunque spazio per un danno
5. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
conformità ai soli parametri introdotti dal decreto
ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare
i compensi professionali.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte
rigetta
il ricorso e
condanna
il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
complessivi euro 3.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese
generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, il 7 luglio 2014.
risarcibile.