Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20558 del 19/07/2021

Cassazione civile sez. II, 19/07/2021, (ud. 16/03/2021, dep. 19/07/2021), n.20558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 20959/2016 proposto da:

L.D., rappresentato e difeso dall’Avvocato Duccio Valeri, con

domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Pietro Sirena in

Roma, via Po, n. 43 (studio Bianca);

– ricorrente principale –

contro

C.O., rappresentata e difesa dagli Avvocati Vittorio

Pisapia, e Corrado Giacchi, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, viale Angelico, n. 32;

– controricorrente al ricorso principale –

e sul ricorso incidentale condizionato proposto da:

C.O., rappresentata e difesa dagli Avvocati Vittorio

Pisapia, e Corrado Giacchi, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, viale Angelico, n. 32;

– ricorrente in via incidentale condizionata –

contro

L.D., titolare della omonima ditta edile individuale,

rappresentato e difeso dall’Avvocato Duccio Valeri, con domicilio

eletto presso lo studio dell’Avvocato Pietro Sirena in Roma, via Po,

n. 43 (studio Bianca);

– controricorrente al ricorso incidentale condizionato –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Firenze n.

921/2016 pubblicata il 13 giugno 2016.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16 marzo 2021 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – In data 30 ottobre 2007, C.O., quale committente, e L.D., quale appaltatore, titolare dell’omonima impresa edile, stipulavano un contratto d’appalto avente ad oggetto opere di ristrutturazione edilizia del complesso immobiliare detto “(OMISSIS)”, sito in (OMISSIS).

Sorta controversia, in particolare sull’esecuzione di alcuni massetti in cemento, con ricorso depositato al Tribunale di Grosseto il 22 giugno 2009, l’appaltatore chiedeva un accertamento tecnico preventivo, che veniva espletato dall’arch. M., il quale depositava relazione di risposta al quesito.

Avvalendosi della clausola arbitrale, ambedue le parti promuovevano in via indipendente ed autonoma il giudizio arbitrale.

2. – Una volta costituito, il collegio arbitrale disponeva una c.t.u., affidata all’ing. Mo., mentre respingeva tutte le istanze di prova orale delle parti. All’esito, con lodo pronunciato il 28 febbraio 2014, recepite sostanzialmente le conclusioni peritali, il collegio arbitrale: (a) dichiarava risolto di diritto ex art. 1662 c.c., il contratto d’appalto; (b) condannava il L. a corrispondere alla C. l’importo di Euro 98.700, oltre interessi, a titolo di penale da ritardo; (c) respingeva la domanda di maggiori danni da ritardo proposta dalla C.; (d) condannava il L. a corrispondere alla C. l’importo di Euro 19.896, oltre interessi, a titolo di risarcimento danni ulteriori da inadempimento contrattuale; (e) condannava il L. a corrispondere alla C. i 3/5 delle spese sostenute per l’a.t.p.; (f) condannava la C. a corrispondere al L. l’importo di Euro 36.076,70, oltre interessi, per corrispettivi maturati; (g) compensava i rispettivi crediti e debiti fino alla reciproca concorrenza, condannando il L. a pagare alla C. l’eccedenza; (h) compensava i 2/5 delle spese legali, ponendo la residua quota a carico del L.; (i) idem per il compenso degli arbitri.

3. – Il L. impugnava il lodo con atto di citazione notificato il 26 luglio 2014.

4. – La Corte d’appello di Firenze, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 13 giugno 2016, ha respinto l’impugnazione proposta dal L., condannandolo al rimborso delle spese processuali sostenute dalla C..

4.1. – La Corte d’appello ha respinto il primo motivo di impugnazione, sulla omessa pronuncia (o sulla pronuncia con totale carenza di motivazione) relativamente alla eccezione di irregolare costituzione del collegio arbitrale.

La Corte di Firenze ha ritenuto prive di pregio le censure (secondo e terzo motivo) concernenti la dichiarata risoluzione di diritto del contratto di appalto in forza della diffida formulata il 9 ottobre 2009 dalla committente. E ciò sul rilievo, per un verso, che la specifica obbligazione sottesa all’accordo dell’8 giugno 2009 intervenuto nell’ambito del verbale di sopralluogo non era affatto estemporanea, bensì costituiva parte essenziale dell’originario impegno contrattuale, essendo l’esecuzione dei massetti parte necessaria in previsione dell’esecuzione dei pavimenti previsti in capitolato; e, per l’altro verso, della circostanza che l’impegno violato, fatto valere ai fini della risoluzione di diritto, costituiva nient’altro che la specificazione contingente dell’originario obbligo contrattuale di garanzia ricadente sull’appaltatore in ordine ai vizi dell’opera.

Respinti il quarto e il quinto motivo, riguardanti l’accoglimento, da parte del collegio arbitrale, della domanda di pagamento della penale da ritardo, la Corte d’appello di Firenze ha, poi, rigettato: il motivo (il sesto) relativo alla supposta insussistenza dell’inadempimento da ritardo dell’appaltatore nel periodo anteriore a quello del deposito della dichiarazione di inizio attività e del deposito del progetto strutturale presso il Genio civile; il motivo (il settimo) sul supposto errore nel configurare un ritardo colpevole nel periodo anteriore all’accordo dell’8 giugno 2009 e nell’addebitare un ritardo precedente all’invio della diffida; la censura (ottavo motivo) sul mancato accoglimento della domanda di riduzione della penale.

La Corte territoriale ha disatteso la prospettata (nono motivo) nullità del lodo per avere il Collegio arbitrale condannato il L. al risarcimento dei danni derivanti dalla cattiva esecuzione di taluni manufatti.

Quanto all’eccezione di tardività della domanda risarcitoria della C. (decimo motivo), la Corte di Firenze ha affermato che l’eventuale proposizione di domande nuove esula dalle ipotesi di nullità sancite dall’art. 829 c.p.c., una volta che le medesime rientrino nei limiti della convenzione di arbitrato e sia consentito alla controparte l’esercizio del diritto di difesa, come pacificamente avvenuto nella specie.

La Corte d’appello ha poi respinto l’undicesimo motivo, concernente l’omessa pronuncia sull’eccezione di omessa denuncia delle opere difettose diverse dai massetti, e disatteso il dodicesimo motivo, sulla supposta contraddittorietà del lodo in punto di liquidazione a favore della C. di Euro 3.000 a titolo di danni per opere difettose diverse dai massetti.

5. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Firenze, notificata il 14 giugno 2016, L.D. ha proposto ricorso, con atto notificato il 12 settembre 2016, sulla base di otto motivi.

Ha resistito, con controricorso notificato il 24 ottobre 2016, C.O., proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, affidato a sette motivi.

Il L. ha notificato controricorso per resistere al ricorso incidentale condizionato.

6. – I ricorsi sono stati avviati alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

In prossimità della Camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative e prodotto documenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, L.D. deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullità della sentenza e dell’intero procedimento, per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sul primo motivo di censura proposto con l’atto di impugnazione del lodo arbitrale, relativo al profilo di nullità del medesimo lodo per irregolare costituzione del collegio arbitrale, per non essere stati gli arbitri nominati nelle forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del titolo VIII del libro quarto del codice civile.

Con il motivo il ricorrente si duole del fatto che – a fronte delle specifiche doglianze contenute nell’atto di citazione del L. davanti alla Corte d’appello, riconducibili alla censura di cui all’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 2), relativa alla nullità del lodo arbitrale per irregolare nomina e costituzione degli arbitri, ed in particolare dell’avv. Daniela Marcucci, componente il collegio, illegittimamente nominata con procedura giudiziale – la Corte d’appello avrebbe dovuto pronunciarsi, accogliendola, su detta censura ritualmente e legittimamente dedotta e devoluta alla sua valutazione, congiuntamente alla diversa ed ulteriore censura relativa al vizio di omessa pronuncia e difetto di motivazione del lodo arbitrale sul punto.

1.1. – Il motivo è infondato.

1.2. – Si tratta di stabilire se con il motivo di impugnazione per nullità del lodo fatto valere dinanzi alla Corte d’appello di Firenze il L. abbia inteso censurare l’invalida costituzione del collegio arbitrale, per non essere gli arbitri stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del titolo sull’arbitrato, o se abbia lamentato l’omessa pronuncia o la carenza di motivazione al riguardo da parte del collegio arbitrale.

1.3. – La Corte d’appello ha ritenuto, all’esito dell’esame dell’atto di citazione, che le doglianze ritualmente proposte si appuntavano sull’ipotesi dell’omessa pronuncia o della carenza di motivazione da parte del collegio arbitrale. E ha giudicato dette doglianze manifestamente prive di fondamento, rilevando che il lodo dedica un intero paragrafo all’argomento (il n. 17) e, quindi, reca una motivazione che soddisfa il requisito di legge (art. 823 c.p.c., n. 5).

1.4. – La statuizione della Corte di Firenze è corretta.

Lo conferma la lettura diretta (consentita, essendo stato denunciato un error in procedendo) dell’atto di citazione, notificato il 26 luglio 2014, con cui il L. ha promosso, dinanzi alla Corte territoriale, l’impugnazione per nullità del lodo arbitrale.

Orienta in tal senso, infatti, non solo il dato formale della rubrica del primo motivo (che compare a pag. 6), con cui è stata prospettata la “nullità del lodo impugnato, a norma dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 12 e/o a norma dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere il collegio arbitrale omesso di pronunciarsi e/o per essersi pronunciato con totale carenza di motivazione sulla eccezione, proposta dalla ditta L., di irregolare costituzione degli arbitri”.

Sono decisivi i passaggi motivazionali conclusivi del motivo, esposti a pagina 9 dell’atto di citazione (paragrafo 2), dove il L. mostra chiaramente di voler proporre la propria censura, non già in ragione di una errata pronuncia sulla eccezione di invalida costituzione del collegio arbitrale, ma rispetto a una prospettata omessa pronuncia su tale eccezione ovvero alla pronuncia sulla stessa con totale carenza di motivazione. Il “vizio denunciato” è “di omessa pronuncia”; “in ogni caso, sul punto il lodo impugnato è nullo per totale carenza di motivazione”. Più in particolare, vi si legge quanto segue:

che a fronte dell’eccezione di irregolare costituzione del collegio arbitrale, il medesimo collegio non ha ritenuto detta eccezione meritevole di accoglimento;

che gli arbitri, tuttavia, si sono limitati ad affermare che la Corte d’appello ha riconosciuto la legittimità della presenza dell’avv. Daniela Marcucci all’interno del collegio e che condividono la motivazione di quella decisione;

– che, senza dire che la richiamata decisione della Corte d’appello è stata oggetto di ricorso in cassazione e senza richiamare il principio di autonomia tra il giudizio giurisdizionale e quello arbitrale, il collegio avrebbe dovuto pronunciarsi sulle doglianze della ditta L., poste a fondamento della predetta eccezione;

che il rinvio per relationem alla motivazione della decisione del predetto giudice di merito non è sufficiente per superare il vizio denunciato di omessa pronuncia, perché, a seguito delle ragioni illustrate a sostegno della proposta eccezione, è su queste ultime che avrebbe dovuto lo stesso collegio pronunciarsi, dando contezza dei motivi per i quali le medesime sono state disattese;

– che in ogni caso sul punto il lodo impugnato è nullo per totale carenza di motivazione.

Da tanto deriva che, con il primo motivo di impugnazione dinanzi alla Corte d’appello, il L. ha prospettato, non già la violazione delle modalità di nomina degli arbitri, ma l’omessa pronuncia da parte del collegio arbitrale o la totale carenza di motivazione del lodo sulla eccezione di irregolare costituzione.

Si appalesa pertanto esente da censure la decisione della Corte fiorentina, la quale ha escluso sia il vizio di omessa pronuncia che quello di carenza di motivazione, dopo aver rilevato che il lodo dedica un intero paragrafo (il n. 17) all’esame dell’eccezione di irregolare costituzione, dedotta sul rilievo che tra gli arbitri avrebbe dovuto sedere l’avv. Tiziana Castiglione anziché l’avv. Daniela Marcucci (perché, avendo la C. depositato l’istanza per la nomina dell’arbitro di parte L. quando già sapeva che la ditta L. aveva in precedenza nominato l’avv. Castiglione, doveva prevalere tale designazione ove anche effettuata oltre il termine previsto dall’art. 818 c.p.c., comma 1; tale pregressa conoscenza della designazione dell’avv. Castiglione comporterebbe anche la validità per raggiungimento dello scopo della notifica dell’atto introduttivo risultata andata a vuoto per irreperibilità).

Con il lodo il collegio arbitrale ha respinto tale eccezione, facendo propria la motivazione della Corte d’appello nel decreto del 13 dicembre 2012, il quale aveva precisato:

che il Presidente del Tribunale di Firenze aveva provveduto in modo corretto alla nomina dell’arbitro Daniela Marcucci, seguendo una procedura ritualmente instaurata;

che la parte L. aveva ricevuto la notifica della domanda di arbitrato il 30 gennaio 2012 e non aveva provveduto nei venti giorni a nominare il proprio arbitro;

che l’autonoma domanda del L. in epoca precedente non risulta ritualmente notificata alla C., giacché il plico è stato restituito dall’Ufficio postale al mittente per irreperibilità del destinatario, per cui avrebbe dovuto far seguito la notifica con le formalità degli artt. 140-143 c.p.c., il che non è avvenuto;

– che tale constatazione prescinde dalla individuazione del domicilio eletto, ma si basa sul rilievo che, comunque, la notifica come effettuata deve ritenersi inesistente.

1.5. – Ne deriva che la sentenza n. 921/2016 della Corte d’appello non è incorsa nel vizio, denunciato con il motivo, di omessa pronuncia, perché con l’impugnazione del lodo arbitrale non è stata prospettata una questione di nullità del lodo per irregolare costituzione del collegio arbitrale.

1.6. – A ciò deve aggiungersi un rilievo assorbente.

In prossimità della Camera di consiglio, in data 3 marzo 2021, la controricorrente C. ha depositato, dopo avere provveduto alla notifica, copia della sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 285/2017, depositata l’8 febbraio 2017, e della ordinanza di questa Corte n. 18004/2018, depositata il 9 luglio 2018, l’una e l’altra rese tra le parti del presente giudizio, e relative al tema della regolare costituzione e composizione del collegio arbitrale, presieduto dal prof. V.G. e con componenti il prof. D.F. e l’avv. Daniela Marcucci, che il 28 febbraio 2014 ha pronunciato il lodo impugnato per nullità dinanzi alla Corte di Firenze, la cui sentenza è oggetto del presente ricorso per cassazione.

Con l’ordinanza n. 18004/2018 di questa Corte, infatti, è stato rigettato (in dispositivo) e dichiarato inammissibile (in motivazione) il ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte d’appello che, accogliendo il reclamo della C., aveva revocato il provvedimento presidenziale di revoca della nomina dell’arbitro del L. effettuata nel procedimento arbitrale promosso dalla C., e ciò sul rilievo che la domanda di arbitrato del L. non era stata notificata alla C. e che pertanto era da considerare illegittima la nomina dell’arbitro.

Con la sentenza n. 285/2017 della Corte d’appello di Firenze, passata in giudicato, è stata rigettata l’impugnazione per nullità promossa dal L. e, per l’effetto, è stato confermato il lodo impugnato emesso in data 25-28 gennaio 2013 dal collegio arbitrale, con arbitri il prof. P.A., il prof. D.F. e l’avv. Tiziana Castiglione, costituito sulla base del decisum del Presidente del Tribunale di Firenze, recante la revoca della nomina dell’avv. Daniela Marcucci. Con tale lodo, il collegio arbitrale, a maggioranza di due componenti su tre, aveva adottato una statuizione a contenuto decisorio, di rito, con cui richiamata la decisione della Corte d’appello di Firenze del 13 dicembre 2012 – si evidenziava che era stata accertata l’invalidità della nomina ad arbitro dell’avv. Tiziana Castiglione.

Come osserva la difesa della controricorrente nella sua memoria illustrativa, le pronunce sopravvenute confermano la regolarità della costituzione del collegio arbitrale che ha emanato il lodo della cui impugnazione si è occupata la sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione.

Di ciò ha sostanzialmente preso atto la difesa del L., la quale, nella memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., ha affermato che tali pronunce “riducono la necessità di trattazione” dei primi tre motivi del ricorso principale.

2. – Il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di contraddittorio e discussione tra le parti, relativi alla nomina di parte, eseguita da L.D., del proprio arbitro, nella persona dell’avv. Tiziana Castiglione: circostanze decisive ai fini dell’accoglimento dell’impugnazione sulla irregolare costituzione del collegio arbitrale che ha emesso il lodo, da cui deriva la nullità di quest’ultimo. Con esso si sostiene che, alla data della nomina giudiziale dell’avv. Daniela Marcucci quale arbitro di L.D. con provvedimento del Presidente del Tribunale di Firenze, l’arbitro di L.D. era già stato da quest’ultimo nominato nella persona dell’Avv. Tiziana Castiglione.

2.1. – La censura è infondata: sia perché con l’impugnazione per nullità del lodo arbitrale il L. non ha messo in discussione la costituzione in sé del collegio arbitrale, ma ha censurato l’omessa pronuncia o la carenza di motivazione del lodo sulla relativa eccezione; sia perché, in ogni caso, la regolarità e correttezza della costituzione del collegio arbitrale che ha emanato il lodo oggetto della presente controversia, è confermata dalle sopravvenute pronunce della Corte d’appello n. 285/2017 e di questa Corte n. 18004/2018, di cui si è dato conto in sede di esame del primo motivo del ricorso principale.

3. – Con il terzo motivo il ricorrente lamenta nullità della sentenza, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), in relazione all’art. 111 Cost., comma 6, per omessa, o comunque, apparente motivazione, là dove ha respinto i profili di censura di omessa pronuncia e di carenza di motivazione del lodo arbitrale, contenuti nel primo motivo dell’atto di impugnazione davanti alla Corte d’appello di Firenze.

3.1. – La doglianza è infondata.

La Corte di Firenze si è attenuta al principio di diritto, enunciato da questa Corte (Cass., Sez. I, 18 dicembre 2013, n. 28218), secondo cui, in tema di arbitrato, l’obbligo di esposizione sommaria dei motivi della decisione imposto agli arbitri dall’art. 823 c.p.c., n. 5), il cui mancato adempimento integra la possibilità di impugnare il lodo ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5), può ritenersi non soddisfatto solo quando la motivazione manchi del tutto o sia talmente carente da non consentire di comprendere l’iter logico che ha determinato la decisione arbitrale o contenga contraddizioni inconciliabili nel corpo della motivazione o del dispositivo tali da rendere incomprensibile la ratio della decisione.

E correttamente i giudici del gravame hanno escluso che i motivi della decisione arbitrale in ordine alla sollevata eccezione siano carenti o addirittura mancati, ove si consideri il dato – puntualmente evidenziato dalla Corte di Firenze – che il lodo dedica addirittura un intero paragrafo all’argomento, finendo per condividere espressamente il decreto della Corte d’appello che, dopo avere rilevato che la domanda di arbitrato del L. non era stata notificata alla C. e che pertanto era da considerare illegittima la nomina dell’arbitro, aveva revocato il provvedimento presidenziale di revoca della nomina dell’arbitro del L. effettuata nel procedimento arbitrale promosso dalla C..

4. – Con il quarto motivo il L. prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 1662 c.c., con riferimento agli artt. 1453 e 1454 c.c., nonché dell’art. 1671 c.c., per avere la Corte d’appello di Firenze, nella sentenza impugnata, erroneamente ritenuto esente da vizi il lodo arbitrale, nella parte in cui ha dichiarato la risoluzione di diritto del contratto di appalto. Richiamata la lettera del 9 ottobre 2009 con cui la committente, anche alla luce del verbale di sopralluogo dell’8 giugno 2009, contestava all’appaltatore di non avere ancora portato a termine i lavori di rifacimento dei massetti e lo invitava, a norma dell’art. 1662 c.c. e, occorrendo, dell’art. 1454 c.c., a completare i lavori di rifacimento dei massetti secondo le modalità indicate nel verbale nel termine di venti giorni, con avvertimento che l’inutile decorso del termine senza l’eliminazione dell’inadempimento avrebbe determinato la risoluzione del contratto per fatto e colpa dell’appaltatore; il ricorrente ritiene non applicabile al caso di specie la disciplina dettata dall’art. 1662 c.c., adottata nella decisione impugnata, a conferma del lodo arbitrale, con riferimento alla dichiarata risoluzione del contratto di appalto. La norma – sostiene il ricorrente – non sanziona l’inadempimento al contratto d’appalto, ma l’atteggiamento dell’appaltatore che si rifiuta di eseguire o non esegue le direttive del committente e che non pone rimedio ai difetti riscontrati nelle verifiche e nel controllo nel corso dell’avanzamento dei lavori. Inoltre – prosegue il ricorrente – l’accordo sul rifacimento dei massetti avrebbe dovuto essere qualificato come novativo, non contenendo alcun impegno dell’appaltatore a conformarsi alle condizioni stabilite nel contratto di appalto, ma soltanto quello di completare i lavori dei massetti secondo gli obblighi assunti nel verbale dell’8 giugno 2009. Ne’ l’effetto risolutivo del contratto sarebbe potuto derivare alla invocata applicazione della disciplina dell’art. 1454 c.c., per inosservanza della diffida ad adempiere, essendosi di fronte a vizi eliminabili.

4.1. – Il motivo è privo di fondamento.

4.2. – Occorre premettere che, con il lodo, il collegio arbitrale ha dato atto che nell’ottobre 2008 sorse una contestazione inerente l’esecuzione del massetto che la C. lamentò essere mal eseguita (oltre che tardiva, mancando un mese allo spirare del termine per l’ultimazione dell’opera); che a seguito della contestazione i lavori conobbero una fase di stallo a causa di una lite insorta tra la ditta L. e il subappaltatore, che aveva materialmente provveduto alla posa del massetto; che solo l’8 giugno 2009 si tenne un sopralluogo congiunto (presenziò anche il direttore dei lavori geom. Me.), all’esito del quale la ditta L. riconobbe che i lavori al massetto non erano stati eseguiti a regola d’arte, impegnandosi al loro rifacimento con un cronoprogramma ivi concordato; che la ditta L., però, non vi provvide, introducendo dinanzi al Tribunale di Grosseto un accertamento tecnico preventivo nei confronti della C. e del subappaltatore; che successivamente la C., con lettera del 9 ottobre 2009, intimò ex art. 1662 c.c. (o comunque ex art. 1454 c.c.) alla ditta L. di rifare il massetto entro venti giorni dalla ricezione, pena la risoluzione di diritto del contratto, fermo il suo diritto alla penale e al ristoro dei danni ulteriori; che l’avvenuta risoluzione fu ribadita dalla C. con lettera datata 11 novembre 2009.

Il lodo ha accolto la domanda della C. di sentire dichiarare risolto il contratto di appalto a seguito dello spirare del termine indicato nella diffida ex art. 1662 c.c. (o comunque ex art. 1454 c.c.) datata 9 ottobre 2009 senza che il L. ponesse alcun rimedio. La lettera di diffida – ha affermato il collegio arbitrale – fu formalmente ineccepibile, fondando su un preciso e circostanziato inadempimento imputato alla ditta L. (la difettosa esecuzione del massetto), sulla cui sussistenza non vi era più discussione dopo il suo espresso riconoscimento da parte dell’appaltatore nel verbale di sopralluogo congiunto dell’8 giugno 2009, nel quale il L. riconobbe che i lavori relativi alla realizzazione del massetto sia nel corpo intonacato sia nel corpo in pietra non erano stati eseguiti a regola d’arte e che, onde rimediare al difetto riscontrato, era necessario procedere al totale rifacimento del massetto, previa rimozione del massetto esistente; concessi i corretti tempi per adempiere correttamente, è risultato pacifico in causa che l’appaltatore non provvide in tal senso. Il collegio arbitrale ha ritenuto non apprezzabile, per neutralizzare tale effetto, la successiva missiva della ditta L., che si limitò ad evidenziare la responsabilità del subappaltatore. Nel lodo si richiama, infine, il principio (affermato da questa Corte con Cass., Sez. II, 4 marzo 1993, n. 2653), secondo cui, in tema di appalto, il particolare rimedio risolutorio previsto dall’art. 1662 c.c., comma 2, oltre a costituire una deroga alla norma generale sulla risoluzione per inadempimento di cui all’art. 1453 c.c., perché si riferisce ad una obbligazione in corso di attuazione, differisce da quello previsto per il caso di inadempimento finale dall’art. 1668 c.c., comma 2, perché la risoluzione è ammessa anche quando l’opera non sia del tutto inadatta alla sua destinazione e quindi anche quando l’inadempimento sia temporaneo e di scarsa importanza e si presenti pertanto solo allo stato di pericolo.

La Corte d’appello ha respinto i motivi di impugnazione (il secondo ed il terzo) con cui si deduceva l’illegittimità della dichiarata risoluzione di diritto in forza della diffida formulata dalla committente il 9 ottobre 2009, motivi prospettati sul rilievo che con la diffida non si intimava all’appaltatore di conformarsi alle condizioni contrattuali, ma soltanto di realizzare i massetti secondo gli obblighi assunti nel verbale di sopralluogo.

La Corte territoriale ha osservato che la specifica obbligazione sottesa all’accordo dell’8 giugno non era affatto estemporanea, bensì costituiva parte essenziale dell’originario impegno contrattuale. L’impegno violato fatto valere ai fini della risoluzione di diritto costituiva nient’altro che la specificazione contingente dell’originario obbligo contrattuale di garanzia ricadente sull’appaltatore in ordine ai vizi dell’opera.

4.3. – Tanto premesso, il Collegio rileva che, con l’art. 1662 c.c., il legislatore ha approntato una disciplina speciale rispetto agli ordinari rimedi. Il committente, infatti, una volta rilevata, in sede di verifica, l’esistenza di irregolarità che concernono la fase esecutiva dell’appalto, può avvalersi del diritto di segnalare difetti dell’opera in corso, assegnando un congruo termine entro il quale l’appaltatore dovrà correggerli. Si deve trattare di difetti eliminabili durante l’esecuzione stessa: la norma ha riguardo ad un appaltatore che non procede secondo le prescrizioni contrattuali e le regole dell’arte, a fronte di un’opera ancora in itinere. Ove il termine assegnato decorra, senza che l’appaltatore vi provveda, il contratto si risolverà di diritto e il committente potrà richiedere il risarcimento dei danni.

4.4. – Le censure rivolte dal ricorrente alla statuizione della Corte territoriale che ha ritenuto corretto l’utilizzo del meccanismo di tutela previsto dall’art. 1662 c.c., non colgono nel segno.

La deduzione (sviluppata a pag. 30 del ricorso) secondo cui “l’opera appaltata… era giunta a conclusione” e “l’appalto poteva dirsi già eseguito alla data del 30 ottobre 2008”, si basa su una circostanza di fatto che non risulta dalla sentenza impugnata, la quale anzi afferma, richiamando la c.t.u., che l’esecuzione dei massetti era necessaria in previsione dell’esecuzione dei pavimenti previsti in capitolato, e che è smentita anche dalla decisione arbitrale, dove si dà rilievo ad un inadempimento sorto ed aggravatosi durante l’esecuzione dell’appalto.

Un secondo profilo di doglianza attiene al fatto che, secondo il ricorrente, il patto sul rifacimento dei massetti, essendo un’autonoma pattuizione, non avrebbe potuto indurre la risoluzione del contratto di appalto originario, avendo tale accordo carattere novativo. Si tratta tuttavia di un profilo di censura che è resistito dalla statuizione della Corte d’appello, in continuità con l’accertamento operato nel lodo, secondo cui, con il verbale di sopralluogo congiunto dell’8 giugno 2009, le parti non hanno dato vita ad uno specifico accordo novativo, perché l’impegno violato, fatto valere ai fini della risoluzione di diritto, costituiva nient’altro che la specificazione contingente dell’originario obbligo contrattuale.

Prospetta poi un tema nuovo d’indagine la questione, sviluppata a pag. 31 del ricorso, circa la condizione di sudditanza psicologica e tecnica in cui sarebbe stata contratta, in occasione del sopralluogo di verifica, l’obbligazione di procedere al totale rifacimento del massetto.

4.5. – La sentenza della Corte d’appello contiene una seconda ratio decidendi, sulla domanda di risoluzione di diritto per inosservanza della diffida ad adempiere che ingloba e presuppone quella di risoluzione giudiziale.

Il ricorrente in via principale si duole, con il motivo, che la Corte d’appello, a fronte di vizi ritenuti dalle stesse parti pacificamente elimi-nabili, abbia ritenuto legittima la risoluzione del contratto, anche sotto l’aspetto del grave inadempimento.

La doglianza è inammissibile, perché si rivolge contro una seconda e concorrente ratio decidendi, essendo rimasta non superata la prima ratio decidendi (Cass., Sez. III, 13 giugno 2018, n. 15399).

5. – Con il quinto mezzo il ricorrente in via principale deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1382 c.c., con riferimento agli artt. 1183,1184 e 1218 c.c., nonché con riferimento agli artt. 1453,1454 e 1662 c.c., per avere la Corte d’appello di Firenze, nella sentenza impugnata, erroneamente ritenuto colpevole il ritardo dell’appaltatore nell’adempimento degli obblighi assunti e conseguentemente legittima la condanna alla corresponsione della penale pattuita in contratto. Con il motivo il ricorrente deduce che sarebbe del tutto irrilevante che la ditta L. abbia o meno realizzato o iniziato ad eseguire le opere oggetto di appalto di cui alle pratiche edilizie presentate nel 2009 prima o dopo la scadenza del termine di fine lavori originariamente fissato, poiché tali lavori non potevano essere eseguiti prima dell’adempimento delle pratiche edilizie medesime, e quindi successivamente all’aprile e al luglio 2009. Non potrebbe addebitarsi al L. di non aver rispettato il termine, convenuto per la ultimazione dei lavori del 19 novembre 2008, se la committenza, “palesemente e ripetutamente inadempiente”, ha dato corso solo dal febbraio 2009 al luglio 2009 alle pratiche edilizie, le cui opere non potevano per legge essere iniziate prima di tale presentazione. Ad avviso del ricorrente, una serie di opere non avrebbero potuto essere eseguite prima della dichiarazione di inizio di attività e del deposito del progetto strutturale al Genio civile. In particolare, la difesa del L. sostiene che, a seguito della DIA originaria del 12 maggio 2007, n. 4289, la prima variante al progetto originario (n. 28 del 2009), riguardante modifiche progettuali da apportare al fabbricato interessanti parti strutturali rilevanti, fu presentata il 16 febbraio 2009, mentre il deposito presso il Genio civile fu eseguito dalla committente solo in data 7 aprile 2009; solo in data 10 luglio 2009 fu depositata la pratica n. 133/2009, avente ad oggetto la richiesta di permesso di costruire, che ridefiniva, ex novo, tutta la sistemazione esterna al fabbricato.

5.1. – La censura è inammissibile.

Nel disattendere la corrispondente censura, articolata in particolare con il sesto motivo (con cui il L. aveva dedotto la nullità del lodo anche a norma dell’art. 829 c.p.c., comma 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1183,1184,1218,1382 e 1383 c.c., per non avere il collegio arbitrale considerato che non era configurabile un inadempimento da ritardo dell’appaltatore, nel periodo temporale precedente a quello del deposito della dichiarazione di inizio attività e di quello del progetto strutturale presso il Genio civile), la Corte d’appello ha affermato che l’individuazione o meno di un ritardo sottende una tipica valutazione di fatto, la quale, nella specie, è stata compiuta, ed adeguatamente argomentata tramite la c.t.u., dal collegio arbitrale. Ha sottolineato la Corte territoriale che il collegio arbitrale ha espressamente affermato di condividere le conclusioni del c.t.u., secondo cui le pratiche edilizie (la D.I.A. 1644 del febbraio 2009 e i due depositi al Genio civile dell’aprile 2009) hanno seguito, invece che preceduto, l’esecuzione dei lavori, “al punto da far ritenere quelle formalità ininfluenti sul ritardo”.

Emerge dunque dalla sentenza impugnata che le pratiche edilizie curate dalla committente non hanno influito sull’esecuzione dei lavori, che sono stati realizzati in precedenza, in forza, evidentemente, della DIA originaria n. 4289 del 2007, e che le successive varianti e modifiche al progetto originario non hanno determinato alcun sostanziale mutamento dell’originario piano dei lavori, salvo un prolungamento del tempo necessario per la loro ultimazione, già valutato nel lodo in 48 giorni.

In questo contesto, la censura si appalesa diretta a porre, in realtà, una questione astratta.

La violazione e falsa applicazione di legge è infatti prospettata dal ricorrente sul rilievo che, nell’attesa del compimento delle formalità necessarie per dar corso alle varianti, non sarebbe configurabile un ritardo colpevole, perché il “termine di fine lavori (19 novembre 2008), fissato in contratto, in apposita clausola, perde(rebbe) efficacia con la presentazione delle nuove pratiche edilizie”. Ma la censura non si correla con la statuizione della Corte d’appello che, nel convalidare le valutazioni del collegio arbitrale, ha affermato che, in concreto, non vi è stata alcuna influenza delle pratiche edilizie di variante rispetto al ritardo, sia perché dette varianti non hanno comportato nessun stravolgimento del piano dei lavori (salvo un prolungamento valutato in 48 giorni), sia perché, in ogni caso, l’esecuzione ha preceduto la stessa presentazione delle formalità amministrative.

6. – Il sesto motivo del ricorso L. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1382 e 1384 c.c., per avere la sentenza della Corte di Firenze confermato il lodo arbitrale che ha respinto la richiesta dell’appaltatore di riduzione dell’ammontare della penale, ritenendo che gli arbitri non abbiano violato alcun parametro giuridico. Deduce il ricorrente che la penale convenuta prevedeva il pagamento della somma giornaliera di Euro 200 per i primi trenta giorni e quella di Euro 300 per ogni giorno successivo di ritardo e che il collegio arbitrale ha quindi determinato complessivamente la penale dovuta in Euro 98.700, pari, cioè, a circa due terzi dell’importo dell’appalto. La decisione della Corte d’appello sarebbe, ad avviso del ricorrente, errata: al fine di valutare la manifesta eccessività della penale, il giudice avrebbe dovuto tener conto dello squilibrio tra la posizione delle parti e della mancanza di proporzione tra danno, costo ed utilità, e considerare la consistenza dell’inadempimento rispetto allo stato di avanzamento dei lavori, essendo l’appalto praticamente ultimato. Avrebbe errato la sentenza impugnata a non ritenere sussistenti i presupposti per la riconduzione ad equità della penale.

6.1. – Il motivo è infondato.

La Corte d’appello, nel disattendere la censura articolata con l’ottavo motivo, ha rilevato che nel rigetto, da parte del lodo, della domanda di riduzione della penale non è configurabile alcun vizio di motivazione, e che si tratta di una tipica valutazione insindacabile di merito, che non comporta la violazione di alcun parametro giuridico, avendo gli arbitri ritenuto che l’inadempimento dell’appaltatore, per come sorto ed aggravatosi durante l’esecuzione dell’appalto fino all’abbandono del cantiere, abbia leso in maniera assai penetrante l’interesse della committente.

La statuizione della Corte d’appello si sottrae alla censura del ricorrente.

L’apprezzamento sulla eccessività dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente fondato, a norma dell’art. 1384 c.c., sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale (Cass., Sez. II, 16 marzo 2007, n. 6158; Cass., Sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2231; Cass., Sez. II, 1 ottobre 2018, n. 23750).

Nella specie il collegio arbitrale ha escluso che ricorressero le condizioni per la riduzione ad equità della penale, e ciò dopo avere considerato:

che l’incidenza che l’inadempimento ha in concreto avuto sulla realizzazione dell’interesse della parte va riferita non al solo momento della conclusione del contratto, ma a quello in cui la prestazione attesa è stata sia pure in ritardo eseguita o è definitivamente rimasta ineseguita;

che anche nella fase attuativa del contratto trovano applicazione il dovere di solidarietà e quello di correttezza e di buona fede; che l’inadempimento del L. ha leso in maniera penetrante l’interesse della C., tenuto conto di come esso è sorto e si è aggravato durante l’esecuzione dell’appalto, fino all’abbandono del cantiere;

– che il L. ha completamente mancato di assolvere agli oneri di allegazione e di prova circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell’eccessività della penale.

La decisione della Corte d’appello non incorre nella violazione denunciata con il motivo di ricorso. Infatti il lodo, ritenuto dai giudici del gravame non in contrasto con alcun parametro giuridico, si è attenuto al principio che impone di valutare l’interesse del creditore non con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola, ma anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui all’art. 2 Cost., artt. 1175 e 1375 c.c., conformativi dell’istituto della riduzione equitativa (Cass., Sez. III, 19 giugno 2020, n. 11908); e, nel fare applicazione di tale indirizzo, ha considerato l’effettiva incidenza che l’inadempimento dell’appaltatore, aggravatasi fino al punto dell’abbandono del cantiere, ha avuto sulla concreta situazione contrattuale.

7. – Con il settimo motivo, il ricorrente in via principale prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza per non avere censurato, in violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché all’art. 816-bis c.p.c., con riferimento all’art. 183 c.p.c., la pronuncia arbitrale di accoglimento della domanda di risarcimento dei danni ulteriori alla penale predeterminata, in conseguenza dell’inadempimento dell’appaltatore, nonostante la proposizione di rituale e tempestiva eccezione sulla novità e tardività della medesima in quanto fondata su causa petendi diversa da quella dedotta nell’atto introduttivo del giudizio arbitrale.

7.1. – La censura è infondata.

Il motivo muove dal presupposto che, con la prima memoria autorizzata nel corso del giudizio arbitrale, la C., “attraverso l’uso della locuzione “in ogni caso”, avrebbe reso “autonoma la successiva domanda di risarcimento dei danni ulteriori e diversi rispetto a quelli liquidabili con la penale predeterminata” e che, così facendo, avrebbe “nella sostanza modificato nel senso della vera e propria mutatio le domande originariamente proposte” (così il ricorso, a pagina 48).

Quanto alla domanda di risarcimento del danno, relativa ad opere affette da vizi (ossia, di risarcimento degli ulteriori danni sofferti a causa dell’inadempimento dell’appaltatore, diversi dai profili del ritardo), va premesso che il collegio arbitrale ha osservato che si è di fronte ad una “domanda risarcitoria avanzata autonomamente”: “tale va ritenuta quella proposta dalla C., che adoperando nelle conclusioni la… espressione “in ogni caso” ha mostrato di ritenerla svincolata dalla domanda di risoluzione avanzata in via di ipotesi (anche l’esposizione delle precedenti difese, del resto, ne ha sempre manifestato la volontà di proporla in via autonoma”). Tanto premesso, nel respingere l’eccezione, formulata dal L., di non accettazione del contraddittorio sulla domanda, ritenuta tardiva, il lodo afferma di voler aderire al principio, espresso dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui nel giudizio arbitrale – improntato alla libertà di forme, pur nel rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa – la originaria domanda può essere ampliata e modificata, purché non si esorbitino i limiti della clausola compromissoria.

La Corte d’appello di Firenze ha convalidato il ragionamento degli arbitri: rilevando che “la C. ha sempre fondato la propria domanda risarcitoria sull’esistenza di inadempimenti (come quello concernente il difetto dei massetti) ulteriori al mero ritardo nell’esecuzione dei lavori”; e osservando – quanto al rigetto dell’eccezione di tardività della domanda risarcitoria per opere diverse dai massetti – che la scelta compiuta dagli arbitri risulta fondata sul disposto dell’art. 816-bis c.p.c., “che li facoltizza a disciplinare l’andamento del giudizio nel modo ritenuto più opportuno, purché nel rispetto del principio del contraddittorio, come appunto è avvenuto a fronte delle richieste risarcitorie”.

La sentenza della Corte d’appello non è incorsa nella lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 816-bis c.p.c., con riferimento all’art. 183 c.p.c..

Va, infatti, sottolineato che, sin dall’atto introduttivo del giudizio arbitrale (le cui conclusioni sono riportate dal ricorrente a pagina 46 del ricorso), la C. ha chiesto, accanto alla declaratoria di avvenuta risoluzione del contratto e alla condanna del L. al pagamento della penale, la condanna di quest’ultimo al pagamento “di ogni ulteriore danno, patrimoniale e non patrimoniale sofferto a causa dell’inadempimento” dell’appaltatore “nella misura che sarà accertata in corso di causa”. Ne consegue che – concesso da parte del collegio arbitrale termine per il deposito di memorie con la precisazione o modificazione delle domande e/o delle eccezioni già eventualmente formulate – le conclusioni rassegnate sul punto dalla committente con la memoria autorizzata del 27 marzo 2013 (e ribadite con la memoria del 18 novembre 2013), in termini di richiesta di condanna “in ogni caso” del L. al pagamento “di tutti gli ulteriori danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti a causa degli inadempimenti del signor L.D.”, non rappresentano una inammissibile domanda nuova. Ne’ la novità (e la tardività) della medesima domanda di risarcimento dei danni ulteriori alla pena predeterminata può discendere dal fatto che, mentre nelle conclusioni originarie la committente aveva chiesto dichiararsi l’avvenuta risoluzione del contratto di appalto, nella prima memoria la stessa abbia domandato che l’avvenuta risoluzione fosse accertata e dichiarata ex artt. 1662 o 1454 c.c. e in subordine che fosse pronunciata la risoluzione giudiziale ex artt. 1453 e 1455 c.c.. Infatti, come ha precisato il collegio arbitrale, se con l’espressione “in ogni caso” la committente ha mostrato di ritenere la domanda risarcitoria svincolata dalla domanda di risoluzione avanzata in via di ipotesi, tuttavia la medesima parte, anche in precedenza, “ha sempre manifestato la volontà di proporla in via autonoma”. La domanda risarcitoria non costituisce, pertanto, una inammissibile mutatio libelli.

Si deve inoltre considerare che nell’arbitrato rituale, ove le parti non abbiano vincolato gli arbitri all’osservanza delle norme del codice di rito, è consentito alle medesime di modificare e ampliare le iniziali domande, senza che trovino applicazioni le preclusioni di cui all’art. 183 c.p.c., salvo il rispetto del principio del contraddittorio (Cass., Sez. I, 10 dicembre 2020, n. 28189).

8. – L’ottavo motivo del ricorso principale censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e dell’art. 111 Cost., per omessa motivazione, o comunque motivazione apparente, sulla reiezione del motivo di impugnazione del lodo arbitrale sul rigetto dell’eccezione di omessa tempestiva denuncia dei vizi e dei difetti relativi alle opere eseguite nell’ambito dell’appalto diverse dai massetti. Con il motivo il ricorrente si duole che la Corte di Firenze, così come il collegio arbitrale, pur ritenendo corretta la qualificazione della domanda relativa ai vizi e alle difformità delle opere eseguite diverse dai massetti quale azione di garanzia proposta ai sensi dell’art. 1667 c.c., si sia limitata a recepire i motivi di reiezione proposti nel lodo relativi alla sola prescrizione dell’azione, “anziché supplire all’evidente mancanza, esaminando e motivando le ragioni dell’accoglimento o del rigetto dell’eccezione sotto il profilo della decadenza dal diritto di garanzia, necessario presupposto dell’azione prevista e disciplinata dall’art. 1667 c.c., comma 3”.

8.1. – La censura è infondata.

Il lodo arbitrale non ha condiviso l’eccezione dell’appaltatore secondo cui i danni da inadempimento non sarebbero stati denunciati nei termini. Richiamato il disposto dell’art. 1667 c.c., comma 3, gli arbitri hanno fatto espressa applicazione del principio secondo cui l’allegazione e la prova del fondamento della eccezione di decadenza dalla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera grava su colui che l’abbia sollevata, sicché spettava “all’appaltatore provare che l’opera stessa era stata ultimata e consegnata”. In particolare, il collegio arbitrale ha evidenziato che nel caso di specie non vi furono né l’ultimazione, né la verifica, né l’accettazione dell’opera appaltata.

Nel rigettare la censura di omessa pronuncia sull’eccezione di omessa denuncia, la Corte di Firenze ha rilevato che “la stessa motivazione addotta dalla difesa” stava “a smentire l’assunto”. Se l’eccezione è stata respinta – ha affermato la Corte d’appello – allora vuol dire che non è stata omessa; simmetricamente, se la reiezione è stata motivata richiamando l’art. 1667 c.c., allora vuol dire che la motivazione non manca.

Tale essendo il contesto motivazionale, va esclusa la denunciata nullità della sentenza della Corte d’appello per omessa motivazione, o comunque per motivazione apparente. La pronuncia della Corte di Firenze indica chiaramente la decisione contenuta al riguardo nel lodo e la relativa motivazione: una motivazione ancorata sia alla ricostruzione della portata in diritto della norma applicabile (finché l’opera non sia stata ultimata e consegnata non può decorrere il termine per la denuncia dei vizi), sia alla applicazione di detto principio nel caso di specie, caratterizzato dal fatto che non vi furono né l’ultimazione, né la verifica, né l’accettazione dell’opera appaltata.

9. – Il ricorso principale del L. è rigettato.

Resta assorbito l’esame del ricorso incidentale condizionato della C..

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

10. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato, e condanna il ricorrente in via principale al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 7.700, di cui Euro 7.500 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente in via principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

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