Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20557 del 06/08/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 20557 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

SENTENZA

sul ricorso 18546-2015 proposto da:
BERNICCHI GIOVANNA, elettivamente domiciliata in
ROMA,

VIALE

GLORIOSO

13,

presso

lo

studio

dell’avvocato LIVIO BUSSA, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ROBERTO GIUSTI,
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2018

contro

1124

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585;
– intimata –

Nonché da:

Data pubblicazione: 06/08/2018

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;

contro

BERNICCHI GIOVANNA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 802/2014 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 25/07/2014 r.g.n. 182/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/03/2018 dal Consigliere Dott.
ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per il rigetto di entrambi i ricorsi;
udito l’Avvocato LIVIO BUSSA;
udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega verbale
Avvocato ROBERTO PESSI.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

Fatti di causa
1- La Corte d’appello di Bologna, pronunziando sul ricorso in
riassunzione proposto da Giovanna Bernicchi in esito a cassazione con
rinvio, “in riforma della sentenza n. 247/2003 del Tribunale di Lucca”,
ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto in data

dichiarato costituito tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato a partire da tale data; ha condannato la società
a corrispondere alla lavoratrice, a titolo di risarcimento del danno, ai
sensi dell’art. 32, comma 5, Legge 04/11/2010 n. 183, un’indennità
pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre
interessi legali e rivalutazione monetaria dalla sentenza al saldo.
1.1. La Corte territoriale, premesso che con sentenza n.
9261/2008 il giudice di legittimità aveva cassato la sentenza con la
quale era stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto

inter partes, stipulato il 18.10.1997 in quanto contraria al principio
affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di “delega in
bianco” conferita alle parti collettive dall’art. 23 Legge 28/02/1987 n.
56 (Cass. Sez. Un. 02/03/2006 n. 4588), in applicazione del
principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente, ha dichiarato
la illegittimità del termine apposto al secondo dei contratti in
controversia, stipulato in data 30.10.1998, per essere venuta meno,
a partire dalla data del 30 aprile 1998, la deroga negoziata dalle parti
collettive ai sensi dell’art. 23 Legge cit.; ritenuta l’applicabilità dello

ius superveniens costituito dall’art. 32, comma 5, Legge n. 183 /2010
cit., ha proceduto alla determinazione della indennità risarcitoria
facendo riferimento esclusivo al periodo intercorso fra la data di
cessazione del rapporto per scadenza del termine e la «presente
sentenza»; operata la riduzione prevista dall’art. 32, comma 6,

30.10.1998 stipulato tra la detta Bernicchi e Poste Italiane s.p.a. e

Legge n. 183 /2010 cit., la indennità risarcitoria è stata commisurata
a sei mensilità della retribuzione globale di fatto.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Giovanna
Bernicchi sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con
tempestivo controricorso e contestuale ricorso incidentale affidato a

Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso principale Giovanna Bernicchi
deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 6 Convenzione
Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, dell’ art. 1 del
Protocollo n.1 alla Convenzione, dell’art. 32, comma 7, Legge n.
183/2010 cit. . Censura, in sintesi, la sentenza impugnata per non
avere proceduto alla disapplicazione della norma in tema di indennità
risarcitoria, norma che assume in contrasto con il diritto comunitario.
Esclusa la possibilità di interpretazione conforme sostiene, in
particolare, che alla disapplicazione del diritto interno non osta la
formale veste di società per azioni di Poste Italiane, attesa la natura
pubblica di tale soggetto, natura riconosciuta dallo stesso giudice
comunitario ( Carratù C-361/2012 – emessa il 12.12.2013). Afferma,
inoltre, che la previsione dell’art. 32, comma 5, Legge n. 183/2010
cit., laddove introduce una regolamentazione retroattiva in tema di
risarcimento del danno si pone in contrasto con il principio del giusto
processo di cui all’ art.47 della Carta di Nizza e all’art. 6 CEDU
(sentenza Agrati).
2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione
della clausola 4 della Direttiva 1999/70/CE e dell’art. 32, commi 5 e
6. Legge n. 183/2010 cit.. Sostiene, in sintesi, che la modifica
introdotta con la Legge n. 183 /2010 cit., in tema di determinazione
del risarcimento del danno conseguente alla illegittima apposizione

due motivi.

del termine, si poneva in contrasto con la clausola 4.1. dell’accordo
quadro alla stregua della quale, secondo quanto chiarito dalla Corte di
giustizia (sentenza Carratù), al concetto di « condizioni di
impiego» andava ricondotta anche la indennità che un datore di
lavoro è tenuto a versare ad un lavoratore a causa della illecita

di giustizia escluso la comparabilità tra la situazione di illecito utilizzo
di un contratto a tempo determinato e quella di licenziamento
ingiustificato, nel caso specifico occorreva considerare che con l’allora
art. 1, comma 2. D. Igs 06/09/2001 n. 368 il legislatore nazionale
aveva equiparato, sotto il profilo risarcitorio, le due situazioni; il
combinato disposto della clausola 4 n.1 e della clausola 8.1
dell’Accordo imponeva la disapplicazione di tutte le disposizioni di
legge anteriori o successive al D. Igs n. 368/2001 cit. in contrasto
con il principio di uguaglianza e non discriminazione di cui alla
clausola 4.n. 1 dell’accordo quadro .
3. Con il primo motivo di ricorso incidentale Poste Italiane s.p.a.
deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e sgg.
cod. civ. nonché dell’art. 23 Legge 28/02/1987 n. 56, censurando, in
sintesi, la sentenza impugnata per avere ritenuto che le fattispecie di
apposizione del termine negoziate dalle parti collettive ai sensi
dell’art. 23 Legge n. 56/1987 cit. implicassero necessariamente la
previsione di un limite temporale di efficacia.
4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la società Poste
deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 Legge 15/07/1966
n. 604, nonché dell’art. 32, comma 6, Legge n. 183 /2010 cit.,
censurando la sentenza impugnata per avere determinato la
indennità risarcitoria nella misura massima prevista senza ancorarla
ai parametri di cui all’art. 8 Legge n. 604 cit. come, invece, prescritto.

apposizione del termine. Evidenzia, inoltre, che, pur avendo la Corte

5. Il primo ed il secondo motivo di ricorso principale, trattati
congiuntamente per evidente connessione, vanno respinti in
continuità con la condivisibile giurisprudenza di legittimità che ha
scrutinato le medesime questioni oggetto dei motivi in esame e
risolto i dubbi di compatibilità della normativa richiamata con i

5.1. In particolare, con la sentenza Cass. 09/01/2015 n. 151,
seguita da numerose altre conformi, è stato ribadito, richiamando i
precedenti arresti di Cass. 6/2/2014 n. 2760 e di Cass. 17/7/2014 n.
16420, che deve escludersi che l’indennità di cui all’art. 32, commi 5
e 7, Legge 04/11/2010, n. 183, come disciplinata dall’art. 1, comma
13, della legge 28 giugno 2012, n. 92, con norma di interpretazione
autentica di portata retroattiva – confermativa, peraltro, della
interpretazione della disposizione in esame già avallata dalla Corte
costituzionale con sentenza interpretativa di rigetto (Corte cost. n.
303/2011) – abbia (irragionevolmente) disposto di diritti retributivi e
previdenziali, di rilievo costituzionale, già entrati nel patrimonio del
lavoratore (essendo tale efficacia retroattiva limitata a quelle
situazioni in cui, in ordine ai diritti derivanti al lavoratore dalla nullità
della clausola di apposizione del termine – con conseguente
conversione del rapporto a tempo indeterminato – non si è ancora
formato il giudicato). E’ stato, inoltre, escluso che la previsione di cui
all’art. 32, commi 5 e 7, Legge n. 183/2011 cit., disposizione di
carattere generale, si configuri quale intervento destinato a favorire
selettivamente lo Stato o altro ente pubblico (o in mano pubblica),
perché le controversie su cui essa è destinata ad incidere non hanno
specificamente ad oggetto i rapporti di lavoro precario alle
dipendenze di soggetti pubblici, ma tutti i rapporti di lavoro
subordinato a termine che si è poi aggiunto (cfr. Cass. 14 ottobre
2014 n. 21701; Cass. 09/01/2015 n.151, cit.).

principi costituzionali e sovranazionali.

5.2. Quanto allo specifico profilo che investe la legittimità,
costituzionale e comunitaria, della norma di interpretazione autentica
di cui all’art. 1, comma 13, della legge 28 giugno 2012, n. 92, è stato
osservato che con tale previsione non si è realizzata alcuna illecita
ingerenza nell’amministrazione della giustizia, allo scopo d’influenzare

si è limitato a fare propria una soluzione già adottata dalla
giurisprudenza della ‘Corte costituzionale. Il divieto di retroattività
della legge non è stato elevato a dignità costituzionale, salva, per la
materia penale, la previsione dell’art. 25 della Costituzione, per cui il
legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare sia
disposizioni di interpretazione autentica, che determinano la portata
precettiva della norma interpretata, fissandola in un contenuto
plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con
efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri
valori ed interessi costituzionalmente protetti. (cfr. ex plurimis, Corte
cost. n. 257/2011). In applicazione di tali criteri la norma che deriva
dalla legge di interpretazione autentica non può dirsi irragionevole in
quanto si limita ad assegnare alla disposizione interpretata un
significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili
letture del testo originario.
5.3. In merito alla sollevata questione della conformità del citato
art. 32 Legge n. 183/2010 cit. (come autenticamente interpretato)
alla Direttiva CE n. 70/99 (clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro
sul lavoro a tempo determinato e clausola 8, punto 1,) in quanto
previsione capace di determinare una drastica riduzione (rispetto alla
normativa previgente) dell’indennità risarcitoria nei casi di
conversione del rapporto, laddove la lettura combinata delle indicate
clausole legittimerebbe, per i lavoratori che si trovino in situazioni

la risoluzione di controversie, posto che, il Legislatore

comparabili, solo la possibilità di introdurre disposizioni più favorevoli,
è stato osservato che la Corte di Giustizia, con la sentenza Carratù
(C-361/2012) -emessa il 12.12.2013 – ha escluso un contrasto
dell’art. 32 Legge n. 183 /2010 cit. con la disciplina sovranazionale,
anche in merito alla retroattività della norma, in quanto le questioni

profilo sono state dichiarate assorbite dal rilievo per cui l’Accordo
quadro sul lavoro a termine non impone di trattare ‘in maniera
identica l’indennità corrisposta in caso di illecita apposizione di un
termine ad un contratto di lavoro e quella versata in caso di illecita
interruzione di un contratto a tempo indeterminato. Pertanto, la
norma in parola non appare in contrasto né con l’ordinamento
costituzionale, né con quello sovranazionale (cfr.Cass. 28/03/2014 n.
7372). Come già ricordato, la Corte di Giustizia UE ha chiarito che,
sulla scorta del solo principio di uguaglianza/non discriminazione,
previsto dalla Clausola 4 della Direttiva 1999/70/Ce, non si può
ritenere violata la parità di trattamento, perchè non appaiono
direttamente comparabili la tutela prevista per la illegittima
interruzione dei contratti a tempo indeterminato e la tutela prevista in
caso di contratto a termine illegittimo. In conseguenza un regime
risarcitorio diverso e meno favorevole rispetto a quello applicato in
caso di licenziamento illegittimo, non contrasta con il diritto
comunitario.
5.4. E’, infatti da ribadire che con l’art. 32 Legge n. 183/2010
cit., il legislatore non ha stabilito una parametrazione del risarcimento
in misura diversa ed inferiore rispetto ad analoga parametrazione del
sistema previgente, tale da consentire un raffronto teorico ai fini di
una valutazione in termini di drastica riduzione. Prima dell’entrata in
vigore della nuova disciplina, infatti, in relazione alla scadenza del
contratto a termine, operavano le sanzioni tipiche previste

pregiudiziali sollevate dal Tribunale di Napoli sotto questo specifico

dall’ordinamento, espressione dell’applicazione delle regole generali
civilistiche collegate alla nullità della clausola appositiva del termine,
alla conversione

ex tunc

del rapporto in rapporto a tempo

indeterminato ed alla mora del datore di lavoro. L’introduzione di una
indennità, comunque dovuta, a prescindere da un danno effettivo ed i

massimo (tenendo conto del vantaggio per il lavoratore derivante dal
mantenimento della regola di “conversione”), non è, dunque,
automaticamente ovvero necessariamente, meno favorevole rispetto
ad un sistema in cui la liquidazione del risarcimento andava effettuata
caso per caso dal giudice, anche mediante il ricorso a presunzioni
semplici sull’aliunde perceptum/ percipiendum.

Nella sentenza di

questa Corte n. 16545 del 05/08/2016, si è escluso che l’ art. 32,
comma 5, della 1. n. 183 del 2010, come autenticamente interpretato
dall’art. 1, comma 13, della Legge n 92 del 2012 si ponesse in
contrasto con la giurisprudenza della Corte EDU (e segnatamente con
la sentenza 7 giugno 2011, in causa Agrati ed altri contro Italia) in
quanto essa è giustificata da ragioni di “pubblica utilità”, suscettibili di
legittimare limitazioni al diritto di proprietà, la cui valutazione
compete, prioritariamente, alle autorità nazionali, che vantano una
posizione migliore rispetto alle autorità giurisdizionali internazionali,
tanto più che, riguardando non un diritto già ed esigibile, ma soltanto
una “legittima speranza” di ottenere il pagamento delle somme
controverse, essa assolve, in linea con quanto affermato da Corte
cost. n. 303 del 2011, una finalità perequativa di semplificazione e
certezza applicativa di interesse generale.
5.5. Alla luce delle considerazioni che precedono ed in continuità
con la giurisprudenza di questa Corte il ricorso principale deve essere
respinto.
6. E’ infondato il primo motivo di ricorso incidentale. E’

cui limiti sono stati parametrati dal legislatore tra un minimo ed un

innanzitutto da premettere che, a differenza di quanto assume parte
ricorrente incidentale, la sentenza impugnata non muove dal
presupposto secondo il quale le fattispecie di apposizione del termine
individuate dalle parti collettive ai sensi dell’art. 23 della Legge n.
56/1987 cit. implicherebbero sempre la necessità di previsione di un

Il giudice di appello, infatti, non formula alcuna affermazione di
carattere generale e teorico in merito alle ipotesi di apposizione del
termine ex art. 23 Legge n. 56/1987 cit. ma si limita a rilevare che
l’efficacia temporale dello specifico accordo del 25.9.1997 era venuta
meno alla data del 30 aprile 1998 di talchè l’assunzione in
controversia, effettuata il 30.10.1998, era illegittima in quanto non
sorretta da alcuno strumento derogatorio della disciplina legale. Di
tale interpretazione deve qui essere affermata la correttezza in
quanto in linea con numerose condivisibili pronunzie di questa Corte
che, con riferimento agli accordi attuativi, sottoscritti lo stesso
25.9.97 e il 16.1.98, hanno confermato le decisioni di merito secondo
le quali, con tali accordi, le parti avevano convenuto di riconoscere la
sussistenza dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo
accordo) fino al 30.4.98 della situazione di fatto integrante delle
esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Per far
fronte a tali esigenze l’impresa poteva dunque procedere ad
assunzione di personale con contratto tempo determinato solo fino al
30.4.98, risultando, pertanto, privi di presupposto normativo i
contratti a termine stipulati successivamente (v., ex plurímis, Cass.
23.8.06 n. 18378). Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è
ora ragione di discostarsi, in quanto le opposte valutazioni sviluppate
nel ricorso sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati da
questa Corte nelle molteplici occasioni ricordate e non appaiono
comunque talmente evidenti e gravi da esonerare la Corte dal dovere
di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda per larga parte

termine temporale di efficacia alla possibilità di assunzioni a termine.

l’assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta
osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.
7. Il secondo motivo di ricorso incidentale è meritevole di
accoglimento.
7.1. L’art. 32 comma 5, Legge n.183/2010 cit. prevede che «

condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo
un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo
di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale
di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’ articolo 8 della legge 15
luglio 1966, n. 604.» Come già ricordato, l’ indennità di cui all’art.
32 Legge n. 183/2010 cit. configura, alla luce dell’interpretazione
adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303
del 2011, una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che
ha apposto il termine nullo, ed è liquidata dal giudice, nei limiti e con
i criteri fissati dal citato art. 32 Legge cit.. Essa spetta a prescindere
dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova
di un danno effettivamente subito dal lavoratore, trattandosi di
indennità forfetizzata e onnicomprensiva per i danni causati dalla
nullità del termine nel periodo c.d. intermedio e cioè dalla scadenza
del termine alla sentenza di conversione del rapporto (Cass.
29/02/2012 n. 3056).
7.2. La determinazione di tale indennità è ancorata, in virtù del
richiamo operato dal comma 5 dell’art. 32 Legge n. 183/2010 cit.,
allo specifico parametro normativo rappresentato dai criteri di cui
all’art. 8 legge n. 604 /1966 cit. previsti per la misura della indennità
risarcitoria spettante al dipendente licenziato, in assenza di giusta
causa o giustificato motivo di licenziamento, nel caso di mancata
riassunzione da parte del datore di lavoro. Tali criteri sono costituiti
dalla dimensione dell’impresa, dall’anzianità di servizio del prestatore
di lavoro e dal comportamento delle parti.

Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice

7.3. La sentenza impugnata, nel pervenire alla determinazione
della misura dell’indennità in oggetto che, in considerazione della
esistenza di accordi sindacali di cui all’art. art. 32 comma 6, Legge n.
183/2010 cit. ha ridotto della metà, ha fatto riferimento soltanto al
« periodo intercorso tra la cessazione del rapporto per scadenza del

termine ,…» , vale a dire ad una circostanza che non è direttamente
riconducibile ai criteri indicati.
7.4. A tanto consegue, in accoglimento del secondo motivo di
ricorso incidentale, la cassazione della decisione di appello in
relazione al motivo accolto con rinvio ad altro giudice di secondo
grado, che si indica nella Corte d’appello di Bologna in diversa
composizione, perché proceda alla determinazione della indennità
risarcitoria alla luce dei criteri di cui all’art. 8 Legge n. 604/1966 cit. .
8. Al giudice del rinvio è demandato altresì il regolamento delle
spese di lite del giudizio di legittimità.
9. La circostanza che il ricorso principale sia stato proposto in
tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto
dell’applicabilità,nei confronti della ricorrente principale, dell’art. 13,
comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso
incidentale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale; cassa
la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla
Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione , alla quale
demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale

termine (31.1.99) e la presente sentenza dichiarativa della nullità del

dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.

Roma, 15 marzo 2018

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