Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20556 del 30/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2019, (ud. 10/01/2019, dep. 30/07/2019), n.20556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25450-2017 proposto da:

COMUNDE DI CAPACCIO PAESTUM, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato EMILIO GRIMALDI;

– ricorrente –

contro

T.V.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1686/2017 del TRIBUNALE di SALERNO, depositata

il 22/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE

POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione Z.V. evocava in giudizio davanti al Giudice di pace di Capaccio Paestum l’omonimo Comune chiedendo il risarcimento del danno derivante da un sinistro verificatosi il 18 luglio 2005, quando l’autovettura dell’attrice era finita dentro una profonda buca non segnalata. Attribuiva tale circostanza alla cattiva manutenzione del fondo stradale da parte della amministrazione comunale in quanto la buca era priva di segnalazione e la zona scarsamente illuminata;

il Comune di Capaccio Paestum non si costituiva e il giudice di prime cure con sentenza del 17 dicembre 2008 rigettava la domanda, ritenendo che l’attrice non avesse provato la proprietà della vettura danneggiata;

con atto notificato il 2 febbraio 2009 la Z. proponeva appello avverso la sentenza e il Comune si costituiva deducendo l’inammissibilità dell’impugnazione e, nel merito, l’infondatezza;

il Tribunale di Salerno, con sentenza del 22 marzo 2017, riteneva fondato il gravame rilevando che non era necessaria la prova della proprietà del bene, essendo sufficiente la dimostrazione della disponibilità del veicolo. Nel merito risultava provato il nesso di causalità tra il danno subito dall’attrice e il bene di proprietà della amministrazione sulla base delle dichiarazioni rese dai testi, confermate dal contenuto delle fotografie e dalla compatibilità dei danni. Riteneva sussistente la responsabilità ex art. 2051 c.c., da qualificare come responsabilità oggettiva, la prova del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno e non dimostrato il caso fortuito;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Comune di Capaccio Paestum affidandosi a tre motivi. Z.V. non svolge attività processuale in questa sede. Il ricorrente deposita memoria ex art. 380 bis c.p.c. pervenuta irritualmente per posta (Cass. n. 7704/2016).

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione l’art. 112 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il difetto assoluto di motivazione e la violazione dell’art. 111 Coste 132 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3;

si lamenta in primo luogo che il giudice d’appello avrebbe pronunciato oltre il contenuto del motivo di appello, che riguardava la mancata sollecitazione di parte attrice alla prova della proprietà dell’autovettura;

la censura è inammissibile e gradatamente infondata. Inammissibile, perchè, pur riproducendo brevissimi passaggi del corrispondente motivo di appello ed indicando la sede di quanto riprodotto, omette, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, di indicare se l’atto di appello sia stato prodotto e dove in questo giudizio di legittimità oppure se se ne sia omessa la produzione e si sia inteso fare riferimento alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio del giudice d’appello, come ammette Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011 per esentare dall’improcedibilità la parte ricorrente ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ma sancendo la necessità che alla presenza in detto fascicolo si faccia riferimento per rispettare l’onere di indicazione specifica di cui all’art. 366, n. 6;

il motivo è comunque infondato perchè il Tribunale, una volta posta in ipotesi, la doglianza solo nei termini che parte ricorrente indica, correttamente ha rilevato la quaestio iuris preliminare, evocando la giurisprudenza di questa Corte. Pertanto, non sussiste alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., e neppure dell’art. 132, n. 4, giacchè il richiamo all’orientamento di giurisprudenza integra una motivazione;

quanto all’omessa considerazione che era stata allegata la proprietà, considerata come fatto, essa è priva di fondamento, atteso che l’orientamento evocato riguarda pure questa ipotesi;

con il secondo motivo si lamenta l’errata applicazione dei principi in materia di termini e preclusioni, la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, la violazione dei principi in materia di onere della prova, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il difetto assoluto di motivazione e la violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., i sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3;

in particolare, la decisione adottata sulla base di documentazione prodotta tardivamente sarebbe errata, perchè non era possibile ammettere in appello la prova della proprietà del veicolo. Nel caso di specie il Tribunale, in persona del precedente giudice unico, aveva dichiarato inammissibile la produzione documentale esibita dall’appellante, perchè non tempestiva, come emergerebbe dal contenuto del verbale dell’udienza del 25 maggio 2009;

il secondo motivo non coglie la ratio decidendi riferendosi al deposito tardivo di documentazione che, in realtà non risulta sia stata ammessa. In particolare, il Tribunale non afferma che la produzione documentale depositata in appello è rituale e non fonda la decisione su tali nuovi elementi. Ed anzi lo stesso ricorrente evidenzia, seppur non deducendo la circostanza nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (l’ordinanza che sarebbe stata emessa dal giudice unico all’udienza del 25 maggio 2009 non è trascritta, allegata o comunque individuata nel fascicolo di legittimità) che la documentazione è stata ritenuta inammissibile. In realtà, il Tribunale ha ritenuto sufficiente la circostanza oggettiva della disponibilità del veicolo dimostrata sulla base degli altri elementi di prova esaminati, anche con riferimento alla dinamica (dichiarazioni testimoniali e foto dello stato dei luoghi e del veicolo);

con il terzo motivo si ritiene erronea la quantificazione dei compensi professionali con violazione di artt. 91 e 92 c.p.c. e del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare, i compensi professionali, pari ad Euro 1600 sarebbero stati liquidati in misura eccessiva e in violazione del citato decreto ministeriale. Al contrario, le competenze avrebbero dovuto essere riferite al primo scaglione di valore (sino ad Euro 1100), ed in assenza di nota spese, avrebbero dovuto essere limitati ad Euro 500, mentre quelli relativi al giudizio di appello, sarebbero pari ad Euro 630, comprensivi di tutte le fasi. Inoltre, le somme avrebbero dovuto essere ridotte proporzionalmente in ragione della soccombenza reciproca, ai sensi dell’art. 92 c.p.c.;

il motivo è inammissibile per genericità (Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, che riprende in motivazione il principio di diritto di cui a Cass. n. 4741 del 2005 e numerose conformi): posto che indica il dovuto per il grado di appello per dimostrare che il residuo di Euro 1000 sarebbe eccessivo per la fase di appello, ma parte ricorrente avrebbe dovuto indicare le specifiche attività svolte. Peraltro, la doglianza è infondata là dove il motivo erroneamente postula che la liquidazione avrebbe dovuto rispettare il D.M. n. 127 del 2004, giusta Cass. nn. 1018 del 2018, 19482 del 2018 e 27233 del 2018;

la censura, comunque, è basata su un presupposto erroneo, perchè richiama Cass. n. 3903 del 2016 in modo non pertinente, dato che concerne l’ipotesi in cui la parte abbia proposto una domanda di valore superiore rispetto a quanto riconosciuto dalla sentenza di primo grado: il valore, invece, era quello della domanda e le spese andavano liquidate sulla base di esso;

ciò dimostra l’erroneità della tesi del ricorrente, dato che il giudice non ha compensato in ragione dell’accoglimento parziale della domanda e l’omessa compensazione non è sindacabile (Cass., Sez. Un., n. 14989 del 2005);

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; nulla per le spese poichè la parte intimata non ha svolto attività processuale in questa sede. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, dell’art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 10 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019

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