Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20556 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. II, 29/09/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 29/09/2020), n.20556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25746-2016 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO

36/B, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO SCARDIGLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERO PETROCCHI;

– ricorrente –

contro

COMUNE di FIRENZE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato

rappresentato e difeso dagli ANDREA SANSONI e DEBORA PACINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1274/2016 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata

il 04/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/03/2020 dal Consigliere COSENTINO ANTONELLO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. S.G. proponeva opposizione dinanzi al Giudice di Pace di Firenze avverso il verbale di contestazione di una contravvenzione al codice della strada del 23 ottobre 2009 elevato dalla Polizia Municipale di Firenze.

Il Giudice adito con la sentenza n. 5989/2012 dichiarava il ricorso inammissibile in quanto tardivamente proposto.

La sentenza di primo grado veniva appellata dall’opponente ed il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 1274/16, ha dichiarato l’appello improcedibile. Il Tribunale argomenta che la procura ad litem rilasciata al difensore del sig. S. deve ritenersi inesistente, perchè priva di qualsivoglia riferimento alla procedura per la quale è stata rilasciata o alla “specifica tipologia di atto oggetto di opposizione”; con la conseguente possibilità che “tramite una procura, generica come quella in oggetto, si possano instaurare molteplici controversie giudiziarie senza che sia stato rilasciato mandato da parte del cliente” (pag. 3 della sentenza).

2. Avverso tale sentenza il sig. S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.

Il Comune di Firenze ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’adunanza ex art. 380 bis, del 5 marzo 2020, in cui la causa è stata decisa.

3. Con il primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si deduce la violazione dell’art. 83 c.p.c., comma 1 e degli artt. 2702 e 2703 c.c., in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo che la mancata menzione del verbale da impugnare, nel testo della procura rilasciata all’avv. Petrocchi, rendesse quest’ultima invalida e, addirittura, inesistente.

3.1. Sotto il primo profilo il ricorrente censura l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui la procura ad litem necessiterebbe, a pena di nullità, dell’indicazione non solo dei nomi delle parti ma anche dell’oggetto della lite. Al riguardo il ricorrente critica l’assunto secondo cui l’omessa menzione del verbale per la cui impugnazione sia stata rilasciata una procura ad litem determinerebbe la invalidità della procura stessa; tale assunto, si argomenta nel mezzo di impugnazione, contrasterebbe con il principio, affermato dalla Sezione Lavoro di questa Corte (sent. n. 20784/10), secondo cui devono considerarsi speciali anche le procure che si riferiscono non ad una sola causa ma ad una “serie specifica di cause, caratterizzate dalla materia trattata o dalla sede territoriale o altrimenti” (così in ricorso p. 9).

3.2. Sotto il secondo profilo del primo motivo di ricorso il ricorrente censura la statuizione dell’impugnata sentenza secondo cui la procura in questione sarebbe addirittura inesistente, sottolineando come tale statuizione trascurerebbe la valenza fidefaciente della autenticazione notarile della sottoscrizione apposta dal mandante sulla scrittura privata che documentava il conferimento della procura.

4. Con il secondo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, si deduce la violazione dell’art. 157 c.p.c., comma 1 e dell’art. 112 c.p.c., per avere il giudice d’appello – investito di eccezione di nullità della procura alle liti – qualificato tale nullità come insanabile, senza che l’insanabilità fosse stata dedotta dal Comune di Firenze.

5. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c., comma 2, per avere il giudice d’appello rilevato un vizio della procura senza aver prima provveduto, come imposto da detta norma, a formulare l’invito a produrre altra procura idonea a sanare ex tunc la costituzione della parte.

6. Il quarto motivo infine, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5 (recte: art. 360 c.p.c., n. 4), denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in cui il Tribunale sarebbe incorso perchè, soffermandosi esclusivamente sulla questione della procedibilità dell’appello, avrebbe omesso di pronunciarsi sui motivi del medesimo, idonei, si argomenta nel mezzo di ricorso, a definire il giudizio in base al principio della ragione più liquida.

7. I primi tre motivi, investendo profili strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

8. E’ opportuno premettere che il tribunale ha accertato che “nel caso in esame, la mancata indicazione nella procura alle liti del procedimento giudiziale per il quale essa è stata rilasciata non permette di individuarne la specifica finalità”, nè di “comprendere se essa sia stata rilasciata o meno per una serie di procedimenti giudiziali omogenei ed analoghi” (pag. 3); si tratta di un accertamento in fatto, non sindacabile in cassazione se non nei limiti dell’omesso esame di fatto storico dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 5 (non dedotto nei motivi in esame).

8.1. Questa Corte ha infatti più volte ribadito che la procura ad litem è atto geneticamente sostanziale con rilevanza processuale, da interpretare secondo i criteri ermeneutici stabiliti per gli atti di parte dal combinato disposto di cui all’art. 1367 c.c. e art. 159 c.p.c., altresì precisando che l’interpretazione operata dal giudice di merito può essere censurata in sede di legittimità solo per eventuali omissioni ed incongruità argomentative e non anche mediante la mera denunzia dell’ingiustificatezza del risultato interpretativo raggiunto (cfr. Cass. n. 21924/06, n. 4864/07, n. 1419/11, nonchè, da ultimo, in controversia del tutto sovrapponibili alla presente, Cass. nn. 22892/18 e 24212/18).

9. Sulla scorta di tale premessa il primo motivo del ricorso si palesa inammissibile, perchè la censura ivi formulata si limita, nella sostanza, unicamente a contestare l’esito dell’interpretazione della procura offerta dal Tribunale, senza, tuttavia, segnalare nè quali sarebbero le regole ermeneutiche violate nè come si sia concretato l’errore interpretativo.

9.1. Va peraltro escluso che la soluzione raggiunta dal Tribunale di Firenze possa ritenersi connotata da incongruità o illogicità, dovendosi a tal fine avere riguardo agli approdi ai quali già è pervenuta in passato questa Corte che, nella sentenza n. 12486/00, ha chiarito che “La procura notarile rilasciata con l’espressione ad litem (nella specie con l’espressione in lingua tedesca gegen ananghing) senza alcun riferimento specifico alla causa e alle generalità della controparte è radicalmente nulla, non potendo valere nè come procura generale, in mancanza di una esplicita volontà manifestata in tal senso, nè come procura speciale, per la carenza di riferimenti ad una specifica controversia”.

9.2. Quanto alla doglianza mossa dal ricorrente, sempre nel primo motivo di ricorso, in ordine all’utilizzazione, da parte del Tribunale, della categoria della inesistenza (invece che della nullità) della procura, il Collegio rileva che tale doglianza è priva di rilevanza concreta, risolvendosi, in sostanza, in una questione meramente classificatoria.

9.3. Il Tribunale, infatti, non ha messo in discussione che il sig. S. abbia materialmente rilasciato all’avvocato Petrocchi la procura ad litem di cui si discute (donde la non pertinenza degli artt. 2702 e 2703 c.c., dei quali nel primo motivo di ricorso si denuncia infondatamente la violazione); ma ha ritenuto che tale procura, per l’assoluta indeterminabilità del relativo oggetto, fosse così radicalmente inidonea ad assolvere al proprio scopo da doversi considerare giuridicamente inesistente. In tal modo il giudice fiorentino si è conformato all’indirizzo espresso nella sentenza di questa Corte n. 12486/00, citata nellà paragrafo precedente, nella cui motivazione si legge: “Orbene, va considerato che il principio di tassatività delle nullità degli atti processuali non è assoluto, ma incontra una deroga quanto volte un atto manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, salvo che l’atto non abbia raggiunto lo scopo cui era destinato: in tal caso la giurisprudenza ritiene che l’atto sia viziato da nullità insanabile e introduce al riguardo la categoria dell’inesistenza dell’atto. In applicazione di tali principi è sempre stata ritenuta inesistente l’attività processuale posta in essere dal procuratore privo di una procura che fornisca alla controparte la giuridica certezza della riferibilità dell’attività da lui svolta al titolare della posizione sostanziale controversa e pertanto del tutto correttamente la nullità è stata rilevata d’ufficio dal giudice di primo grado indipendentemente dalla proposizione di una tempestiva eccezione di controparte”.

9.4. Il Collegio osserva che – a prescindere da qualunque approfondimento sulla permanente attualità del suddetto indirizzo giurisprudenziale – appare qui dirimente il rilievo che, quand’anche la procura in esame debba essere considerata, in virtù dell’indeterminabilità del suo oggetto, nulla ma, tuttavia, non inesistente, tale conclusione non potrebbe comunque condurre all’accoglimento delle censure svolte nel secondo e nel terzo motivo di ricorso.

11. Quanto al secondo motivo di ricorso, è sufficiente considerare che Comune di Firenze aveva sollevato nella propria comparsa di costituzione nel giudizio di secondo grado l’eccezione di nullità della procura in forza della quale il difensore del sig. S. aveva appellato la sentenza del Giudice di Pace. L’istanza di parte necessaria per la pronuncia della nullità ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 1, era stata quindi proposta; la classificazione degli effetti del vizio della procura rilasciata al difensore dell’appellante, eccepito dall’appellato, rientrava poi nei poteri del Tribunale, per il principio jura novit curia.

12. Per quanto poi concerne la doglianza svolta nel terzo mezzo di impugnazione – con cui si lamenta il mancato esercizio, da parte del Tribunale, del potere/dovere di assegnare all’appellante un termine per il rilascio della procura alla lite o per la relativa rinnovazione, secondo il disposto dell’art. 182 c.p.c., comma 2, come modificato dalla L. n. 69 del 2009 – il Collegio osserva che il nuovo testo normativo ha effettivamente imposto una possibilità di sanatoria sia per il difetto sia per la nullità della procura al difensore, con un preciso dovere del giudice di assegnare alla parte interessata un termine perentorio per la sanatoria stessa.

12.1. Per effetto del nuovo testo dell’art. 182 c.p.c., il rispetto del termine perentorio all’uopo assegnato dal giudice è idoneo a sanare retroattivamente sia una qualunque difformità del mandato defensionale per il giudizio di merito rispetto al modello legale sia, anche, la mancanza assoluta di tale mandato. Si veda, in termini, Cass. 10885/18, ove si afferma che “L’art. 182 c.p.c., comma 2, nella formulazione introdotta dala L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, secondo cui il giudice che accerti un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione è tenuto a promuovere la sanatoria, assegnando un termine alla parte che non vi abbia provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti dalle decadenze processuali, trova applicazione anche qualora la procura manchi del tutto, restando irrilevante la distinzione tra nullità e inesistenza della stessa”; nello stesso senso, Cass. 6460/19; solo apparentemente difforme è Cass. 24257/18, così massimata:” In tema di opposizione a sanzione amministrativa, il ricorso in appello proposto dalla parte personalmente è inesistente e, come tale, non sanabile con il successivo deposito di procura conferita al difensore, poichè la sanatoria prevista dall’art. 182 c.p.c., comma 2, (come modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2), presupponendo che l’atto di costituzione in giudizio sia stato comunque redatto da un difensore, si applica nelle ipotesi di nullità, ma non di originaria inesistenza della procura”. L’affermazione secondo cui la sanatoria prevista dall’art. 182 c.p.c., comma 2, si applica nelle ipotesi di nullità, ma non di originaria inesistenza, della procura va, infatti, rapportata all’ipotesi, del tutto peculiare, in cui la successiva produzione di una procura ad un avvocato tenda a sanare gli effetti di un atto di impugnazione proposto dalla parte personalmente, senza ministero di difensore; non già alla diversa ipotesi in cui l’atto di impugnazione sia stato redatto da un avvocato privo della procura o munito di procura radicalmente inidonea.

12.2. Il terzo motivo di ricorso, tuttavia, non può trovare accoglimento perchè non si confronta con l’insegnamento di questa Corte alla cui stregua il meccanismo della sanatoria ex art. 182 c.p.c., va contemperato con il principio (sul quale si veda Cass. n. 11898/14 e SSUU n. 4248/16) che, mentre ai sensi dell’art. 182 c.p.c., il giudice che rileva d’ufficio un difetto di rappresentanza deve promuovere la sanatoria, assegnando alla parte un termine di carattere perentorio, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze di carattere processuale, nel diverso caso in cui l’eccezione di difetto di rappresentanza sia stata tempestivamente proposta da una parte, l’opportuna documentazione va prodotta immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine, che non sia motivatamente richiesto o comunque assegnato dal giudice, giacchè sul rilievo di parte l’avversario è chiamato a contraddire.

12.3. Nel presente giudizio infatti, come già sottolineato nell’esame della censura proposta con il secondo motivo, la questione della nullità della procura non è stata rilevata d’ufficio dalla Tribunale ma è stata dedotta dal Comune di Firenze in sede di costituzione in appello. A tale eccezione l’appellante, odierno ricorrente, ha replicato contestandone la fondatezza, ma senza nè provvedere spontaneamente alla rinnovazione della procura, nè chiedere l’assegnazione del termine di cui all’art. 182 c.p.c., per provvedere a tale incombente. Ne deriva che la doglianza sviluppata nel terzo motivo di ricorso non può ritenersi fondata, giacchè l’assegnazione da parte del Tribunale del termine di cui all’art. 182 c.p.c., comma 2, risultava superflua in ragione della già proposta eccezione del Comune di Firenze. La sollevazione di detta eccezione, infatti, aveva fatto sorgere in capo all’appellante l’onere di attivarsi per la sanatoria, senza necessità di alcun impulso giudiziale; non adempiendo a tale onere, il sig. S. si è assunto il rischio della fondatezza dell’eccezione. Sulla inapplicabilità del disposto dell’art. 182 c.p.c., nel caso in cui il rilievo della nullità consegua ad una eccezione della controparte, si veda, oltre alle già citate Cass. n. 22892/18 e Cass. n. 24212/18, anche Cass. n. 6996/19, Cass. n. 34467/19, Cass. n. 18074/19, Cass. n. 17974/19, Cass. n. 13312/19. In definitiva, non risultando che l’odierno ricorrente si sia attivato, a seguito della contestazione dell’appellato Comune di Firenze, per provvedere alla sanatoria del vizio denunciato, nè che abbia chiesto la concessione del termine di cui all’art. 182 c.p.c., anche il terzo motivo di ricorso va rigettato.

13. Il quarto motivo infine denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in cui il Tribunale sarebbe incorso dichiarando l’appello improcedibile senza, tuttavia, procedere all’esame del merito degli altri motivi di appello; in tal modo, argomenta il ricorrente, l’impugnata sentenza avrebbe violato il principio della ragione più liquida, il quale, come è noto, consente al giudice di pervenire alla decisione sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre.

Il motivo deve essere disatteso, perchè la doglianza evoca in maniera non adeguata il principio della ragione più liquida.

13.1. Per un verso, infatti, il suddetto principio può essere invocato solo per decidere la controversia in base alla questione di merito che, pur se logicamente subordinata ad altre questioni di merito, venga ritenuta più “liquida”; ma non può ritenersi operante nel rapporto tra questioni di rito e questioni di merito. Come questa Sezione ha di recente puntualizzato (Cass. n. 7941/20, in motivazione, pag. 12 e ss.), il criterio della ragione più liquida risponde, più che a ragioni di economia processuale, all’esigenza di escludere la formazione del giudicato implicito su questioni di merito diverse da quelle che sono state effettivamente esaminate e decise ai fini della definizione della controversia. Tale esigenza rappresenta un corollario della possibilità (prevista dagli art. 187 c.p.c., comma 2, e art. 279 c.p.c., comma 2, n. 2, seconda ipotesi) di definire il giudizio su questioni di merito che presuppongono l’esistenza del diritto controverso (e, quindi, siano concettualmente successive al relativo accertamento) senza, tuttavia, procedere alli accertamento del diritto e, quindi, senza precludere la possibilità che a tale accertamento, positivo o negativo, si proceda in altra sede e per altri fini (il nesso tra il criterio della ragione più liquida e l’esigenza di definire i limiti oggettivi del giudicato risulta esplicitato in SSUU n. 26242/14, là dove, alla fine del paragrafo 5.4.1., si afferma: “Proprio la facoltà del giudicante di definire il processo celermente, sulla base della ragione più liquida…, impedisce di affermare la perfetta sovrapponibilità dell’oggetto del processo all’oggetto del giudicato”). La suddetta esigenza, come è evidente, non si può porre se non in relazione al rapporto tra questioni di merito ed è proprio questa la ragione per cui il criterio della ragione più liquida non può ritenersi operante nel rapporto tra questioni pregiudiziali di rito e questioni di merito, ma trova applicazione solo nel rapporto tra questioni preliminari di merito e altre questioni di merito (si pensi, ad esempio, alla questione della prescrizione rispetto alla questione della sussistenza del credito) o anche tra questioni di merito equiordinate (si pensi al rigetto della domanda risarcitoria per difetto di prova sul quantum debeatur, senza accertamento in ordine all’an debeatur).

13.2. Per altro verso, il criterio della ragione più liquida postula che l’esame di tale ragione, sulla cui base viene decisa la causa, conduca al medesimo esito decisorio al quale potenzialmente condurrebbero le questioni logicamente preliminari non esaminate in quanto meno liquide. Nella fattispecie in esame quindi – ove anche si ritenesse possibile applicare il criterio della ragione più liquida nel rapporto tra questioni di rito e questioni di merito (in contrasto con l’orientamento enunciato nel paragrafo che precede) – tale criterio avrebbe consentito di pretermettere l’esame della eccezione di nullità della procura ad litem del difensore dell’appellante solo ove il Tribunale avesse ravvisato una più liquida ragione di rigetto (in definitiva, un profilo di manifesta infondatezza) dei motivi di appello. 14. Il ricorso va quindi, in definitiva, rigettato. Le spese seguono la soccombenza. Deve darsi atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 645, oltre Euro 100 per esborsi e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

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