Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20556 del 06/08/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 20556 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: BOGHETICH ELENA

SENTENZA

sul ricorso 20014-2013 proposto da:
SVILUPPO ITALIA CAMPANIA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE C.F.
05192230638, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CICERONE 66, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DE
VIVO, che la rappresenta e difende giusta delega in
2018

atti;
– ricorrente –

1029

contro

DE VERO FRANCESCA, CAMPANILE ROSARIA, domiciliate in
ROMA PIAllA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

Data pubblicazione: 06/08/2018

SUPREMA DI

CASSAZIONE,

rappresentate e difese

dall’avvocato RICCARDO CIRILLO, giusta delega in
atti;
– controricorrenti nonchè contro

– intimata –

avverso la sentenza n. 947/2013 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 07/03/2013 R.G.N. 8286/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/03/2018 dal Consigliere Dott. ELENA
BOGHETICH;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale DOTT. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per l’inammissibilità o in subordine rigetto;
udito l’Avvocato ANTONELLA PELOSI per delega Avvocato
ANDREA DE VIVO.

ADECCO ITALIA S.P.A.;

n. 2P014/2013 R.G.

FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza depositata il 7.3.2013 la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame di
Sviluppo Italia Campania s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale della medesima sede che
aveva accolto la domanda di Francesca De Vero e Rosaria Campanile volta ad ottenere la
declaratoria di nullità dei contratti di lavoro di somministrazione a tempo determinato stipulati
con Adecco Italia s.p.a. (il 6.5.2004 per la De Vero e il 26.4.2004 per la Campanile) per
genericità della causale nonché per mancata prova circa la ricorrenza di un effettivo picco

società utilizzatrice e condanna al pagamento delle retribuzioni dal settembre 2009 (data di
notifica del ricorso giudiziale).
2. La Corte territoriale ha precisato che l’illegittimità della somministrazione derivava, non solo
dalla estrema genericità della causale apposta ai contratti di somministrazione ma altresì dalla
mancata allegazione e prova della ricorrenza di un’esigenza temporanea e specifica di
assunzione che imponesse, pur se nell’ambito dell’attività rientrante nell’oggetto sociale
(incentivazione di nuove forme di imprenditorialità attraverso erogazione di finanziamenti
alimentati da fondi stanziati in leggi finanziarie), il ricorso a personale esterno, trattandosi,
altresì, di assunzioni effettuate a distanza di un anno della delibera CIPE del maggio 2003 che
aveva stanziato nuovi fondi per la promozione delle politiche attive del lavoro.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre la società affidandosi a due motivi e le lavoratrici
resistono con controricorso, depositando, altresì, successivamente, memoria di nomina di
nuovo procuratore. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod.proc.civ. e,
all’udienza, parte ricorrente ha depositato visura presso la CCIAA di Roma dalla quale risulta la
cancellazione della società dal registro delle imprese in data 7.3.2018. La società Adecco Italia
s.p.a. è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21,
22 e 27 del d.lgs. n. 267 del 2003 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) avendo, la
Corte distrettuale, disatteso il favor dell’ordinamento comunitario e del legislatore nei confronti
del contatto di somministrazione (strumento che consente l’accesso a forme di flessibilità per il
datore di lavoro e l’ingresso facilitato al mercato del lavoro) e ritenuto necessario un obbligo
di specifica indicazione della causale giustificativa del ricorso alla somministrazione a fronte
della previsione, diversamente dal contratto a tempo determinato di cui al d.lgs. n. 368 del
2001, della indicazione di una causale ampia, non legata a specifiche situazioni tipizzate dal
legislatore o dal contratto collettivo.

m

1

attività, con conseguente costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la

n. Z0014/2013 R.G.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.lgs. n.
276 del 2003 e degli artt. 2697, 2727, 2729 cod.civ. e 167, 414, 416, 115 e 116 cod.proc.civ.
(in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, travisato gli
elementi istruttori nella misura in cui non ha ritenuto intervenuto un picco di produzione
derivante dalla riattivazione dei finanziamenti pubblici per l’autoimpiego e la micro-impresa
nelle aree sottoutilizzate a seguito della delibera del CIPE del maggio 2003.
3. Preliminarmente, si osserva che l’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della

del processo (cfr. Cass. n. 2625 del 2018). Con riguardo alle controricorrenti De Vero e
Campanile va, inoltre, rilevato che la costituzione di un nuovo difensore sarebbe dovuta
avvenire ai sensi dell’art. 83 cod.proc.civ., comma 2, sulla base di procura conferita per atto
pubblico o di scrittura privata autenticata in quanto il nuovo testo della suddetta disposizione
(secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti
diversi dal ricorso o dal controricorso) si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo
grado dopo la data di entrata in vigore dell’art. 45 della legge n. 69 del 2009 (ovvero, il 4
luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data (come nel caso di
specie, il 28.5.2009), se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al
controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura
privata autenticata. La procura in calce alla memoria di nomina e atto di costituzione di nuovi
difensori delle controricorrenti è, pertanto, nulla, ma ciò non incide sulla validità della nuova
elezione di domicilio contestuale al rilascio del suddetto mandato ad litem (trattandosi di atto
ontologicamente distinto, cfr. Cass. n. 16707 del 2003).
4. Rilevato che la sentenza impugnata è sorretta da due ragioni distinte ed autonome (vizio di
forma del contratto di somministrazione e mancata ricorrenza, in concreto, di un picco di
attività giustificativo del ricorso al contratto di somministrazione), e’ opportuno esaminare
preliminarmente il secondo motivo che appare inammissibile.
Premesso che – anche a fronte della validità, da un punto di vista formale, del contratto di
somministrazione in considerazione della sufficiente concretezza della causale apposta l’utilizzatore deve fornire la prova dell’effettiva esistenza della ragione giustificativa, appare
corretto l’approccio della Corte territoriale la quale, nel sottolineare la necessità che
l’utilizzatore dia la dimostrazione della effettività dell’esigenza sottesa alla singola assunzione
del lavoratore, l’ha ritenuta, in concreto, non soddisfatta. Con argomentazione congrua ed
immune da vizi di carattere logico-giuridico, i giudici d’appello hanno infatti rimarcato che “la
mera allegazione, da parte della società, di aver ottenuto fondi a seguito della delibera CIPE
del 9/5/2003 non giustifica l’assunzione a termine, a distanza di circa un anno, di lavoratrici
addette proprio all’attività ordinaria cui dovevano essere adibiti i dipendenti a tempo

2

società ricorrente, dopo la proposizione del ricorso per cassazione, non è causa di interruzione

R.G.
. n. 20014/2013

indeterminato della Sviluppo Italia Campania s.p.a. e cioè l’istruttoria dei piani di investimento
prodotti dalle imprese al fine di ottenere finanziamenti”.
In realtà, il motivo di ricorso appare inammissibilmente formulato, per avere ricondotto sotto
l’archetipo della violazione di legge censure che, invece, attengono alla tipologia del difetto di
motivazione ovvero al gravame contro la decisione di merito mediante una diversa lettura delle
risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale. Né può
rinvenirsi un vizio di falsa applicazione di legge, non lamentando, il ricorrente, un errore di
sussunzione del singolo caso in una norma che non gli si addice.
In ordine alla lamentata incongruità della motivazione della sentenza impugnata, è stato più
volte ribadito che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra
esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto
riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio
convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel
privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e
logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del
proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola
risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (cfr. Cass. SS.UU. n.
24148/2013, Cass. n. 8008/2014). Secondo il novellato testo dell’art. 360 n. 5 (come
interpretato dalle Sezioni Unite n. 8053/2014 ed applicabile nel caso di specie, trattandosi di
sentenza pubblicata dopo 1’11.2.2012), tale sindacato è configurabile soltanto qualora manchi
del tutto la motivazione oppure formalmente esista come parte del documento, ma le
argomentazioni siano svolte in modo

“talmente contraddittorio da non permettere di

individuarla”.
Nessuna lacuna o contraddizione motivazionale è rinvenibile nella sentenza impugnata che ha
coerentemente esposto come la società, con riguardo al periodo coincidente con la stipula dei
contratti di somministrazione, non aveva allegato la ricorrenza di un’impennata di attività tale
da non poter essere assorbita dai dipendenti impiegati a tempo indeterminato.
5. Trova, allora, applicazione nella fattispecie il principio secondo cui, qualora la pronuncia
impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali
giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle
doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame
relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più
ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi, giacchè, ancorchè
esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della decisione
anzidetta (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 12355/2010; 13956/2005; 20454/2005; 18240/2004).
Ne consegue l’inammissibilità del primo motivo.
3

.

, n. 29014/2013 R.G.

6. In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite seguono il criterio della
soccombenza dettato dall’art. 91 cod.pro.civ. con riguardo alle parti costituite; nulla si dispone
in ordine alle spese di lite nei confronti della parte che è rimasta intimata.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1
quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità
2013).

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente a pagare le spese del
presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per
compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso
articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 marzo 2018.

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