Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20554 del 19/07/2021

Cassazione civile sez. II, 19/07/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 19/07/2021), n.20554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16758/2016 R.G. proposto da:

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE di AGRIGENTO, c.f./p.i.v.a. (OMISSIS),

in persona del direttore generale pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, al viale Angelico, n. 78, presso lo studio

dell’avvocato Marcella Peritore, che la rappresenta e difende in

virtù di procura speciale a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

COMUNE di LICATA, c.f. (OMISSIS), in persona del sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato, in Roma, alla via Antonio Bertoloni, n.

35, presso lo studio dell’avvocato Federico Cappella, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del

controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 873/2015 della Corte d’Appello di Palermo;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 9 febbraio 2021 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con atto notificato il 28.3.2006 l'”Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento” citava a comparire dinanzi al Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Licata, il Comune di Licata.

Esponeva che era proprietaria dei locali in (OMISSIS); che gli immobili erano occupati sine titulo dal Comune di Licata. Chiedeva condannarsi il convenuto al loro rilascio.

2. Si costituiva il Comune di Licata.

Deduceva che gli immobili, ancorché a confine con beni di proprietà dell’attrice, erano di sua proprietà, siccome, in ogni caso, ne aveva il possesso ininterrottamente da oltre venti anni.

Instava per il rigetto dell’avversa domanda; in riconvenzionale, chiedeva accertarsi e dichiararsi l’intervenuto acquisto per usucapione da parte sua della proprietà dei locali.

3. All’esito dell’istruzione probatoria, con sentenza n. 202/2008 l’adito tribunale rigettava la domanda attorea ed, in accoglimento della riconvenzionale, dichiarava il Comune di Licata proprietario dei cespiti.

4. Proponeva appello l'”Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento”. Resisteva il Comune di Licata.

5. Con sentenza n. 873/2015 la Corte di Palermo rigettava il gravame.

Esplicitava la corte – circa il primo motivo d’appello, con cui a censura del primo dictum l’azienda sanitaria aveva reiterato l’eccezione di non usucapibilità degli immobili, siccome appartenenti ad ente preposto alla pubblica assistenza e vincolati a tale finalità – che, a fronte del disposto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 5, comma 2, la circostanza per cui i locali fossero se del caso di spettanza di un ente avente finalità sanitarie o di assistenza, non ne importava l’appartenenza al patrimonio indisponibile del medesimo ente e susseguentemente la non usucapibilità; che al contempo l’azienda sanitaria non aveva né dedotto né provato l’esistenza di un diretto collegamento tra eventuali entrate percepite per il tramite dei cespiti ed i servizi assistenziali dalla stessa assolti.

Esplicitava la corte – circa il secondo motivo d’appello – che l’appellante, alla stregua della documentazione allegata, non aveva fornito dimostrazione puntuale dell’appartenenza dei beni ad un suo originario dante causa e dei passaggi via via succedutisi sino ad addivenire a quello in suo favore.

Esplicitava altresì che il Comune appellato aveva in ogni caso posto in essere comportamenti atti ad integrare l’interversio possessionis.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'”Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento”; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione.

Il Comune di Licata ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

7. La ricorrente ha depositato memoria.

8. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che, fuor di contestazione l’appartenenza in origine dell’immobile alla “(OMISSIS)”, la corte di merito non ha valorizzato il successivo passaggio all'”(OMISSIS)”, benché risultante da innumerevoli elementi.

Deduce altresì che vi era stata continuità nella gestione del nosocomio cittadino tra la “(OMISSIS)” e l'”(OMISSIS)”.

Deduce segnatamente che a tal riguardo la corte distrettuale per nulla ha tenuto conto del computo metrico, con allegata planimetria, che D.V., su incarico dell'”(OMISSIS)”, ebbe a redigere in data 19.1.1878, in occasione della ristrutturazione dell’antico ospedale, computo metrico nel quale i locali per i quali è controversia, sono indicati con i nn. 12, 13 e 14 e che evidentemente dimostra che l'”(OMISSIS)” aveva di tali locali la disponibilità.

Deduce inoltre che non vi era alcun trasferimento in favore della “(OMISSIS)” che avrebbe dovuto essere dimostrato, atteso che l'”(OMISSIS)” è rimasta proprietaria del patrimonio ad essa spettante fino alla istituzione degli enti ospedalieri, propriamente sino alla istituzione dell'”Ospedale (OMISSIS)”.

9. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1141 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che la corte territoriale non ha tenuto conto, ai fini del riscontro della proprietà dei cespiti in capo ad essa ricorrente e della condizione di mero detentore dei cespiti da parte del Comune di Licata, delle risultanze del Libro dei Privilegi, da cui si desume che già nel 1593 – e fino al 1870 – i locali de quibus appartenevano all’Ospedale di (OMISSIS) e che per la fruizione dei medesimi locali, adibiti a carcere cittadino, il Comune di Licata pagava un canone annuo posticipato.

Deduce dunque che il pagamento, protratto per centinaia di anni, della “gabella” dimostra che non vi è stata da parte del Comune di Licata alcun atto di interversio possessionis.

Deduce al contempo che gli atti dalla corte di seconde cure reputati idonei ai fini dell’interversio possessionis non valgono viceversa come tali, siccome è necessaria l’univoca volontà specificamente rivolta al proprietario di tenere la res come propria.

10. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1145 c.c., in relazione al D.Lgs. n. 264 del 1974, art. 7, L. n. 833 del 1978, art. 66,L.R. Sicilia n. 87 del 1980, artt. 39 e 40 e del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 5.

Deduce che ha errato la corte palermitana, allorché ha ritenuto che la circostanza per cui i locali siano di spettanza di un ente avente finalità sanitarie o di assistenza, non ne importa l’appartenenza al patrimonio indisponibile dell’ente medesimo e susseguentemente la non usucapibilità

Deduce che siffatta affermazione non tiene conto della normativa sanitaria che, a partire dalla fine degli anni ‘70 e fino al D.Lgs. n. 502 del 1992, ha dapprima assoggettato a vincolo di destinazione, con la istituzione delle “U.S.L.”, e poi conferito in proprietà alle “A.S.L.” parimenti con vincolo di destinazione i beni appartenenti ai soppressi enti ospedalieri, vincolo di destinazione che li ha resi non suscettibili di possesso ad usucapionem.

11. Si giustifica l’esame contestuale del primo e del secondo motivo. Invero i motivi anzidetti sono strettamente connessi, siccome e con l’uno e con l’altro la ricorrente censura il giudizio “di fatto” cui ha la Corte di Palermo ha fatto luogo (si condivide, tra gli altri, il rilievo del Comune di Licata secondo cui con il primo mezzo si sollecita questa Corte di legittimità a “ricostruire i successivi passaggi di proprietà dell’immobile sulla base della documentazione acquisita ed esaminata dal Giudice del merito”: così controricorso, pag. 3. Il rilievo va recepito pur con riferimento alle deduzioni in tal senso di cui alla memoria della ricorrente).

Del resto questa Corte spiega che l’interversione – profilo, quest’ultimo, involto dai passaggi finali del secondo mezzo – idonea a trasformare la detenzione in possesso non può avvenire mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in uno o più atti esterni, sebbene non riconducibili a tipi determinati, dai quali sia consentito desumere la modificata relazione di fatto con la cosa detenuta in opposizione al possessore (cfr. Cass. 28.2.2006, n. 4404). E soggiunge, poi, che l’accertamento, in concreto, degli estremi dell’interversione del possesso integra un’indagine di fatto, rimessa al giudice di merito, sicché nel giudizio di legittimità non può chiedersi alla Corte di Cassazione di prendere direttamente in esame la condotta della parte, per trarne elementi di convincimento, ma si può solo censurare, per omissione o difetto di motivazione – all’esito della novella del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, per “omesso esame” – la decisione di merito che abbia del tutto trascurato o insufficientemente esaminato la questione di fatto della interversione (cfr. Cass. 28.2.2006, n. 4404; Cass. 19.12.2011, n. 27521; Cass. (ord.) 25.10.2019, n. 27411).

12. Su tale scorta il primo ed il secondo motivo vanno senz’altro respinti.

13. Più esattamente, nel solco della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nei limiti di cui alla pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si osserva quanto segue.

14. Per un verso, nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia delle sezioni unite teste’ menzionata – e tra le quali di certo non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – si scorge in relazione alle motivazioni cui il secondo giudice ha, in parte qua agitur, ancorato il suo dictum.

In particolare la corte siciliana ha fatto luogo alle seguenti ulteriori puntualizzazioni.

Innanzitutto ha specificato che l’appellante aveva illustrato “un generale percorso storico che ha investito gli enti erogatori di prestazioni sanitarie nel quale, però, non è possibile trovare alcun riferimento puntuale riguardo le sorti del bene oggetto di causa” (così sentenza d’appello, pag. 5).

Altresì ha specificato che l’ente appellato non si era limitato a non versare più la “gabella” alla “(OMISSIS)”, ma aveva occupato per oltre un secolo l’immobile senza opposizione di chicchessia, lo aveva concesso in locazione, vi aveva costituito ipoteca ed aveva posto in essere comportamenti – la pubblicazione di bandi, l’accatastamento, la destinazione a sede dell’ufficio sanitario comunale – idonei a rendere palese la propria intenzione di comportarsi come proprietario (cfr. sentenza d’appello, pag. 7).

Per altro verso, è da escludere che la corte palermitana abbia omesso la disamina del fatto controverso.

15. D’altra parte, innegabilmente la ricorrente si duole per l’omessa considerazione del computo metrico datato 19.1.1878 e delle pagine da 468 a 475 estratte dal “Libro dei Privilegi”, idonee a dar conto della situazione esistente addirittura a decorrere dal 1593 (in tal senso cfr. altresì memoria, pagg. 3- 4).

Nondimeno il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

16. In ogni caso a nulla vale che la ricorrente adduca del tutto genericamente che il Comune di Licata “ha pagato all’ospedale per centinaia di anni un canone per il godimento delle due stanze (…) (e che non ha) mai portato a conoscenza del proprietario la volontà di possedere la cosa come propria” (così ricorso, pag. 14).

La corte d’appello ha dato conto ineccepibilmente, oltre che congruamente, degli atti di interversio possessionis.

Innegabilmente l’interversione del possesso richiede pur sempre che l’opposizione risulti inconfondibilmente rivolta contro il possessore, in guisa da rendere esteriormente riconoscibile che il detentore ha cessato di possedere “nomine alieno” e che intende sostituire al preesistente proposito di subordinare il proprio potere a quello altrui, l'”animus” di vantare per sé il diritto esercitato (cfr. Cass. 28.2.2006, n. 4404).

Ebbene a siffatto paradigma in toto possono essere ascritte le circostanze di fatto che la corte di merito ha posto in risalto ed in precedenza riferite.

17. Il terzo motivo di ricorso parimenti va respinto.

18. Al riguardo vanno appieno condivisi e recepiti i rilievi della corte distrettuale e le correlate prospettazioni del controricorrente.

Ovvero, innanzitutto, l’assunto secondo cui l'”Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento”, onerata della cosiddetta “probatio diabolica”, in realtà siffatta prova non ha assolto (cfr. sentenza d’appello, pag. 6; controricorso, pag. 11).

Ovvero, altresì, l’assunto secondo cui gli atti di interversione del possesso posti in essere dal Comune di Licata e lo stesso compimento dell’usucapione sono ampiamente antecedenti all’entrata in vigore della normativa sanitaria che, a decorrere dalla fine degli anni ‘70 dello scorso secolo, “ha, in termini generali, assoggettato a vincolo di destinazione i beni immobili appartenenti agli enti del S.S. nazionale” (così ricorso, pag. 17. Cfr. controricorso, pagg. 11 – 13, ove si precisa, tra l’altro, che “i bandi per la realizzazione delle opere in muratura pubblicati dal Comune di Licata e richiamati dalla Corte d’Appello risalgono, rispettivamente, agli anni 1909, 1914 e 1916”).

19. In questo quadro le ragioni di doglianza veicolate dal terzo mezzo di impugnazione non si correlano puntualmente e comunque non valgono a scalfire la reale ratio decidendi dell’impugnato dictum, che, appunto, alla stregua di risalenti atti di interversio possessionis, ha opinato nel senso che l’usucapione si fosse compiuta in epoca significativamente precedente.

20. In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

21. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, “Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento”, a rimborsare al controricorrente, Comune di Licata, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

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