Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20553 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. II, 29/09/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 29/09/2020), n.20553

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27342-2016 proposto da:

P.E., C.M., V.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 34B, presso lo studio

dell’avvocato MAURIZIO CECCONI, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MAURIZIO BUFALINI, MARCO BALDASSARRI;

– ricorrenti –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO

30, presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELA BRESCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1367/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 29/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2020 dal Consigliere DE MARZO GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale PEPE

ALESSANDRO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati BUFALINI Maurizio, BALDASSARRI Marco, difensori

dei ricorrenti che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CAMICI Giammaria, difensore del resistente che ha

chiesto la rimessione in termini e ha chiesto l’inammissibilità o

il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 29 agosto 2016 la Corte d’appello di Firenze ha rigettato l’impugnazione proposta da P.E., C.M. e V.M. nei confronti di M.A. avverso la decisione di primo grado che aveva: a) condannato il P. alla restituzione, in favore del M., della somma mutuata di Euro 283.000,00, oltre accessori di legge; b) dichiarato l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., comma 1, nei confronti del medesimo M., del contratto di compravendita di un fabbricato sito in (OMISSIS), concluso, il (OMISSIS), tra il P. e la C.; c) dichiarato la simulazione assoluta del contratto preliminare del 2 novembre 2005, intercorso tra la C. e il V., con riguardo al medesimo fabbricato.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che il tenore letterale della scrittura privata, datata (OMISSIS), tra il M. e il P. dimostrava l’effettiva conclusione tra le parti di un contratto di mutuo; b) che deponevano in tal senso l’espressione “presta” e non altre, indicanti un impegno o una programmazione futura, unitamente al previsto impegno del P. a “restituire tale somma, secondo modalità da stabilirsi al momento” e, comunque, a versare, a decorrere dal 1 gennaio 2005, gli interessi sulla somma versata; c) che l’espressione “presta” induceva a ritenere, pertanto, che al momento della sottoscrizione “vi fu (o, meglio, vi era stata, ma certo non che avrebbe dovuto esserci in futuro e non vi fu) l’erogazione della somma”; d) che, peraltro, siffatto finanziamento si inseriva in un quadro più ampio dei rapporti tra le parti, nel quale si collocavano, altresì, un brogliaccio del (OMISSIS), sottoscritto dal P., il pagamento di interessi sin dal 29 febbraio 2004, nonchè, infine, altro brogliaccio del (OMISSIS), anch’esso sottoscritto dal P. e redatto contestualmente alla scrittura sopra ricordata, nel quale si confermava l’avvenuto pagamento di diciannove rate da 1.000 Euro con l’aggiunta “mancano 2.000 Euro a saldo degli interessi del 2004”; e) che tali documenti chiarivano che l’erogazione della complessiva somma di 283.000 Euro era parzialmente avvenuta in epoca precedente alla sottoscrizione della scrittura privata del (OMISSIS), che assumeva, pertanto, funzione ricognitiva e di garanzia del mutuante; f) che la considerazione del contesto nel quale quest’ultima era stata sottoscritta e la previsione di interessi da epoca antecedente alla sottoscrizione rendevano evidente che la somma era effettivamente già stata versata; g) che la precedente scrittura del (OMISSIS) non contrastava le conclusioni indicate, in quanto rappresentava un’intesa che nel febbraio del 2005 sarebbe stata superata; h) che, in particolare, nell’aprile del 2004 era stata programmata una permuta di titoli con il mantenimento della formale intestazione ai rispettivi titolari; i) che, mentre i titoli intestati al M. erano stati escussi dal creditore pignoratizio Banca Toscana, non risultava che al primo fosse stata assicurata la traslazione, mediante intestazione o erogazione della somma corrispondente, del valore dei titoli che avrebbe dovuto ricevere in permuta; 1) che l’importo di 283.000,00 Euro indicato nella scrittura del (OMISSIS), corrispondeva al controvalore dei titoli escussi, sommato al residuo capitale di cui al prospetto sottoscritto e datato (OMISSIS) e maggiorato degli interessi al saggio del 2%; m) che le stesse prove testimoniali avevano confermato l’esistenza del credito, dal momento che il teste M. – del quale non era stata eccepita l’incapacità e che non risultava portatore di un interesse nella causa – aveva confermato l’erogazione, con una pluralità di operazioni, della somma di 283.000,00 per far fronte ai debiti delle società del gruppo Fides riconducibili al P.; n) che, pur nella genericità della deposizione, anche il teste C., già socio della Fides, aveva confermato di avere appreso dallo stesso P. che dal 2005 quest’ultimo aveva smesso di restituire le somme.

Con riferimento alla declaratoria di inefficacia dell’atto di compravendita del (OMISSIS), la Corte territoriale ha escluso l’applicabilità dell’art. 2901 c.c., comma 3, dal momento che i debiti il cui adempimento era stato dedotto dagli appellanti per paralizzare l’avversa pretesa erano stati estinti non con il compimento dell’atto del (OMISSIS), ma con negozi successivi.

Infatti, dopo che, il (OMISSIS), il P. aveva ceduto alla madre, C.M., il fabbricato di sua proprietà in (OMISSIS), mantenendo il diritto di abitazione, era stato concluso, prima, in data 2 novembre 2005, un contratto preliminare di compravendita tra la C. e il suocero del P., V.M., e poi, in data 14 dicembre 2006, un contratto di compravendita con la A.L.B. s.r.l., con rinuncia del P. al diritto di abitazione.

La Corte territoriale ha anche aggiunto che inoltre il P. non aveva dimostrato di avere impiegato “il ricavato della sua vendita per estinguere debiti personali”.

Infine, quanto all’accertamento del carattere simulato del contratto preliminare del 14 dicembre 2016, la Corte d’appello ha osservato che il motivo di impugnazione era fondato esclusivamente sull’avvenuta, successiva vendita del 14 dicembre 2006 e, pertanto, non scalfiva le argomentazioni svolte dal Tribunale per sorreggere le proprie conclusioni.

3. Avverso tale sentenza il P., la C. e il V. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato alla controparte in data 25 novembre 2016, affidato a dieci motivi. Il M. ha depositato controricorso, notificato ai ricorrenti in data 10 febbraio 2017, chiedendo di essere rimesso in termini e deducendo che la consegna del plico contenente il ricorso era avvenuta da parte del domiciliatario, avv. Elena Iozzelli, solo il 31 gennaio 2017, oltre la scadenza del termine per la notifica del controricorso. Si aggiunge che, dallo scambio di corrispondenza tra i due studi legali, emergeva che il domiciliatario aveva asserito di avere inviato un messaggio di posta elettronica, con il quale aveva informato il difensore del M. dell’avvenuta notifica del ricorso: tuttavia non era mai stata accertata la corretta ricezione del messaggio, ragionevolmente a causa delle dimensioni dell’allegato o della saturazione della casella di posta elettronica di destinazione. Sono state depositate memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., nell’interesse dei ricorrenti e del M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva preliminarmente la Corte che è infondata la richiesta di rimessione in termini.

Tale istituto, infatti, sia nella previsione dell’art. 184-bis c.p.c., che in quella di più ampia portata contenuta nell’art. 153 c.p.c., comma 2, come novellato dalla L. n. 69 del 2009, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perchè cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà (Cass. 6 luglio 2018, n. 17729).

Nel caso di specie, a parte la stessa incertezza che emerge dalla deduzione delle circostanze che hanno determinato la mancata ricezione del messaggio di posta elettronica, comunque appare evidente che le condotte indicate – ossia il difetto comunicativo in relazione all’avvenuta notifica del ricorso e la trasmissione tardiva dello stesso – sono imputabili o alla parte e al difensore o al domiciliatario individuato, ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82.

2. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1362 c.c., per avere la Corte territoriale, in contrasto con la lettera dell’accordo e, in particolare, con l’espressione “viene pattuito che (…) presta contestualmente alla sottoscrizione della presente scrittura” (clausola n. 2), ritenuto che alla data del (OMISSIS) fosse già stata erogata la somma di 283.000,00 Euro.

3. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1363 c.c., per avere la Corte territoriale trascurato di considerare che, nelle premesse della scrittura privata, indicata dalle parti esplicitamente come parte integrante della stessa, si era precisato che il P. aveva chiesto un prestito personale al M., il quale si era dichiarato disposto a concederlo: tali espressioni denotavano che, alla data del (OMISSIS), le somme non erano state erogate.

4. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1362 c.c., comma 2, per avere la Corte d’appello valorizzato il comportamento complessivo delle parti, sebbene il senso letterale delle espressioni contenute nella clausola n. 2, alla luce delle ricordate premesse della scrittura privata, rivelasse chiaramente che la somma di 283.000,00 Euro avrebbe dovuto essere erogata in un momento successivo, “secondo modalità da stabilirsi al momento” e comunque con interessi al saggio del 2% annuo a decorrere dal 1 gennaio 2005 (clausola n. 3). Aggiunge il ricorso che le trattative, al pari delle convenzioni preliminari che avevano preceduto la stipulazione della scrittura privata erano rimaste assorbite dal successivo accordo e non avrebbero potuto assumere alcun significato neppure a fini interpretativi.

5. I primi tre motivi del ricorso, per la loro stretta connessione logica, devono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono, nel loro complesso, infondati.

Il fine dell’attività interpretativa del giudice, ai sensi dell’art. 1362 c.c., è l’accertamento del significato, oggettivamente espresso, della volontà delle parti ed è per questa ragione che egli non deve limitarsi al senso letterale delle parole, soprattutto quando, come nel caso in esame, il testo presenti, in una lettura globale (art. 1363 c.c.) profili di ambiguità semantica, rappresentati, ad es., dalla previsione di una decorrenza degli interessi anticipata rispetto alla data di redazione della scrittura.

Ciò posto, per come sopra riassunto, la Corte territoriale ha compiuto un’operazione esegetica complessa di raccordo tra espressioni negoziali, caratterizzate da evidente atecnicità, e i rapporti dispiegatisi tra le parti ed emergenti dalla documentazione acquisita.

I capisaldi di tale interpretazione sono rappresentati dal fatto che fosse sicuramente da escludere che la scrittura del (OMISSIS) programmasse un’operazione destinata ad essere attuata in futuro e che, anzi, alla luce della previsione degli interessi con decorrenza dal gennaio 2005 e della portata dei rapporti emergenti dai brogliacci, sottoscritti dal P. il (OMISSIS) e il (OMISSIS), apparisse evidente che la scrittura del (OMISSIS) perseguisse il fine di dare un assetto definitivo ai complessi rapporti che avevano trovato una precedente regolamentazione anche nella scrittura del (OMISSIS).

Ancora di recente, questa Corte ha ribadito che, nell’interpretazione del contratto, che è attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione, il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c., alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; pertanto, sebbene la ricostruzione della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell’interpretazione letterale delle clausole, assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all’art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti (Cass. 26 luglio 2019, n. 20294).

Ciò posto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (v., ad es., Cass. 15 novembre 2017, n. 27136).

In tale cornice di riferimento, i ricorrenti propongono una lettura atomistica dei singoli criteri, in tal modo sottraendosi alla valutazione unitaria dei vari profili della relazione intercorrente tra le parti, posta dalla Corte territoriale a fondamento dell’individuazione della volontà espressa nella scrittura del (OMISSIS). E, infatti, neppure riescono a fornire una spiegazione di una serie di dati, quali, ad es., l’avvenuto pagamento di rate e di interessi, la previsione di interessi con decorrenza dal gennaio 2005, il significato e l’evoluzione della vicenda della permuta dei titoli.

E ciò senza dire di alcuni evidenti errori di lettura del testo contrattuale da loro stessi riportato, giacchè, ad es., la clausola n. 3 non afferma affatto che le somme avrebbero dovuto essere erogate “secondo modalità da stabilirsi al momento…”, ma che sarebbero state restituite “secondo modalità da stabilirsi al momento…”.

6. Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1363 c.c., con riguardo all’interpretazione del significato della scrittura privata del (OMISSIS).

Si rileva che la conclusione della Corte territoriale, secondo la quale siffatta scrittura sarebbe stata superata da quella del (OMISSIS), è fondata su una lettura atomistica della clausola n. 3, che aveva trascurato di considerare le restanti pattuizioni (premesse, nonchè clausole n. 4, 5, 6 e 7), dalle quali emergeva la conferma della funzione di garanzia dei titoli di proprietà del M., l’accordo di conservare le intestazioni esistenti dei titoli, salvo un’espressa richiesta del M. stesso, e, infine, l’esclusione della erogazione di somme in favore di quest’ultimo.

7. Con il quinto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ossia che, quando il 9 febbraio 2005, Banca Toscana aveva escusso il pegno, i titoli, per effetto del contratto consensuale di permuta, erano già di proprietà del P., talchè non sussisteva ragione alcuna perchè il M. – il quale aveva ricevuto, per effetto della permuta, titoli per un controvalore superiore, fosse indennizzato per la perdita dei titoli non più suoi.

8. Con il sesto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1988 c.c., rilevando che l’affermazione della Corte territoriale, secondo la quale il credito del M. troverebbe il suo fondamento nell’escussione del pegno avente ad oggetto i titoli intestati al primo, era smentita dal fatto che le somme ricavate dall’escussione erano state utilizzate per ripianare esposizioni debitorie della Fides soc. coop. a r.l. e della Fides Impianti s.r.l. e non del P..

9. I motivi dal quarto al sesto possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione.

Essi sono inammissibili perchè privi di specificità rispetto alla ratio decidendi.

Proseguendo nell’artificioso frazionamento della valutazione globale espressa dalla Corte territoriale, al fine di ricostruire il significato negoziale della scrittura del (OMISSIS), il ricorso continua a non cogliere che la vicenda della permuta dei titoli non rappresenta l’oggetto della controversia.

La Corte territoriale, peraltro, a differenza di quanto indicato nel sesto motivo di ricorso, non ha mai affermato che il credito del M. troverebbe il suo fondamento formale nell’escussione del pegno avente ad oggetto i titoli intestati al primo (e il rilievo priva dell’indispensabile presupposto logico le considerazioni sviluppate in tale motivo).

Tale escussione è individuata come uno dei momenti che ha condotto le parti alla redazione della scrittura nel (OMISSIS).

Ne segue che è del tutto irrilevante indugiare – come i ricorrenti fanno nel quarto e nel quinto motivo – sui modi nei quali il rapporto tra le parti avrebbe potuto evolversi a seguito di siffatta escussione.

La Corte ha solo accertato che, a seguito dell’escussione dei titoli del M., non era risultata alcuna condotta che, nel quadro del regolamento programmato con la scrittura del (OMISSIS), avesse comportato un riequilibrio dei rapporti patrimoniali tra le parti.

E da tale profilo ha tratto conferma del significato negoziale della scrittura del (OMISSIS).

10. Con il settimo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la Corte territoriale trascurato di indicare le ragioni per le quali aveva ritenuto “deboli” e “non condivisibili” gli argomenti addotti per minare l’attendibilità del teste M., il quale, figlio dell’attore, aveva ammesso che gli interessi erano stati pagati con assegni a lui intestati.

Anche questo motivo è inammissibile, giacchè la valutazione avente ad oggetto l’attendibilità del teste – ossia, il tema posto alla Corte territoriale – si fonda non tanto sulle sintetiche considerazioni espresse nello specifico luogo della motivazione, ma sulla coerenza del dichiarato rispetto alla cornice documentale e alle logiche conseguenze tratte al riguardo dalla sentenza impugnata.

11. Con l’ottavo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2901 c.c., comma 3, per avere la Corte territoriale omesso di considerare che l’alienazione del bene, attraverso la quale erano state ricavate le risorse utilizzate per estinguere i debiti, era il risultato di un unico procedimento negoziale in cui i contratti di compravendita del (OMISSIS) e del 2 novembre 2005 sono funzionalmente e teleologicamente collegati.

La doglianza è infondata, in quanto non coglie che il negozio del 2 novembre 2005 non è una compravendita, ma un contratto preliminare, con la conseguenza che le risorse sono state incamerate con la vendita del (OMISSIS), avvenuta, come osserva la Corte territoriale, a distanza di oltre un anno e mezzo dalla vendita P. – C. del (OMISSIS).

Rispetto all’atto oggetto di revocatoria è esatto perciò che non ricorrano i presupposti di cui all’art. 2901 c.c., comma 3, giacchè, secondo quanto gli stessi ricorrenti ammettono, i debiti sarebbero stati pagati proprio con le somme incamerate per effetto della seconda vendita.

12. Con il nono motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’appello trascurato di considerare le deduzioni di parte appellante e la documentazione prodotta, attestante che, con il prezzo ricavato dalla vendita dell’immobile e dalla rinuncia al diritto di abitazione, il P. aveva estinto debiti personali, in quanto portati da titoli di condanna emessi nei suoi confronti.

La doglianza è inammissibile, in quanto la reiezione del precedente motivo priva i ricorrenti di interesse a proporla.

Infatti, non emergendo che le somme ricavate per l’estinzione dei debiti provengano dalla vendita oggetto di revocatoria, è del tutto irrilevante indagare sul se il P. abbia poi estinto o non debiti personali con quanto ricavato dalla seconda vendita.

13. Con il decimo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di indicare le ragioni, alla stregua delle quali la vendita del bene avvenuta in data (OMISSIS), a favore di un soggetto estraneo alla cerchia familiare del P., e l’effettiva corresponsione del prezzo fossero circostanze inidonee ad escludere il carattere simulato del contratto preliminare del 2 novembre 2005.

La censura è infondata.

La simulazione assoluta del contratto preliminare quale fatta valere dal terzo creditore non è logicamente incompatibile con l’utilizzo dello strumento apparente per realizzare un’alienazione reale da parte di colui che risulti essere il simulato promittente venditore nei confronti di un terzo, sia pure con lo schermo formale della designazione, da parte del simulato promissario acquirente, del terzo come parte del contratto definitivo.

Per questa ragione esattamente la Corte d’appello ha ritenuto che le critiche fondate sulla realtà del contratto concluso con la A.L.B. s.r.l. fossero inconducenti rispetto alla dichiarazione di simulazione assoluta del contratto preliminare.

14. In conseguenza, il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

Deve, infatti, considerarsi che, nel giudizio di cassazione, l’inammissibilità del controricorso tardivo, se preclude l’esame di esso e di eventuali memorie ex art. 378 c.p.p., non toglie valore alla procura ritualmente conferita dalla parte al proprio difensore, nè impedisce la partecipazione di quest’ultimo alla discussione orale (Cass. 14 marzo 2017, n. 6563).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

 

 

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