Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20552 del 30/08/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/08/2017, (ud. 23/06/2017, dep.30/08/2017),  n. 20552

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al N.R.G. 25439 del 2013 proposto da:

C.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato Luigi

Parenti, con domicilio eletto nel suo studio in Roma, viale delle

Milizie, n. 114;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VENZONE, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato

e difeso dagli Avvocati Stefano Placidi e Luciano Di Pasquale, con

domicilio eletto nello studio di quest’ultimo in Roma, via Adige, n.

43;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 606/12 in

data 20 settembre 2012;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23 giugno 2017 dal Consigliere Alberto Giusti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Tolmezzo, con sentenza in data 22 luglio 2008, decidendo sulla controversia insorta tra l’arch. C.A. e il Comune di Venzone in merito al credito vantato dal primo a titolo di competenze per le prestazioni professionali di progettazione, direzione e certificazione della regolare esecuzione dei lavori di riparazione e adeguamento antisismico degli edifici lesionati del terremoto del 1976, in base al disciplinare d’incarico n. 440 del 7 marzo 1978, condannava il Comune di Venzone al pagamento della somma di Euro 141.257,63, oltre agli interessi di mora dal 31 gennaio 2008 al saldo, e compensava le spese di lite, ponendo quelle di c.t.u. a carico di entrambe le parti, in quote uguali.

2. – La Corte d’appello di Trieste, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 20 settembre 2012, ha accolto in parte il gravame interposto dall’arch. C. e, per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, che nel resto ha confermato, ha condannato il Comune di Venzone alla corresponsione, in favore del C., degli interessi anatocistici, da calcolare, in base alla tabella redatta dal c.t.u. e richiamata dalla pronuncia impugnata, sugli interessi (primari) che al tempo della domanda giudiziale erano già scaduti da sei mesi, compensando tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi.

Per quanto qui ancora rileva, in relazione alla domanda di risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, la Corte di Trieste ha sottolineato che l’art. 21 del disciplinare di incarico prevede un ammontare degli interessi differente dal tasso di interesse legale, rilevando che – trattandosi di interessi moratori di cui è stata pattuita la misura con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo alla scadenza – nessun ulteriore risarcimento compete al creditore. L’accordo in esame – ha aggiunto la Corte di merito – non è vessatorio, non producendo per il debitore alcun esonero da responsabilità, con conseguente inapplicabilità dell’art. 1341 c.c..

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello l’arch. C. ha proposto ricorso, con atto notificato il 4 novembre 2013, sulla base di due motivi.

L’intimato Comune ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative in prossimità della camera di consiglio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della Legge tariffaria professionale 2 marzo 1949, n. 143, art. 9 dell’art. 1284 c.c. e dell’art. 1224 c.c., comma 2,. Il ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia ritenuto che gli interessi di cui alla L. n. 143 del 1949, art. 9 richiamati dall’art. 21 del disciplinare d’incarico, vadano qualificati come moratori, anzichè interessi al tasso legale (tasso tuttavia diverso da quello di cui all’art. 1284 c.c.). Poichè il disciplinare d’incarico non conterrebbe un’autonoma determinazione convenzionale della misura degli interessi, le parti non avrebbero inteso operare alcuna esclusione del diritto al risarcimento del maggior danno, di cui pertanto potrebbe e dovrebbe essere fornita prova.

1.1. – Il motivo è infondato.

Occorre rilevare che la L. n. 143 del 1949, art. 9, u.c., (approvazione delle tariffe professionali degli ingegneri ed architetti) – il quale, in caso di ritardo nel pagamento dei compensi dovuti al professionista oltre il sessantesimo giorno dalla consegna della specifica, riconosce a quest’ultimo il diritto agli interessi nella misura corrispondente al tasso ufficiale di sconto – non esclude la risarcibilità del maggior danno, ai sensi dell’art. 1224 c.c. (Cass., Sez. 2, 29 novembre 1991, n. 12847; Cass., Sez. 2, 4 maggio 1993, n. 5158): ciò in quanto, in tema di obbligazioni pecuniarie, costituiscono “interessi legali” non soltanto quelli stabiliti dall’art. 1284 c.c., ma anche qualsiasi interesse che, ancorchè in misura diversa, sia previsto dalla legge (Cass., Sez. 1, 21 aprile 2006, n. 9409; Cass., Sez. 2, 4 luglio 2012, n. 11187).

Ma da questo principio la Corte d’appello non si è discostata perchè esso non è venuto direttamente in gioco per la soluzione della controversia.

Occorre infatti osservare che, ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, la risarcibilità del maggior danno – che normalmente compete al creditore che dimostra di avere subito un danno maggiore – non è tuttavia dovuta se è stata convenuta la misura degli interessi moratori.

Interpretando la portata dell’art. 21 del disciplinare d’incarico, la Corte d’appello ha rilevato, con congrua e logica argomentazione, che con esso è stata convenzionalmente determinata la misura degli interessi di mora, rendendosi convenzionale il saggio degli interessi di cui alla tariffa professionale, come dimostrato dal fatto che le parti, pur facendo riferimento agli interessi ragguagliati al tasso ufficiale di sconto stabilito dalla Banca d’Italia, di cui al citato art. 9 della tariffa, non hanno riprodotto pedissequamente quest’ultima disposizione, fissando una diversa decorrenza degli interessi.

La censura del ricorrente – nel riproporre la tesi secondo cui con l’art. 21 del disciplinare le parti si sarebbero limitate a ricalcare in tutto e per tutto il contenuto dell’art. 9 della tariffa professionale – finisce con il sollecitare una diversa interpretazione del contenuto e della clausola contrattuale, senza neppure indicare quali canoni ermeneutici sarebbero stati violati.

Va qui ribadito che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. 3, 20 novembre 2009, n. 24539; Cass., Sez. 1, 17 marzo 2014, n. 6125).

2. – Con il secondo mezzo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento al maggior danno subito dall’arch. C. in conseguenza dell’inadempimento del committente.

2.1. – Le medesime ragioni che hanno comportato il rigetto del primo motivo conducono anche alla infondatezza del secondo mezzo, giacchè l’intervenuta determinazione convenzionale degli interessi moratori fa venir meno la risarcibilità dell’eventuale maggior danno e, quindi, la necessità di procedere all’accertamento giudiziale dei presupposti per il suo riconoscimento.

3. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

4. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Comune controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 23 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2017

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