Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20551 del 30/08/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/08/2017, (ud. 23/06/2017, dep.30/08/2017),  n. 20551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2554-2014 proposto da:

G.P.C., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SALARIA 400, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO

de LUCA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

STEFANO SCARFI;

– ricorrente –

contro

GH.PI.SA., ((OMISSIS)), GH.GI. ((OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A/4,

presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che li rappresenta

e difende unitamente agli avvocati LUCA MORELLI, TOMASO GALLETTO;

– controricorrenti –

e contro

GH.GR., G.M.G.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1247/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 06/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/06/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Accogliendo il gravame proposto da Pi.Sa., G. e Gh.Gr. contro la sentenza 191/2006 del Tribunale di Savona sez. dist. Albenga, la Corte d’Appello di Genova, con sentenza 6.12.2012 ha dichiarato l’avvenuto acquisto per usucapione in favore degli appellanti, della proprietà di un immobile sito in (OMISSIS) e ha condannato gli appellati P.C. e G.M.G. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Per giungere a tale soluzione la Corte territoriale, respinta l’eccezione dell’appellato di inammissibilità del gravame per mutatio libelli, ha ritenuto che nel caso in esame vi era stata una divisione di fatto tra gli originari comproprietari, i due fratelli B. e G.J., con assegnazione in proprietà esclusiva a ciascuno di essi dell’immobile abitato dalla propria famiglia, il che rendeva sufficiente, ai fini della prova dell’usucapione, la continuazione dell’esercizio del possesso per il tempo necessario, secondo un principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Ha elencato quindi gli elementi di fatto da cui ha desunto la prova di detto possesso, ritenendo di scarsa importanza gli elementi di fatto addotti dai convenuti, quali il pagamento dell’ICI per entrambi gli immobili e il fatto che in alcuni atti i discendenti di J. (cioè gli appellanti, ndr) si dichiarassero comproprietari in considerazione della comune intestazione catastale, senza alcuna incidenza sulla sostanza della situazione di fatto.

Contro tale decisione P.C. Ghigliazza ricorre per cassazione sulla base di due motivi, a cui resistono con controricorso Pi.Sa. e Gh.Gi., mentre Gh.Gr. non ha svolto difese in questa sede e così pure G.M.G. (già costituitasi tardivamente in primo grado per resistere alla pretesa degli attori e rimasta contumace in appello).

Il Procuratore Generale il concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Rileva preliminarmente il Collegio che manca la prova del perfezionamento della notifica del controricorso al ricorrente perchè in atti non si rinviene l’avviso di ricevimento della raccomandata contenente il relativo plico, nè risultano annotazioni del cancellerie che attestano il contrario. Di tale atto pertanto non può tenersi conto.

Sempre in via preliminare, va rilevata la inammissibilità del documento (atto di divisione) prodotto per la prima volta in questa sede dal ricorrente, non ricorrendo le condizioni di cui all’art. 372 c.p.c.: l’esame di esso è pertanto necessariamente precluso.

1.2 Passando all’esame dei motivi, col primo di essi il ricorrente denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.dolendosi del rigetto dell’eccezione di inammissibilità del gravame a suo tempo formulata per intervenuta mutatio libelli. Rileva che l’intero atto di appello risulta fondato sulla introduzione di un argomento nuovo, quello della divisione di fatto tra i fratelli G., non proposto in primo grado, ma addirittura antitetico rispetto alla prospettazione ivi offerta, basata sull’avvenuto acquisto per usucapione della proprietà esclusiva dell’immobile per ininterrotto pacifico possesso protratto per settanta anni.

Il motivo è privo di fondamento perchè, come correttamente rilevato dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni scritte, per costante giurisprudenza di questa Corte – a cui oggi si intende dare continuità – la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei diritti “autodeterminati”, individuati cioè in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne forma l’oggetto, sicchè nelle azioni ad essi relative (a differenza delle azioni accordate a tutela dei diritti di credito) la causa petendi si identifica con i diritti stessi e non con il titolo che ne costituisce la fonte (v. tra le varie, Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11211 del 10/05/2013 Rv. 626418; Cass. Sez. 2 n. 12607/2010; Cass. Sez. 2 n. 28228/2008; Cass. Sez. 2 n. 11293/2007; Cass. Sez. 2 n. 2402/2006 e, più di recente, Sez. 2, Sentenza n. 19718 del 2016 non massimata).

Pertanto, il richiamo, in sede di gravame, alla divisione di fatto a sostegno di una domanda di accertamento della proprietà per usucapione già ritualmente proposta in primo grado non integra nessun mutamento della causa petendi.

2 Col secondo motivo il ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 714,1158 e 2697 c.c. rimproverando alla Corte d’Appello di non avere fatto buon governo dei principi in tema di animus possidendi e di onere della prova. Richiama una serie di principi giurisprudenziali ed elenca gli elementi di fatto a suo dir rilevanti per dimostrare la carenza dell’animus possidendi da parte degli attori – appellanti.

Il motivo è infondato perchè si risolve nella enunciazione dei consolidati principi – peraltro ben noti al Collegio – che regolano l’usucapione, prima della divisione, della quota degli altri comunisti da parte del comproprietario che sia nel possesso del bene comune, ma non coglie la ratio decisiva su cui poggia l’accertamento dell’avvenuto acquisto della proprietà esclusiva per usucapione da parte degli appellanti Pi.Sa., Gi. e Gh.Gr.: l’immissione di un condividente nel possesso esclusivo del bene a seguito di divisione amichevole e quindi la non necessarietà di una formale interversione del titolo del possesso o di una interversione di fatto.

Tale ratio, frutto di un tipico accertamento in fatto – e, come già detto, non censurata – è giuridicamente corretta perchè questa Corte, ha già avuto modo di affermare “che…. qualora… il comproprietario – coerede sia stato, a seguito di amichevole divisione del compendio ereditario, immesso nel possesso di un bene in assenza di un contestuale atto di mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi, egli prende, per tale via, a possedere (anche ai fini dell’usucapione) pubblicamente ed a titolo esclusivo il bene assegnatogli “de facto”, senza che sia necessaria una formale interversione del titolo del possesso o un’interversione di fatto, una mutazione, cioè, negli atti di estrinsecazione del possesso medesimo tale da escluderne un pari godimento da parte degli altri coeredi (v. Sez. 2, Sentenza n. 12260 del 20/08/2002 Rv. 556970, principio condiviso anche da Sez. 2, Sentenza n. 16896 del 2012 non massimata).

In conclusione, il ricorso va respinto, senza addebito di spese al ricorrente perchè, come già osservato, non risulta la avvenuta notifica del controricorso.

Trattandosi di ricorso successivo al 30 gennaio 2013 e deciso sfavorevolmente, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2017

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