Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20550 del 30/08/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/08/2017, (ud. 23/06/2017, dep.30/08/2017),  n. 20550

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6349-2014 proposto da:

I.A.M., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE G. MAZZINI 11, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE

DI RIENZO, rappresentato e difeso dagli avvocati STANISLAO DE

SANTIS, RAFFAELE FOLINO;

– ricorrente –

contro

I.M., ((OMISSIS)) in proprio e quale erede di

F.C., nonchè in qualità di procuratrice generale di

I.C.; R.G. cl. 1932, R.G., R.E.,

R.G. cl. 1974, aree quali eredi di I.O.,

nonchè di I.C.F., I.G. cl. 1943,

I.I., I.C.C.C.), quali eredi di R.A.,

oltre che di M.G., M.L.,

M.I.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE XXI APRILE 11,

presso lo studio dell’avvocato CORRADO MORRONE, che rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ORESTE VIA;

– controricorrenti –

e contro

G.R., V.L., V.V. (in proprio ed in

qualità di procuratore generale, di V.S.L.,

V.C., V.A., V.S., V.G.,

V.R.), B.M. (in proprio ed in qualità di procuratrice

generale di B.A., B.C., A.N.,

A.A. ed A.E.), C.F.M. (in proprio ed

in qualità di procuratrice generale di C.A. e

C.T.G.), F.L., D.M.M., G.R.,

G.A., G.L.;

ed altresì contro:

V.A. ved. I.S., I.G. cl. 1945,

I.V., I.R., I.L. (tutti aventi causa

da I.S. n. il (OMISSIS) e dec. il (OMISSIS));

– intimati –

avverso la sentenza n. 507/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 18/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/06/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Definendo il giudizio di scioglimento della comunione dei beni lasciati da I.G. e C.M.C., la Corte d’Appello di Catanzaro ha disposto l’estrazione a sorte tra i condividenti e, per quanto ancora interessa in questa sede, ha ritenuto – sulla scorta del progetto redatto dal consulente nominato nel giudizio di secondo grado – che il fondo denominato “(OMISSIS)” fosse divisibile, disattendendo così la tesi contraria dell’appellante I.A.M..

Quest’ultimo ricorre per cassazione contro tale pronuncia sulla base di due motivi a cui resistono con controricorso I.M. in proprio e nella qualità ivi indicata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1-1 Col primo motivo, il ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (l’infrazionabilità del fondo denominato (OMISSIS)) osservando che il progetto divisionale redatto dal CTU e condiviso dalla Corte di merito aveva previsto la formazione di tanti microappezzamenti, mentre invece si trattava di una unica unità produttiva. Si duole del mancato richiamo a chiarimenti del CTU in ordine alla divisibilità del predetto fondo, benchè alla prima udienza successiva al deposito dell’elaborato egli avesse avanzato apposita richiesta.

1.2 Con una seconda censura formulata in via subordinata (“qualora dovesse obiettarsi che il precedente motivo di censura come sopra articolato non sia riconducibile all’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo….”), il ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza in relazione all’art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4: riporta una serie di richiami dottrinali e giurisprudenziali e rimprovera alla Corte d’Appello la mancanza di una adeguata motivazione sulla ritenuta divisibilità del predetto fondo.

2 Le censure, da esaminare congiuntamente, sono entrambe infondate. Le sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che….. l’art. 360 c.p.c., nuovo testo n. 5) introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà quindi indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. S.U. n. 8053/14, Cass. S.U. 22 settembre 2014 n. 19881).

Nella riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 è scomparso dunque ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (seppur cambiato d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”.

Nel caso in esame il fatto decisivo (rappresentato dalla natura del fondo (OMISSIS) e dalla sua frazionabilità o meno) è stato adeguatamente esaminato dalla Corte d’Appello, che però è pervenuta a conclusioni diverse da quelle sostenute dall’appellante, odierno ricorrente che, a ben vedere, si rende conto della debolezza della propria tesi, come dimostrato proprio la premessa alla trattazione del secondo motivo. La mancata riconvocazione del consulente, non risulta neppure richiesta in sede di precisazione delle conclusioni (v. verbale trascritto nella sentenza impugnata) e pertanto non si comprende il rimprovero alla Corte d’Appello per non avervi provveduto; in ogni caso – ed il rilievo tronca oggi ulteriore discussione – è una questione che, sulla scorta del principio di diritto esposto, esula dalla portata del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, risolvendosi in una doglianza sul mancato esame di elementi istruttori.

Fuori di luogo è però anche il richiamo alla nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 perchè i giudici di appello, hanno dato conto adeguatamente del loro convincimento sulla possibilità di frazionare il terreno in questione, rilevando che esso non costituisce affatto un’unica unità produttiva, come confermato indirettamente dallo stesso CTP dell’appellante nella parte della relazione in cui ha calcolato il reddito da produzione solo su cinque dei ventotto ettari; ancora, la Corte d’Appello ha rilevato la impossibilità di irrigare più di cinque ettari di coltivato e la utilizzabilità del terreno in maniera frazionata (v. sentenza impugnata pagg. 13 e 14).

Come appare evidente, il radicale vizio di motivazione, nel senso inteso dalla sezioni unite, non si riesce proprio a cogliere e quindi la critica del ricorrente, tendente unicamente ad una rivisitazione di risultanze istruttorie, ancora una volta non coglie nel segno, perchè il giudizio di legittimità soggiace a ben precisi limiti di indagine.

In conclusione, il ricorso va respinto, con addebito di spese al ricorrente.

Trattandosi di ricorso successivo al 30 gennaio 2013 e deciso sfavorevolmente, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 -quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 8.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2017

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