Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2055 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 27/01/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 27/01/2011), n.2055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 5484-2010 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo studio

dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende, giusta

procura speciale ad litem a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 101/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

27/01/09, depositata l’01/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. GIANFRANCO BANDINI;

è presente il P.G. in persona del Dr. UMBERTO APICE.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza del 27.1 – 1.10.2009 la Corte d’Appello di Bologna, rigettò l’impugnazione proposta dalla Poste Italiane spa nei confronti di P.C. avverso la sentenza di prime cure che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto concluso inter partes per il periodo 16 – 30.9.1999 e la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con le consequenziali condanne nei confronti della parte datoriale.

Per la cassazione di tale sentenza la Poste Italiane spa ha proposto ricorso fondato su due motivi.

L’intimata P.C. non ha svolto attività difensiva.

A seguito di relazione, la causa è stata decisa in camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c..

2. Il ricordato contratto a termine in forza del quale l’odierna intimata è stata assunta venne stipulato a norma dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.

La Corte territoriale ha attribuito rilievo decisivo al fatto che, avendo te parti collettive raggiunto un’intesa originariamente priva di termine, le stesse avevano stipulato accordi attuativi che avevano fissato un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, limite fissato al 30 aprile 1998; il contratto a termine in esame, stipulato in epoca successiva all’ultimo dei termini sopra indicati, era quindi illegittimo in quanto privo del supporto derogatorio.

3. La suddetta impostazione è stata ampiamente censurata dalla Società ricorrente con i due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente siccome fra loro connessi; la ricorrente contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla stessa definiti come attuativi; deduce in particolare che questi ultimi accordi avevano natura meramente ricognitiva.

3.1 Con numerose sentenze questa Corte Suprema (cfr, ex plurimis, Cass., n. 18378/2006), decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha univocamente confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione ..), dopo il 30 aprile 1998.

3.2 Premesso, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza n. 4588/2006) e che, in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo; ha osservato in particolare che la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 12245/2003; 12453/2003); ha rilevato altresì che tale interpretazione è rispettosa del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano ne primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando, ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass., n. 2866/2004).

3.3 La giurisprudenza di questa Corte ha altresì ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza fa copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (cfr, ex plurimis, Cass., n. 5141/2004).

3.4 Il sopra citato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato, atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sorrette da argomenti che non siano già stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravità da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti.

4. Non può trovare applicazione, nella presente controversia, quanto alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva de termine, lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010. Costituisce infatti condizione necessaria per poter applicare ne giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è circoscritto dagli specifici motivi di ricorso (cfr, Cass. 8 maggio 2006 n. 10547). In particolare, con riferimento alla disciplina anzidetta, la necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi di ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine, in quanto il rigetto dei motivi inerenti la questione della ritenuta nullità del termine e della conversione del contratto a tempo indeterminato produce la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali conseguenze.

Ne caso in esame difetta nel ricorso una qualsivoglia censura relativa alle conseguenze economiche della ritenuta nullità del termine, cosicchè, come detto, non può trovare applicazione la nuova disciplina retroattiva contenuta nelle citate norme della L. n. 183 del 2010.

5. In definitiva il ricorso va rigettato.

Non è luogo a pronunciare sulle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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