Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20548 del 30/07/2019

Cassazione civile sez. II, 30/07/2019, (ud. 12/04/2019, dep. 30/07/2019), n.20548

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20382/2018 proposto da:

S.F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

GIUSEPPE MAZZINI, 41, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO MARIA

SEPIACCI, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO

PALMIGIANO;

– ricorrente –

contro

SICILCASSA SPA, IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRAZIONE, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE DEI PRIMATI SPORTIVI, 21, presso lo

studio dell’avvocato ENZO MANNINO, rappresentata e difesa

dall’avvocato FILIPPO DI CARLO;

– controricorrente –

nonchè

sul ricorso proposto da:

SICILCASSA SPA, IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRAZIONE, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE DEI PRIMATI SPORTIVI, 21, presso lo

studio dell’avvocato ENZO MANNINO, rappresentata e difesa

dall’avvocato FILIPPO DI CARLO;

– ricorrente incidentale –

contro

S.F.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 658/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 27/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

S.F.M. ha proposto ricorso, articolato in quattro motivi, avverso la sentenza n. 658/18 della Corte di Appello di Palermo, depositata il 27 marzo 2018.

Resiste con controricorso la Sicilcassa S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, che propone altresì ricorso incidentale articolato in due motivi.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis-1 c.p.c..

Con ricorso del 6 novembre 2006 rivolto al Tribunale di Palermo, l’avvocato S.F.M., premesso di aver prestato attività professionale per la Sicilcassa S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa in alcuni giudizi instaurati da dipendenti della stessa società ( P.E., Pi.Vi.Gi., A.S., C.M., G.L., N.M., Ac.An., D.V.A., R.E.) per mancata corresponsione del fondo integrativo pensioni; di non aver ricevuto da Sicilcassa S.p.a. le spettanze dovutegli; di aver ottenuto parere di congruità al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Sciacca per il complessivo compenso di Euro 5.578,15 per l’attività svolta nel giudizio riguardante P.E.; di Euro 9.023,77 per l’attività svolta nel giudizio riguardante Pi.Gi.Vi. di Euro 5.609,34 nel giudizio riguardante A.S.; di Euro 5.611,16 nel giudizio relativo a C.M.; di Euro 16.403,30 in quello riguardante G.L.; di Euro 4.047,75 nel giudizio concernente N.M.; di Euro 9.494,26 nel giudizio relativo ad Ac.Ma.; di Euro 9.178,46 nel giudizio riguardante D.V.A.; di Euro 5.471,51 nel giudizio di R.E.; di essersi visto respinto dai commissari liquidatori la richiesta di pagamento della complessiva somma di Euro 70.417,70, sul presupposto dell’esistenza di un accordo derogatorio dei minimi tariffari, negato invece dal professionista; ciò premesso, l’avvocato S. chiese l’ammissione al passivo in prededuzione del credito privilegiato di Euro 70.417,70 oltre interessi e rivalutazione.

Con sentenza del 10 luglio 2010, il Tribunale dichiarò inammissibile la domanda in quanto proposta nella forma dell’opposizione allo stato passivo, anzichè nella forma dell’insinuazione tardiva del credito. Avverso tale sentenza, S.F.M. propose appello. La Corte d’Appello di Palermo rinviò dapprima il processo in attesa della definizione di un giudizio presso la Corte di Cassazione avente ad oggetto identica questione intercorsa tra le stesse parti e, a seguito della pronuncia della relativa sentenza (Cass. 9 novembre 2016, n. 22880), ha accolto l’appello, determinando il complessivo compenso in Euro 17.324,31, in applicazione delle tariffe forensi di cui al D.M. n. 127 del 2004, considerato che l’attività professionale dell’avvocato S. aveva riguardato giudizi iniziati tra il 1999 e il 2001 protrattisi sino al 2004/2005.

I. Col primo motivo del ricorso principale, S.F.M. censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 113 c.p.c. e del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, avendo la Corte di Appello determinato i compensi spettanti in base al valore delle singole controversie desunto dalle somme pattuite in base alle rispettive transazioni intervenute coi lavoratori, e non invece dall’oggetto delle domande introduttive dei giudizi.

Il secondo motivo del ricorso principale denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 3 Cost., del D.M. n. 127 del 2004 e del D.M. n. 55 del 2014; violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 28″. La Corte di Appello, sostiene il ricorrente, avrebbe dovuto applicare alle prestazioni professionali, pur relative a giudizi iniziati tra il 1999 e il 2001 e protrattisi fino al 2004-2005, le tariffe di cui al D.M. n. 55 del 2014, in luogo di quelle previste dal D.M. n. 127 del 2004, poichè solo nel 2018 è intervenuta la liquidazione giudiziale delle distinte attività professionali per ciascuna posizione. In ordine alla negata rivalutazione automatica del credito dell’avvocato per compensi professionali, S.F.M. evidenzia come le nuove tariffe, previste prima dalla relazione di accompagnamento del D.M. n. 140 del 2012 e poi aggiornate con il D.M. n. 55 del 2014, siano state emesse proprio considerando l’aumento ISTAT dei prezzi al consumo per l’intera collettività e, in specie, della componente Professioni liberali, con un aumento del 24,1%”. La Corte di Palermo avrebbe perciò operato “una ingiustificata disparità di trattamento tra il ricorrente e i professionisti che già nel 2005, esaurita l’attività professionale, hanno incassato i relativi compensi”.

Il terzo motivo del ricorso principale, subordinatamente e per l’ipotesi in cui sia confermata la legittimità della liquidazione dei compensi ai sensi del D.M. n. 127 del 2004, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., per avere la Corte di Appello di Palermo omesso di riconoscere la rivalutazione monetaria, ex art. 1224 c.c., dei crediti addotti, essendo la prova del danno insita nell’entità delle tariffe successivamente introdotte.

Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 749 del 1942, art. 24; D.M. n. 127 del 2004, art. 4; D.M. n. 55 del 2014, artt. 4,5 e 28 e dei parametri ivi indicati, poichè: 1) per il giudizio di primo grado, la liquidazione delle spese processuali operata dalla Corte di Appello (Euro 3.100,00 per il giudizio di primo grado = Euro 600,00 spese, Euro 1.000,00 diritti, Euro 1.500,00 onorari) sarebbe stata inferiore ai minimi tariffari, in violazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 4; 2) per il secondo grado di giudizio, i compensi (Euro 2.558,00, di cui Euro 558,00 per contributo unificato) sarebbero stati liquidati in violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4.

II. Il primo motivo del ricorso incidentale di Sicilcassa S.p.a. in l.c.a. è rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c. – in subordine impugnazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 5”. Vi si sostiene che la Corte di Palermo avrebbe erroneamente ritenuto provata la prestazione professionale fornita dall’avvocato S.F.M. per la definizione transattiva delle controversie, pur a fronte delle contrarie allegazioni difensive svolte dalla società nelle comparse di risposta sia di primo che di secondo grado di giudizio. La chiusura delle transazioni inerenti alle controversie relative alla corresponsione del Fondo Pensioni Integrativo fu favorita, piuttosto, dai legali interni della Sicilcassa s.p.a.. A pagina 13 del controricorso, è così contenuta l’esposizione di fatti relativi a studi e valutazioni compiuti da altri professionisti in merito al contenzioso nel suo complesso ed alle singole fattispecie, alla predisposizione degli schemi di transazione da sottoporre ai singoli lavoratori (previo dettaglio delle somme a ciascuno dovute), ai colloqui con i difensori. Sostiene la società ricorrente incidentale che l’avvocato S.F.M., come gli altri avvocati della Sicilcassa, non prese mai parte alle trattative, limitandosi piuttosto al deposito in giudizio delle conclusioni congiunte in seguito alla definizione transattiva.

Sotto il profilo dell’art. 2697 c.c., la Corte di Palermo avrebbe dunque dovuto chiedere prova all’avvocato S. di quale collaborazione o altra opera avesse prestato per la conciliazione.

Il secondo motivo del ricorso incidentale censura la “violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. – mancata ammissione di mezzi istruttori circa un fatto decisivo – in subordine impugnazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio di motivazione circa un fatto decisivo”. La Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere dovuti i compensi per l’attività di S.F.M. nonostante, “sin dal primo grado di giudizio, la Sicilcassa s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa si era offerta di provare, a mezzo di interrogatorio formale e di prova per testimoni, che l’avv. S. non aveva mai svolto alcuna attività inerente la definizione transattiva delle controversie”. Nè ha rilievo l’assunta non contestazione dell’avvocato S. a fronte delle mere difese della Sicilcassa s.p.a. contenute nella comparsa di risposta, non operando il principio di non contestazione in danno dell’attore che abbia proposto domanda ed abbia perciò per primo ottemperato all’onere processuale posto a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti costitutivi di causa.

III. Appare preliminare logicamente l’esame dei due motivi di ricorso incidentale, che possono trattarsi congiuntamente, in quanto connessi. Tali censure si sostanziano nella prospettazione di una ricostruzione fattuale diversa da quella accolta dalla Corte d’Appello e rivelano altresì carenza di specifica riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata, sicchè si connotano per profili di inammissibilità, restando comunque infondate.

La Corte di Palermo ha qualificato “inammissibili” le prove per interrogatorio formale e per testimoni richieste dalla Sicilcassa s.p.a., ritenendole “volte a contrastare documentazione relativa all’attività svolta dal S.” e definendole comunque “inconducenti”. Ha poi aggiunto, quanto all’opera prestata dall’avvocato S. per la conciliazione che, “anche a volere ammettere che le proposte transattive fossero state elaborate e predisposte da altri soggetti”, essendo quello “il procuratore costituito in giudizio”, a lui spettava di trattare materialmente con le controparti “affinchè la proposta transattiva venisse accettata”. Avverso tale argomento decisorio contenuto nella sentenza impugnata, la ricorrente incidentale non rivolge alcuna specifica censura. E’, del resto, interpretazione consolidata di questa Corte quella secondo cui, in tema di esercizio della professione forense, è da considerare prestazione giudiziale, ai fini della liquidazione delle competenze e della relativa tariffa in materia giudiziale, anche l’assistenza e l’attività svolta dal difensore, stragiudizialmente, per transigere una controversia, trattandosi di attività complementare e dipendente da quella per cui gli è stato conferito il mandato (Cass. Sez. 2, 04/12/2009, n. 25675; Cass. Sez. 2, 06/08/1997, n. 7223; Cass. Sez. 2, 03/07/1991, n. 7275). In tal senso, la Corte d’Appello, al fine di pervenire alla determinazione quantitativa del compenso professionale, ha tratto dalla documentazione prodotta, relativa ai giudizi in cui l’avvocato S. aveva prestato il suo patrocinio, la prova delle prestazioni difensive eseguite in favore della società, consistenti nel compimento di veri e propri atti processuali, come anche in attività strettamente dipendenti dal mandato relativo alla difesa e rappresentanza in giudizio. Se, del resto, spetta all’avvocato, il quale assuma di essere creditore per attività professionale prestata a favore del cliente, l’onere di dimostrare non solo che l’opera è stata posta in essere, ma anche l’entità delle prestazioni, al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso, compete poi al giudice di merito valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita, sottraendosi il risultato del relativo accertamento al sindacato di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il quale ormai contempla il solo omesso esame di un fatto storico, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe certamente determinato un esito diverso della controversia) (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

IV. E’ invece fondato il primo motivo del ricorso principale di S.F.M.. La Corte d’Appello di Palermo ha determinato il valore delle cause, ai fini della liquidazione dei compensi spettanti all’avvocato, sulla base delle somme per le quali erano intervenute le rispettive transazioni.

Così facendo, la sentenza impugnata non si è uniformata all’orientamento di questa Corte, che va qui ribadito, secondo cui, ai fini della liquidazione degli onorari professionali dovuti dal cliente in favore dell’avvocato, nel caso di transazione di una causa introdotta con domanda di valore determinato e, pertanto, non presunto in base ai criteri fissati dal codice di procedura civile, il valore della causa si determina avendo riguardo soltanto a quanto specificato nella domanda, considerata al momento iniziale della lite, restando irrilevante la somma realizzata dal cliente a seguito di transazione (Cass. Sez. 2, 23/01/2017, n. 1666; Cass. Sez. 2, 22/10/1975, n. 3496).

V. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale vanno esaminati congiuntamente e sono infondati. La Corte, avendosi riguardo a giudizi iniziati tra il 1999 e il 2001 e protrattisi fino al 2004-2005, ha applicato le tariffe di cui al D.M. n. 127 del 2004. Sotto tale profilo, la decisione impugnata si è adeguata all’interpretazione giurisprudenziale per la quale, ai fini della liquidazione degli onorari e dei diritti spettanti all’avvocato nella disciplina vigente ratione temporis, la quantificazione degli onorari va effettuata in base alla tariffa professionale forense vigente al momento in cui le attività professionali sono state condotte a termine, identificandosi tale momento con quello dell’esaurimento dell’intera fase di merito o, per il caso in cui le prestazioni siano cessate prima, con il momento di tale cessazione, mentre i diritti di procuratore vanno liquidati alla stregua delle tariffe vigenti al momento delle singole prestazioni (cfr. Cass. Sez. 3, 11/03/2005, n. 5426; Cass. Sez. L, 21/11/1998, n. 11814).

Quanto alle considerazioni del ricorrente principale sul diminuito valore monetario del suo credito professionale, se determinato in base al D.M. n. 127 del 2004, deve ribadirsi la consolidata interpretazione (alla quale ha aderito la Corte di Palermo a pagina 17 dell’impugnata sentenza) secondo cui il credito dell’avvocato per il pagamento dei compensi professionali costituisce un credito di valuta (nè si trasforma in credito “di valore” per effetto dell’inadempimento del cliente), restando in quanto tale soggetto al principio nominalistico. La rivalutazione monetaria del credito dell’avvocato non può, perciò, essere automaticamente riconosciuta, dovendo essere adeguatamente dimostrato il pregiudizio patrimoniale risentito a causa del ritardato pagamento del credito, senza che possa trovare applicazione la disciplina dell’art. 429 c.p.c.. Dalla mora conseguente all’inadempimento del cliente discende, quindi, la corresponsione degli interessi nella misura legale, indipendentemente da ogni prova del pregiudizio subito, salvo che l’avvocato creditore dimostri il maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, il quale, può, peraltro, ritenersi esistente in via presuntiva, sempre che il medesimo creditore alleghi che, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali (Cass. Sez. 2, 26/02/2002, n. 2823; Cass. Sez. 2, 15/02/1999, n. 1266; Cass. Sez. 2, 24/09/2014, n. 20131; Cass. Sez. 2, 22/06/2004, n. 11594; Cass. Sez. 2, 15/07/2003, n. 11031; Cass. Sez. U, 16/07/2008, n. 19499).

VI. L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale di S.F.M., con la conseguente cassazione con rinvio della causa, comporta l’assorbimento del quarto motivo di ricorso sulla determinazione delle spese di lite, in quanto la relativa censura è diretta contro una statuizione che, per il suo carattere accessorio, è destinata ad essere travolta dall’annullamento che viene disposto dalla sentenza impugnata, a seguito del quale la liquidazione delle spese delle precorse fasi del giudizio va effettuata dal giudice di rinvio, tenendo conto dell’esito finale del giudizio.

VII. Conseguono l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale di S.F.M., il rigetto del secondo e del terzo motivo e l’assorbimento del quarto motivo del medesimo ricorso principale; il rigetto del ricorso incidentale della Sicilcassa S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa; la cassazione della sentenza impugnata nei limiti della censura accolta, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo, che deciderà la causa uniformandosi al richiamato principio in ordine alla determinazione del valore della causa ai fini della liquidazione degli onorari professionali, e regolerà anche tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente incidentale Sicilcassa S.p.a. in l.c.a., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso di S.F.M., rigetta il secondo ed il terzo motivo e dichiara assorbito il quarto motivo del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale della Sicilcassa S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa; cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale Sicilcassa S.p.a. in l.c.a., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019

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