Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20547 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. II, 29/09/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 29/09/2020), n.20547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ugo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3926-2016 proposto da:

COS-EDIL s.n.c., in persona de legale rappresentante pro tempore

G.D., rappresentata e difesa dagli Avvocati ELEONORA BETTANIN e

DONATELLA GEROMEL ed elettivamente domiciliata presso lo studio di

quest’utima in ROMA, VIA MONTE SANTO 1;

– ricorrente –

contro

M.R., rappresentato e difeso dagli Avvocati GIOVANNI

TISATO e GIUSEPPE AMBROSIO ed elettivamente domiciliato presso lo

studio del secondo in ROMA, VIA delle BELLE ARTI 7;

– controricorrente –

nonchè contro

P.T.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2095/2015 della CORTE d’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 1/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/03/2020 dal Consigliere Dott. BELLINI UBALDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 11.4.2002, ERRETI COSTRUZIONI s.a.s. di M.R. & C. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo (emesso su ricorso di COS-EDIL s.n.c. di G.A.W. e figli, che ingiungeva alla prima di pagare in favore della seconda la somma di Euro 70.002,21, eccependo l’inesistenza del credito in mancanza di ogni rapporto contrattuale tra opponente ed opposta.

Cos-edil s.n.c. si costituiva affermando di avere consegnato il materiale in diversi cantieri a diversi soggetti giuridici rappresentati da M. e di aver emesso le diverse fatture, di volta in volta, su ordine del M..

Con sentenza n. 32/2009, depositata in data 5.2.2009, il Tribunale di Schio revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava l’opposta al pagamento delle spese di lite.

Contro la sentenza proponeva appello la Cos-edil s.n.c. chiedendone la riforma. Si costituiva Erreti Costruzioni s.a.s. resistendo al gravame.

La causa, previa interruzione del giudizio per cancellazione della Erreti Costruzioni s.a.s. e riassunzione da parte di Cos-edil s.n.c., era trattenuta in decisione all’udienza del 23.2.2015, con assegnazione dei termini per le conclusionali e le repliche.

Con sentenza n. 2095/2015, depositata in data 1.9.2015, la Corte d’Appello di Venezia rigettava l’appello compensando le spese del grado. In particolare, riteneva che Cos-edil s.n.c. non avesse adempiuto l’onere della prova di dimostrare il vincolo contrattuale tra la medesima e la Erreti Costruzioni s.a.s. piuttosto che alla ditta individuale M.R.; riteneva altresì che il teste H. (che aveva riconosciuto come propria la firma apposta nei documenti di trasporto), riferendosi a M.R., non aveva chiarito in quale veste operasse costui, se come legale rappresentante della Erreti Costruzioni s.a.s. o come legale rappresentante di altri soggetti giuridici.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione Cos-edil s.n.c. sulla base di due motivi, illustrati da memoria; resiste M.R. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, la società ricorrente lamenta la “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2697,2710 e 2729 c.c.; artt. 115,116 e 232 c.p.c.”, là dove la Corte di merito ha affermato che i documenti di trasporto, insieme alle fatture, non sono idonei a provare il rapporto tra le parti, data la loro natura meramente contabile. Infatti, le fatture regolarmente tenute dall’imprenditore che le ha emesse, secondo l’art. 2710 c.c., possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa; inoltre, assieme ai documenti di trasporto, certificano il trasferimento di merce dal cedente al cessionario, che nei documenti di trasporto era indicato come Erreti Costruzioni s.a.s. Secondo la società ricorrente il Giudice d’appello avrebbe errato per non aver preso in considerazione le fatture ed documenti di trasporto quale prova per presunzione a favore della Cos-edil s.n.c., sia della fornitura sia dell’identità del cessionario. La sentenza sarebbe errata anche nella parte in cui affermava che il teste escusso faceva riferimento al M. senza specificarne la sua qualità. Aggiunge la ricorrente che i capitoli di prova dalla medesima formulati fin dalla comparsa di costituzione in primo grado contenevano l’indicazione di fatti determinati, tanto che superavano il vaglio di ammissibilità in quel grado di giudizio; quanto poi alla prova della qualità in cui il M. aveva agito, il capitolo n. 5) era deputato a provare che il M. avesse dato istruzioni a Cos-edil di emettere le fatture a Erreti Costruzioni: la mancata presentazione del M. a rendere l’interrogatorio formale avrebbe dovuto far ritenere ammessa la circostanza dedotta nel citato capitolo n. 5). La conseguenza sarebbe la violazione dell’art. 232 c.p.c.. Infine, dalla sentenza n. 245/2007 risultava chiaro che le fatture non fossero state pagate dal M. in quanto emesse nei confronti di un soggetto terzo, la Erreti Costruzioni s.a.s..

1.2. – Con il secondo motivo, la società ricorrente deduce la “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 2313,2315,2304,2312 e 1175 c.c. e art. 111 Cost.”, osservando che, nonostante il giudizio fosse stato riassunto nei confronti del M. nella sua veste di socio accomandatario della cessata Erreti Costruzioni s.a.s., la Corte d’Appello riteneva che la situazione tra le parti dovesse rimanere invariata in quanto l’opposta non aveva provato l’esatta qualità nella quale il M. agiva, essendo pacifico, alla luce delle deposizioni testimoniali, che gli aveva ordinato e ricevuto la merce di cui la ricorrente chiedeva il pagamento. Secondo i Giudici di merito l’onere della prova incombeva sulla ricorrente e non sarebbe stato assolto; in realtà, il ragionamento del Giudice sarebbe errato quando afferma che la ricorrente non avrebbe provato alcunchè, in quanto postula l’esistenza di una distinzione ontologica tra società di persone e soci illimitatamente responsabili, distinzione che nel diritto positivo non esiste. Inoltre, secondo la ricorrente la sentenza impugnata presenterebbe profili di censura anche in relazione al dettato dell’art. 2312 c.c. letto in conformità ai principi di buona fede (art. 1175 c.c.) e di economia processuale (art. 111 Cost.). Si sottolinea che dopo la cancellazione della società, è venuto meno qualsiasi paravento tra socio illimitatamente responsabile e società e, in base al disposto dell’art. 2312 c.c., i creditori sociali insoddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci. Nonostante ciò, tutta la linea difensiva del M. è stata basata sulla distinzione tra Erreti Costruzioni s.a.s. e persona fisica M.R.. Tale atteggiamento processuale non sarebbe improntato a buona fede e la decisone di appello, avallandolo, avrebbe violato la norma che consente al Giudice, in ossequio al principio di buona fede, di prevenire forme di abuso della tutela giurisdizionale latamente considerata.

2. – In considerazione della loro connessione logico giuridica, i due motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – I motivi non sono fondati.

2.2. – Le censure avverso l’impugnata sentenza appaiono rivolte ad ottenere una generale rivalutazione complessiva dell’intero impianto probatorio acquisito, attraverso il quale trovare la soddisfazione delle pretese fatte valere (sintomatica, in tal senso risulta la affermazione della società ricorrente circa il fatto che, in base alla sentenza, la ricorrente si ritrova priva di un titolo in forza del quale pretendere il pagamento, pur avendo provato la fornitura su ordine del M., il quale è l’unico obbligato al pagamento, e si vedrebbe costretta a intraprendere un nuovo giudizio contro quest’ultimo, fondato sui medesimi fatti esposti nella presente causa, con evidente lesione del principio di semplificazione in cui si sostanzia il concetto stesso dell’economia processuale: ricorso, pag. 22).

La Corte di merito – ribatito che la fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, mentre nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinali mezzi di prova dall’opposto (Cass. n. 18870 del 2015; Cass. n. 5915 del 2011) -, con riferimento alla (di assai più limitata portata) acquisizione e specifica valutazione della prova circa la qualità nella quale il M. aveva agito nei rapporti con la controparte, ha affermato che neppure in sede di prova testimoniale l’opposta, su cui gravava pacificamente il relativo onere, fosse riuscita a provare alcunchè, dato che il teste assunto, autore della sottoscrizione apposta sui documenti e quindi consegnatario della merce, aveva bensì riferito di avere lavorato per conto del M. e di avere ricevuto la merce ordiridata da questi e proveniente dalla società opposta, ma senza che ciò consentisse di specificare la sua qualità di imprenditore nel campo dell’edilizia.

Lavvove, poi, con riguardo alla interruzione del processo a seguito della intervenuta cancellazione della Erreti dal registro delle imprese, e la costituzione del M.R. quale già socio accomandatario della stessa che ha eccepito la inammissibilità dell’appello in quanto notificato a società estinta – la Corte ha ritenuto l’appello ben incardinato.

2.3. – Orbene, costituisce principio consolidato di questa Corte quello secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 6368 del 2019; Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di appello sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).

2.4. – Sotto altro profilo, va inoltre rilevato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie); essendo dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione (e dunque un errore interpretativo di diritto) su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa (Cass. n. 9028 del 2019; Cass. n. 3923 del 2019; Cass. n. 3340 del 2019). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).

Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

2.5. – Risulta, quindi, inammissibilex, la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della sola preliminare indicazione della norma pretesamente violata, ma non dimostrati attraverso una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

Il controllo affidato a questa Corte non equivale, infatti, alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014). Sicchè, in ultima analisi, tale motivo si connota quale riproposizione, notoriamente inammissibile in sede di legittimità, di doglianze di merito che attingono all’apprezzamento delle risultanze istruttorie motivatamente svolto dalla Corte di merito (Cass. n. 24817 del 2018).

D’altronde, il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione, che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (ex plurimis, Cass. n. 10566 del 2019; Cass. n. 6519 del 2019).

3. – Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Nulla per le spese riguardo la parte intimata che non ha svolto difese. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.700,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

 

 

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