Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20545 del 12/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 12/10/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 12/10/2016), n.20545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10276/2012 proposto da:

T.C., c.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DELLA LIBERTA’ 10, presso lo studio dell’avv. FRANCESCO CAPECCI,

che che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PERRELLA

ENRICO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ENAC – ENTE NAZIONALE PER L’AVIAZIONE CIVILE (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, RAPPRESENTATA E DIFESA

dall’avvocatura Generale dello stato, presso i cui uffici domicilia

in ROMA ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 98/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/04/2911 r.g.n. 11672/1007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dal

Consigliere Dott. BOGHETICH Elena;

uditi gli avvocati CAPECCI FRANCESCO e PERRELLA Enrico;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della medesima sede, ha rigettato la domanda di T.C., ingegnere alle dipendenze dell’Enac, prima qualifica professionale, livello 4^, volta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla corresponsione della retribuzione di posizione, per il periodo (OMISSIS). La Corte ha ritenuto che – alla luce delle fonti contrattuali applicate al rapporto di lavoro (in specie, artt. 83 e 84 CCNL personale non dirigente Enac 19.12.2001 è art. 7 contratto integrativo nazionale 1998-2001) – non potesse evincersi lo svolgimento di funzioni tali da consentire il riconoscimento della retribuzione pretesa in considerazione sia della mancanza di atti di conferimento da parte del direttore generale sia dell’insussistenza di elementi probatori idonei a consentire la comparazione tra attività normalmente disimpegnata dalla lavoratrice e incarichi espletati.

Avverso la sentenza ricorre la T. con nove motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste l’Enac con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i primi tre motivi di ricorso la lavoratrice denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c. e art. 2697 c.c. nonchè vizio di motivazione avendo, la Corte di appello, rigettato la domanda di riconoscimento della retribuzione di posizione ritenendo non provati gli incarichi previsti dalla contrattazione collettiva per la maturazione del relativo diritto nonostante l’Enac non avesse contestato lo svolgimento dei compiti analiticamente illustrati in ricorso e nonostante istanze istruttorie articolate in ricorso tese a dimostrare sia lo svolgimento di detti incarichi sia la corresponsione della retribuzione di posizione nella busta paga di (OMISSIS) (prodotta con il ricorso introduttivo del giudizio) sia la percezione di cospicui compensi, da parte dell’Enac, dai soggetti beneficiari dell’attività svolta dalla ricorrente. L’ente pubblico, inoltre, avrebbe dovuto farsi carico dell’onere di fornire la prova della inclusione degli incarichi svolti nell’ambito dell’ordinaria attività lavorativa assegnata alla lavoratrice.

2. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1362, 1365 e 1366 c.c. in relazione all’art. 83 CCNL Enac 1998-2001, all’art. 7 CCNI 1998-2002, all’Accordo sindacale 19.11.2003 (riprodotti nel ricorso per cassazione e depositati con il ricorso introduttivo del giudizio) avendo, la Corte, trascurato l’Accordo sindacale 19.11.2003 ove è contenuta una esemplificazione (Tabella) degli incarichi che comportano il diritto alla retribuzione di posizione e nei quali rientrano alcune attività svolte dalla lavoratrice.

3. Con il quinto, sesto, settimo, ottavo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 e dell’art. 83 CCNL Enac 1998-2001 nonchè vizio di motivazione non avendo, la Corte, effettuato tutte le fasi del procedimento logico giuridico previsto – per giurisprudenza consolidata – in caso di richiesta di riconoscimento di mansioni superiori, nonostante la lavoratrice avesse assolto al proprio onere di provare le attività svolte (in quanto non contestate dall’Enac), ed essendosi in particolare sottratta alla valutazione comparativa tra incarichi effettivamente svolti e incarichi di posizione come tipizzati nella Tabella di cui all’Accordo sindacale 19.11.2003. La Corte ha, inoltre, ritenuto riconosciuto dall’Enac la retribuzione di posizione per l’anno (OMISSIS) in considerazione dell’erogazione di somme per tale anno senza valutare la somma corrisposta nella busta paga di (OMISSIS) ove l’Enac ha pagato un conguaglio per incarichi di posizione svolti nell’anno (OMISSIS).

4. Con il nono e ultimo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 avendo, la Corte, trascurato che fino alla sottoscrizione dell’Accordo 19.11.2003, l’art. 84 CCNL Enac prevedeva il conferimento degli incarichi di posizione mediante “atti scritti e motivati” senza specificare l’organo competente e che, pertanto, dovevano ritenersi legittime le determinazioni del dirigente preposto alla struttura nella quale la T. era inserita (determinazioni prodotte con ricorso introduttivo del giudizio dai documenti 2 all’11).

5. I motivi dal quarto al settimo, che assumono rilievo prevalente rispetto agli altri, meritano accoglimento. Appare, invero, carente la valutazione della Corte di appello con riguardo alla normativa contrattuale integrativa.

L’Accordo sindacale stipulato il 19.11.2003 in sede di Commissione paritetica tra ente e organizzazioni sindacali (depositato come documento 15 nel giudizio di primo grado e riprodotto nel ricorso per cassazione) prevede che: “Gli incarichi sono conferiti dal direttore generale, su proposta del responsabile della struttura competente. Gli importi annui per la retribuzione della posizione stabiliti dal CCNI sono attribuiti in base al grado di responsabilità connesso e alla rilevanza della funzione secondo lo schema riportato nella tabella allegata”. La disposizione prosegue suddividendo le posizioni organizzative dei professionisti in base a tre funzioni (che, rispettivamente, richiamano le definizioni contenute nell’art. 83, comma 1, lett. a), b) e c) del CCNL 1998-2001) ed aggiunge, poi, che: “Esemplificazioni di categorizzazione delle attività svolte dai professionisti dell’Enac sono riportate nella sopra menzionata tabella”. La suddetta tabella contiene la descrizione di alcune attività quali ad esempio la “Responsabilità di attività ad alta specializzazione (es. Program Manager di gruppi istituiti per l’attività di omologazione, ecc., commissioni ICAO/JAA/AECMA/AIAD)” e la “Rappresentanza in organismi internazionali e comunitari e/o esperto incaricato in gruppi o commissioni con altri enti nazionali ed internazionali, organismi pubblici annona, che richiede attività di coordinamento interno ed esterno”, attività ricondotte alla lett. b) dell’art. 83 CCNL 1998-2001, oppure la “Attività di coordinamento istituita per lo sviluppo e l’esecuzione di attività specialistica (es. Team leader, ecc)”, attività ricondotta alla lett. c) del citato art. 83.

Nella fattispecie, la Corte di appello ha premesso che “l’indennità di posizione spetta esclusivamente in riferimento determinati incarichi che rientrino fra quelli indicati dall’art. 83 cit. e che siano oggetto di specifiche assegnazione da parte del direttore generale, su proposta dei responsabili delle singole strutture, con provvedimento motivato che indichi natura e durata dell’incarico”. Ha, poi, rilevato che “la documentazione prodotta da parte ricorrente sub docc. da 2 a 10 non contiene atti di conferimento formale degli incarichi con i requisiti di cui si è fatto cenno, trattandosi di note indirizzate a terzi soggetti, non a firma del direttore generale, dove la T. viene indicata quale persona cui rivolgersi come punto di riferimento per determinati progetti (v. docc. 2, 4, 5, 9) ovvero quale partecipante ad un programma o team (docc. 6, 7, 8 e 10), mentre dal documento n. 3 risulta esclusivamente la sostituzione di altro soggetto con la ricorrente per un progetto neppure descritto ma solo individuato con sigle. Ha quindi concluso che la documentazione prodotta non era rispondente ai requisiti richiesti dall’art. 83 in quanto carente di conferimento formale da parte del direttore generale e che mancava ogni elemento di comparazione tra detti incarichi e l’attività normalmente espletata dalla ricorrente in modo da apprezzare se tali incarichi fossero inclusi od esulassero dalla funzioni istituzionalmente attribuite alla ricorrente.

La Corte ha, quindi, accertato che dalla documentazione prodotta risultava lo svolgimento, da parte della T., di determinati progetti, la partecipazione a specifici programmi o gruppi di lavoro. Peraltro, non ha esaminato la documentazione prodotta dalla lavoratrice alla luce dell’Accordo sindacale 19.11.2003 ed in particolare della tabella ivi allegata, ove viene direttamente ricollegata la corresponsione della retribuzione di posizione allo svolgimento di determinati e specifici incarichi descritti (seppur in via esemplificativa) con sufficiente specificità nonchè con il richiamo di sigle relative a specifiche Commissioni di livello internazionale, nazionale o regionale. L’esegesi letterale dell’Accordo citato consente di ritenere che le parti sociali – dopo aver effettuato una descrizione di carattere generale delle tre funzioni (di direzione di unità organizzative non dirigenziali e di uffici professionali; di elevata professionalità connesse a specifici obiettivi e progetti; di coordinamento di un gruppo di professionisti) il cui svolgimento dà diritto al pagamento della retribuzione di posizione (art. 83 CCNL 1998-2001) – hanno individuato le caratteristiche concrete di tali funzioni elaborando un elenco descrittivo degli incarichi riconducibili a dette funzioni. L’integrazione di uno degli incarichi elencati nella tabella di cui all’Accordo citato consente di riconoscere lo svolgimento di una funzione a cui è ricollegata l’erogazione della retribuzione di posizione. La Corte di merito non ha, quindi, effettuato il necessario percorso logico “trifasico” per accertare se gli incarichi risultanti dalla documentazione prodotta dalla lavoratrice potessero essere ricompresi tra quelle funzioni previste dall’Accordo sindacale 19.11.2003 come determinanti l’assegnazione della retribuzione di posizione.

In conclusione la Corte d’appello non ha affrontato la disamina dell’Accordo sindacale del 19.11.2003 sottraendosi all’uso dei canoni legali di interpretazione negoziale nella lettura del suddetto testo contrattuale.

In ragione dell’accoglimento dei motivi innanzi esaminati, devono ritenersi assorbiti gli ulteriori motivi.

6. In ordine al conferimento dell’incarico di posizione organizzativa (nono motivo del ricorso) considerato che l’art. 7 CCNI 1998-2001 prevede l’attribuzione del potere al direttore generale mentre l’art. 83 CCNL non individua il soggetto che “con atti scritti e motivati” deve assumere la decisione – va rammentato che l’assegnazione delle mansioni superiori che rientra nell’ambito di applicazione dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 5, attribuisce al lavoratore il diritto alla differenza di trattamento economico previsto per la qualifica superiore ricoperta. Invero, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscersi nella misura indicata nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.. Nell’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite della Corte con la sentenza n. 25837 del 2007, la suddetta norma va intesa nel senso che l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost.; tale norma deve trovare integrale applicazione – senza sbarramenti temporali di alcun genere – pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni (v. pure Cass n 23741 del 17 settembre 2008 e molte altre successive; tra le più recenti, Cass. n. 4382 del 23 febbraio 2010). Nè la portata applicativa del principio è da intendere come limitata e circoscritta al solo caso in cui le mansioni superiori vengano svolte in esecuzione di un provvedimento di assegnazione, ancorchè nullo; le Sezioni Unite (cfr. Cass. n. 27887 del 2009, che richiama Cass., Sez. Un., 11 dicembre 2007 n. 25837 cit.), sulla base dei principi espressi dalla Corte Costituzionale, hanno rilevato come l’obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente nella misura della quantità del lavoro effettivamente prestato prescinda dalla eventuale irregolarità dell’atto o dall’assegnazione o meno dell’impiegato a mansioni superiori e come il mantenere, da parte della pubblica amministrazione, l’impiegato a mansioni superiori, oltre i limiti prefissati per legge, determini una mera illegalità, che però non priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto – ai sensi dell’art. 2126 c.c. e, tramite detta disposizione, dell’art. 36 Cost. – perchè non può ravvisarsi nella violazione della mera legalità quella illiceità che si riscontra, invece, nel contrasto “con norme fondamentali e generali e con i principi basilari pubblicistici dell’ordinamento”, e che, alla stregua della citata norma codicistica, porta alla negazione di ogni tutela del lavoratore (Corte Cost. 19 giugno 1990 n. 296 attinente ad una fattispecie riguardante il trattamento economico del personale del servizio sanitario nazionale in ipotesi di affidamento di mansioni superiori in violazione del disposto del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 29, comma 2). La Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato l’applicabilità anche al pubblico impiego dell’art. 36 Cost. nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, non ostando a tale riconoscimento, a norma dell’art. 2126 c.c., l’eventuale illegittimità del provvedimento di assegnazione del dipendente a mansioni superiori rispetto a quelle della qualifica di appartenenza (cfr. Corte Cost. sent n. 57/1989, n. 296/1990, n. 236/1992, n. 101/1995, n. 115/2003, n. 229/2003). Neppure il principio dell’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante pubblico concorso è incompatibile con il diritto dell’impiegato, assegnato a mansioni superiori alla sua qualifica, di percepire il trattamento economico della qualifica corrispondente, giusta il principio di equa retribuzione sancito dall’art. 36 Cost. (Corte Cost. 27 maggio 1992 n. 236). Neppure vale a contrastare tale principio la possibilità di abusi conseguenti al riconoscimento del diritto ad un’equa retribuzione ex art. 36 Cost. al lavoratore cui vengano assegnate mansioni superiori al di fuori delle procedure prescritte per l’accesso agli impieghi ed alle qualifiche pubbliche, perchè “il cattivo uso di assegnazione di mansioni superiori impegna la responsabilità disciplinare e patrimoniale (e sinanche penale qualora si finisse per configurare un abuso di ufficio per recare ad altri vantaggio) del dirigente preposto alle gestione dell’organizzazione del lavoro, ma non vale di certo sul piano giuridico a giustificare in alcun modo la lesione di un diritto di cui in precedenza si è evidenziata la rilevanza costituzionale” (in tal senso, S.U., sent. n. 25837 del 2007, cit.). Il diritto a percepire una retribuzione commisurata alle mansioni effettivamente svolte in ragione dei principi di rilievo costituzionale e di diritto comune non è dunque condizionato all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico che disponga l’assegnazione. Le uniche ipotesi in cui può essere disconosciuto il diritto alla retribuzione superiore dovrebbero essere circoscritte ai casi in cui l’espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente (invito o proibente domino) oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente (cfr. Cass. n. 27887 del 2009). In proposito, la Corte costituzionale ha osservato (n. 101 del 1995) che il potere attribuito al dirigente preposto all’organizzazione del lavoro di trasferire temporaneamente un dipendente a mansioni superiori per esigenze straordinarie di servizio è un mezzo indispensabile per assicurare il buon andamento dell’amministrazione; la spettanza al lavoratore del trattamento retributivo corrispondente alte funzioni di fatto espletate è un precetto dell’art. 36 Cost., la cui applicabilità all’impiego pubblico non può essere messa in discussione (cfr. sentenza n. 236 del 1992). L’astratta possibilità di abuso di tale potere e delle sue conseguenze economiche, nella forma di protrazioni illegittime dell’assegnazione a funzioni superiori, non è evidentemente un argomento che possa giustificare una restrizione dell’applicabilità del principio costituzionale di equivalenza della retribuzione al lavoro effettivamente prestato.

Nel caso di specie, non ricorre alcuno dei presupposti che – alla stregua dei principi sopra esposti e qui pienamente condivisi e ribaditi – avrebbe potuto giustificare l’esclusione del diritto della ricorrente alla retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato – e del correlativo obbligo dell’Amministrazione di integrare il trattamento economico della dipendente nella misura della quantità del lavoro effettivamente prestato -, non risultando nemmeno prospettato dall’Enac in primo grado che l’attribuzione degli incarichi corrispondenti a posizioni organizzative avvenne all’insaputa o contro la volontà dell’Azienda (invito o proibente domino), nè risultando allegata altra specifica causa di esclusione, nel senso sopra chiarito.

7. In conclusione, il ricorso va accolto in relazione ai motivi innanzi illustrati e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà provvedere, oltre alle spese dell’intero giudizio, a verificare la corrispondenza degli incarichi risultanti dai documenti prodotti dalla lavoratrice agli incarichi previsti dalla tabella allegata all’Accordo sindacale 19.11.2003.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2016

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