Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20537 del 30/07/2019

Cassazione civile sez. II, 30/07/2019, (ud. 06/02/2019, dep. 30/07/2019), n.20537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10545-2014 proposto da:

IMMOBILIARE HABITAT SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in SALERNO, LARGO PLEBISCITO 6,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA SCARPA;

– ricorrente –

contro

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

FEDERICI 2, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRINI MARIA

CONCETTA rappresentato e difeso dall’avvocato FREDA ETTORE;

LA MAGNOLIA AZIENDA AGRICOLA DI E.C. & C, elettivamente

domiciliato in ROMA, V.LE G. MARCONI 152, presso lo studio

dell’avvocato GIANLUCA CAPASSO, rappresentato e difeso dall’avvocato

LUCA CIRILLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4222/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 02/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/02/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso

udito l’Avvocato SCARPA Nicola, senza procura notarile, che prende

atto e non viene ammesso alla discussione;

udito l’Avvocato FREDA Ettore, difensore del resistente A., che

ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.A. chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Avellino la società Immobiliare Habitat (Habitat), per sentirla condannare al pagamento della somma di Lire 65.078.233 quale corrispettivo per l’opera professionale svolta, di direttore dei lavori e progettista, in relazione all’edificazione di un fabbricato per civile abitazione, uffici, negozi e autorimesse, in (OMISSIS), autorizzata con concessione edilizia n. 705 del 15 febbraio 1989 e al netto dell’acconto ricevuto di Lire 12.500.000.

La convenuta si costituiva ed eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, chiedendo di essere autorizzata a chiamare in giudizio la Magnolia Azienda Agricola di C.E. (Magnolia), da cui aveva acquistato l’area su cui erano state eseguite le opere e sulla quale ricadeva l’obbligazione di pagamento fatta valere professionista.

Precisamente la convenuta ammetteva di avere intrattenuto un rapporto con l’ing. A., tuttavia in forza di incarico successivo alla vendita e interamente retribuito con il pagamento della somma di lire 12.500.000, laddove la pretesa avanzata in giudizio si riferiva a prestazioni eseguite anteriormente su incarico della venditrice.

Autorizzata ed eseguita la chiamata, si costituiva la venditrice Magnolia, che contestava la ricostruzione proposta dalla Habitat.

In particolare eccepiva che la società acquirente, in forza dell’art. 7 del contratto preliminare di vendita, si era fatta carico di tutte le spese occorrenti per la realizzazione del fabbricato, ivi comprese quelle di progettazione, calcolo, direzione dei lavori e accatastamento.

Il tribunale accoglieva la domanda nei confronti della terza chiamata (la venditrice Magnolia), condannando tale società al pagamento, in favore dell’ A., della somma di Euro 27.15439.

Correlativamente rigettava la domanda proposta dal professionista nei confronti della società acquirente Habitat.

Contro la sentenza la Magnolia proponeva appello, sostenendo che la prova testimoniale espletata in primo grado aveva comprovato l’esistenza di un accordo, fra venditrice e acquirente dell’area, per l’accolto delle spese di progettazione da parte della società Habitat, autonomo rispetto alla vendita dell’area.

In forza di tale accolto la convenuta era la sola obbligata al pagamento delle somme pretese dal professionista.

Si costituivano l’ A. e la Habitat.

Il primo aderiva alla tesi dell’accolto autonomo proposta dalla venditrice Magnolia, proponendo appello incidentale sulla quantificazione dell’importo dovuto; la seconda contestava la ricostruzione giuridica proposta dall’appellante, ritenendo corretta la ricostruzione del giudice di primo grado, che aveva negato l’esistenza dell’accolto.

La Corte d’appello di Napoli accoglieva l’appello principale della Magnolia e l’appello incidentale del professionista.

Condannava perciò la Immobiliare Habitat al pagamento, in favore dell’ A., della somma di Euro 31.059,40.

La corte di merito riconosceva che le risultanze processuali avevano fatto emergere l’esistenza di una pattuizione di accolto, autonoma rispetto alla compravendita del suolo, pur se assunta a latere della stessa, giustificata dall’interesse manifestato dalla società acquirente a subentrate nella concessione edilizia rilasciata in favore della Magnolia sulla base del progetto redatto dall’ A..

L’autonomia dell’accolto rispetto alla compravendita comportava che la prova del medesimo poteva essere data anche per testimoni, il che comportava la ammissibilità della deposizione acquisita in primo grado, che aveva confermato l’assunto della venditrice Magnolia. Il fatto che l’accolto non fosse stato poi menzionato nell’atto notarile di compravendita era irrilevante, perchè le parti non avrebbero potuto più revocare la convenzione di accollo, dal momento che ad essa aveva prestato adesione il creditore, rendendo in tal modo irrevocabile la stipulazione in suo favore, a norma dell’art. 1273 c.c., comma 1.

Per la cassazione della sentenza la Habitat S.r.l. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi.

Hanno resistito con controricorso la Magnolia S.r.l. in liquidazione e A.A..

A.A. ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare occorre dichiarare la inammissibilità della costituzione del ricorrente a mezzo dell’avv. Nicola Scarpa avvenuta in forza di procura a margine di comparsa di costituzione di nuovo difensore. Tale procura non è idonea ad abilitare il difensore a partecipare all’udienza di discussione, nè ad abilitarlo al deposito di memorie. Nel giudizio di cassazione, infatti, la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poichè l’art. 83 c.p.c., comma 3, nell’elencare gli atti in margine o in calce ai quali può essere apposta la procura speciale, indica con riferimento al giudizio di cassazione soltanto quelli sopra individuati; ne consegue che se la procura non è rilasciata in occasione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal cit. art. 83, comma 2 cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata (Cass. n. 25505/2014; n. 8708/2009).

Si fa notare che possibilità che la procura speciale sia apposta in calce o a margine della “memoria di costituzione di nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato”, attualmente consentita in base all’inciso introdotto nell’art. 83 cit., comma 3 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 9, lett. a), in vigore dal 4 luglio 2009, è riferibile ai giudizi instaurati successivamente a tale data L. n. 69 del 2009 cit., ex art. 58, comma 1, (il presente giudizio è stato instaurato nel 2008).

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme in tema di accollo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

E’ oggetto di censura l’affermazione della Corte di merito sulla natura autonoma dell’accollo.

Si sostiene che l’accollo non ha necessariamente una causa autonoma, dovendosi intendere per causa dell’accollo la ragione concreta giustificativa dell’assunzione del debito altrui.

L’accollo ben può costituire una clausola di un diverso contratto fra accollante e accollatario e rimanere in questo assorbito.

Si fa rilevare che nell’unico contratto intercorso fra le parti (la compravendita posta in essere con atto pubblico del 18 dicembre 1991), non c’era alcuna previsione di accollo, nè alcun richiamo al contratto dal quale era derivato il debito oggetto del supposto accollo.

A torto il giudice d’appello ha considerato irrilevante la mancanza di una apposita previsione in tal senso nella compravendita. Ed invero il rilievo che la pattuizione non era a quel punto più revocabile avendovi il creditore prestato adesione, non tiene conto del principio che la liberazione del debitore deve risultare da una dichiarazione espressa ed inequivoca e non può desumersi per comportamento concludente.

Si fa notare che la ricorrente aveva corrisposto i compensi per l’attività espletata dall’ing. A. successivamente all’atto di compravendita.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 10 del 1977, art. 4 e 6.

La decisione è censurata nella parte in cui la corte d’appello ha riconosciuto che la voltura della concessione edilizia rileva anche sul piano civile, giustificando una responsabilità dell’acquirente non solo negli obblighi concessori non ancora adempiuti, ma anche relativamente alle obbligazioni della venditrice verso i professionisti.

Al contrario questi effetti sono del tutto eventuali e vanno verificati caso per caso in base alla regole comuni.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1350 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La decisione è censurata per avere usato come prova una bozza di preliminare non sottoscritta dalle parti in causa.

Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 246 c.c..

Il teste B., in quanto collaboratore dell’ing. A., aveva un interesse proprio nella causa che lo rendeva incapace a testimoniare.

Anche a voler dare seguito all’ammissibilità della prova per testi relativamente al preteso accollo, la relativa deposizione, così palesemente inficiata dal diretto interesse di cui il teste era portatore, coincidente con quello dell’ A., doveva essere qualificata irrilevante e tam quam non esset.

Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1371 c.c., oltre all’errata valutazione delle prove.

Sono oggetto di censura i rilievi della corte nella parte in cui, sulla base della deposizione, ha ritenuto di poter ravvisare nell’atto di compravendita una comune intenzione delle parti di far gravare sull’acquirente le spese tecniche.

E’ poi censurata l’interpretazione delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della Habitat in sede di interrogatorio formale, il quale aveva in effetto dichiarato che la pattuizione intercorsa con la venditrice, riguardo alle spese tecniche, comprendeva solo quelle successive all’acquisto da parte della società.

3. Il primo motivo è infondato.

La ricorrente è certamente nel giusto allorchè sostiene che l’autonomia dell’accollo non esclude che esso possa essere stipulato come patto accessorio di un contratto principale (Cass. n. 1271/1953; n. 1186/1964).

In forza di tale condivisibile premessa teorica, la ricorrente sostiene che il contratto principale, nella specie, non potrebbe che identificarsi nella vendita intercorsa fra le due società, che tuttavia non menziona minimante un accordo per l’assunzione del debito altrui.

Ma in questi termini la censura, proposta come violazione di norme di diritto, costituisce una petizione di principio, perchè la ricorrente è costretta a sostenere che, nella specie, l’accollo, qualora in ipotesi concluso, doveva necessariamente accedere alla vendita e costituire una clausola di tale contratto.

In altre parole, sotto la veste della violazione di legge, la ricorrente censura in realtà l’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, che non è censurabile in questa sede, in quanto fondato su premessa teoriche pienamente corrette.

Ed invero l’accollo, seppure possa talvolta costituire un patto accessorio di un contratto principale, normalmente costituisce un negozio giuridico avente una finalità autonoma ed una causa a se stante distinta da quella del rapporto fondamentale (Cass. n. 861/1992).

In effetti ciò che caratterizza l’accollo semplice, forma di trasferimento del rapporto obbligatorio, è la sua natura di contratto concluso fra chi assume l’onere del debito altrui e il debitore. Alla sua nozione e alla sua conclusione rimane estranea e del tutto indipendente la figura dell’originario creditore, e cioè di uno sei soggetti del rapporto obbligatorio. Questa semplice deduzione deve portare a riconoscere che fra accollo e rapporto obbligatorio di base non sussiste connessione. L’accollo si presenta con una propria causa che non dipende da quella individuabile nell’altro. L’adesione del creditore al contratto di accollo è facoltativa e, quando vi sia, genera le conseguenze giuridiche determinate nel primo capoverso dell’art. 1273 c.c.

Si ritiene di aggiungere che, diversamente da quanto si sostiene con il motivo in esame, la corte ha menzionato l’adesione del creditore non per farne derivare la liberazione del debitore originario (profilo del tutto estraneo alla causa), ma porre in luce che il silenzio della compravendita sul punto non assumeva alcuna rilevanza, perchè l’adesione aveva reso irrevocabile la stipulazione ai sensi dell’art. 1373 cit.

Ancora una volta, sotto la veste della violazione di norme, la censura mossa alla corte è pur sempre rivolta contro la ricostruzione in fatto, operata in base alle risultanze di causa.

4. Nell’ordine logico delle questioni, posto che la corte ha posto a fondamento della decisione la deposizione del teste, si giustifica l’esame del quarto motivo, che è in parte inammissibile e in parte infondato.

E’ inammissibile nella parte in cui censura la violazione dell’art. 246 c.p.c., in quanto la ricorrente non precisa se e in che termini la censura fu proposta nel giudizio di merito: “qualora, in sede di ricorso per cassazione, venga dedotta l’omessa motivazione del giudice d’appello sull’eccezione di nullità della prova testimoniale (nella specie, per incapacità ex art. 246 c.p.c.), il ricorrente ha l’onere, anche in virtù dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare che detta eccezione è stata sollevata tempestivamente ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, subito dopo l’assunzione della prova e, se disattesa, riproposta in sede di precisazione delle conclusioni ed in appello ex art. 346 c.p.c., dovendo, in mancanza, ritenersi irrituale la relativa eccezione e pertanto sanata la nullità, avendo la stessa carattere relativo” (Cass. n. 23896/2016).

E’ infondato quanto al resto delle censure, in quanto intese a sostenere che la corte d’appello non avrebbe dovuto dare credito alla deposizione, in quanto proveniente da testimone inattendibile. Infatti il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito (Cass. n. 16056/2016).

5. Sono assorbiti gli altri motivi.

Ed invero il loro eventuale accoglimento non potrebbe comunque portare alla cassazione della sentenza, trattandosi di argomentazioni aggiuntive e di contorno rispetto a una decisione essenzialmente fondata sulla considerazione, corretta in linea di principio, dell’autonomia dell’accollo, e sulla base della positiva considerazione della deposizione testimoniale, che non è censurabile in questa sede.

Le argomentazioni ultronee, che non hanno lo scopo di sorreggere la decisione già basata su altre decisive ragioni, sono improduttive di effetti giuridici e, come tali, non sono suscettibili di censura in sede di legittimità (Cass. 10420/2005).

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente Immobiliare Habitat al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno di essi, in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettaria nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge;

dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 6 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019

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