Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20536 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. II, 29/09/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 29/09/2020), n.20536

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 580/16) proposto da:

G.M. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtù di

procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Lucia Traini ed

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Luigi Spaziani,

in Roma, Circonvallazione Tronfale, n. 57;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI-CAPITANERIA DI PORTO

DI PESCARA (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso “ex lege” dall’Avvocatura Generale dello

Stato e domiciliato presso i suoi Uffici, in Roma, v. dei

Portoghesi, n. 12;

– contro ricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello dell’Aquila n. 722/2015

(depositata il 3 giugno 2015);

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 febbraio 2020 dal Consigliere relatore Dott. CARRATO Aldo.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza depositata il 20 settembre 2013 l’adito Tribunale di Teramo rigettava l’opposizione proposta da G.M. avverso l’ordinanza-ingiunzione in data 15 aprile 2011 con la quale la Capitaneria di Porto di Pescara gli aveva intimato il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 2.000,00 (oltre spese di notifica) e disposto la confisca degli strumenti utilizzati in ordine alla violazione degli artt. 3 e 5 dell’ordinanza n. 66/2010 del Comparto di Pescara, come sanzionata dalla L. n. 963 del 1965, art. 26, a seguito della contestazione con la quale era rimasto accertato che egli aveva pescato un quantitativo di vongole (per Kg 71,50), rinvenuto nella sua automobile, in misura eccedente rispetto a quella consentita e, quindi, in contrasto con la predetta ordinanza compartimentale.

2. Interposto appello da parte del G. e nella costituzione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Capitaneria di Porto di Pescara, la Corte di appello dell’Aquila, con sentenza n. 722/2015 (depositata il 3 giugno 2015), rigettava il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

A fondamento dell’adottata decisione la Corte abruzzese riteneva che andasse confermata la ricostruzione dei fatti relativi all’accertamento effettuato nei confronti del G. così come risultanti dal relativo verbale (non impugnato con querela di falso), in base al quale era stata appurata la violazione dell’ordinanza n. 66/2010 della Capitaneria di Porto di Pescara (essendo stato colto l’appellante, insieme al suo marittimo, nell’atto di caricare da una barca il quantitativo di vongole, superiore a quello consentito, sulla sua autovettura), ravvisando, altresì, la legittimità della disposta confisca degli strumenti e degli attrezzi utilizzati illegittimamente per la pesca, siccome obbligatoria ai sensi della L. n. 963 del 1965, art. 27.

3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione – affidato a sette motivi – il G.M., resistito con controricorso dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Capitaneria di Porto di Pescara.

La difesa del ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato l’erronea applicazione dell’art. 2699 c.c., sulla qualificazione del rapporto di servizio dell’agente accertatore come atto pubblico con fede privilegiata fino a querela di falso, così omettendo di operare una valutazione comparativa tra le diverse fonti di prova e dichiarando inattendibile la dichiarazione testimoniale del teste indicato da esso ricorrente.

2. Con la seconda censura la difesa del G. ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 2729 c.c., per aver il giudice di appello posto a base della prova presuntiva altrettante circostanze presunte.

3. Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato l’erronea applicazione della L. n. 963 del 1965, art. 27, lett. b), sull’asserito presupposto del carattere non obbligatorio della confisca dell’attrezzo da pesca.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha denunciato l’erronea applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c. nonchè della L. n. 689 del 1981, art. 8-bis e art. 23, comma 1, in relazione all’accertamento e alla valutazione di una presunta personalità di esso G. ritenuta “caratterizzata da una particolare dedizione a disattendere le disposizioni normative in materia”, quale indice di proporzionalità e ragionevolezza della sanzione della confisca dell’attrezzo di pesca.

5. Con la quinta censura il ricorrente ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 345 c.p.c., in ordine all’ammissione di prove documentali nuove prodotte per la prima volta in appello, da cui si sarebbe desunta una presunta comunicazione dell’ordinanza di disciplina della pesca n. 66/2010 ai vari enti e soggetti istituzionali, e, quindi, l’efficacia del provvedimento riduttivo dei quantitativi.

6. Con il sesto motivo il ricorrente ha prospettato l’erronea applicazione dell’art. 59 del regolamento di esecuzione del c.d. Codice della navigazione che prescrive, come condizione di efficacia delle ordinanze del Capo del compartimento, la tipica e tassativa pubblicazione delle ordinanze di disciplina della pesca nell’albo dell’ufficio.

7. Con la settima ed ultima doglianza il ricorrente ha denunciato l’erronea applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, sul presupposto che il giudice di appello aveva liquidato le spese di giudizio in modo del tutto sommario ed incoerente senza considerare i parametri generali per la quantificazione del compenso in sede giudiziale.

8. Ritiene il collegio che tutti i riportati motivi sono infondati con il conseguente rigetto integrale del ricorso.

8.1. Con riferimento al primo motivo va osservato che sulle circostanze appurate direttamente dagli organi accertatori (ovvero sul fatto che il ricorrente veniva colto, insieme al suo marittimo, nell’atto di caricare il quantitativo di vongole – risultato eccedente rispetto a quello consentito dalla barca, e quindi costituendo prodotto dell’attività di pesca, sulla propria auto) il verbale è stato correttamente ritenuto dalla Corte territoriale dotato dell’efficacia di cui all’art. 2699 c.c., non essendosi profilata, al riguardo, alcuna attività valutativa da parte dei verbalizzanti o di tipo induttivo circa l’accadimento della riferita condotta attribuita al G., invero caduta sotto la diretta percezione dei medesimi agenti accertatori.

In tal modo la Corte abruzzese ha esattamente applicato il principio, ormai univocamente recepito dalla giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. SU n. 17355/2009 e Cass. n. 23800/2014), secondo cui, nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa, il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonchè alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante nè ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche.

Pertanto, alla stregua di tanto, è stata legittimamente ritenuta configuratasi, a carico del G., la violazione prevista dalla L. 14 luglio 1965, n. 963, art. 15, lett. a), (“ratione temporis” applicabile nel caso di specie, siccome l’infrazione risulta accertata in data 23 novembre 2010 e, quindi, prima della sopravvenuta abrogazione di detta norma ad opera del D.Lgs. n. 4 del 2012, art. 27, comma 1, lett. a), a decorrere dal 2 febbraio 2012), consistente nell’aver pescato (cfr. Cass. n. 14920/2010) quantità superiore di pesce rispetto a quelle autorizzate, per ciascuna specie, da regolamenti, decreti ed ordini legittimamente emanati dall’autorità amministrativa (e, nella specifica fattispecie, in violazione dell’ordinanza n. 66/2010 del Comparto della Capitaneria di Porto di Pescara del 14 novembre 2010).

8.2. Anche il secondo motivo è, ad avviso del collegio, del tutto infondato poichè la prova della configurazione della violazione e della riconducibilità della detenzione del quantitativo di vongole superiore al consentito in capo al ricorrente è stata accertata dai verbalizzanti non sulla base di mere deduzioni di ordine presuntivo, bensì sulla scorta di plurime circostanze verificate sul posto e cadute sotto la loro diretta percezione oltre che in base alla stessa ammissione del G., che era stato colto nell’atto di immissione di detto quantitativo nel cofano della sua auto, dopo averlo scaricato dalla sua imbarcazione ormeggiata nel porto.

8.3. Pure la terza censura è priva di fondamento giuridico perchè la citata L. n. 963 del 1965, art. 27, lett. b) (ancora temporalmente applicabile) non lascia alcun dubbio sulla obbligatorietà della confisca degli strumenti utilizzati per la pesca (laddove si afferma che “le sanzioni amministrative accessorie sono applicate”) e che tale sanzione accessoria va irrogata indipendentemente dalla loro liceità perchè è sufficiente che essi siano stati utilizzati per la commissione delle violazioni previste dalla stessa L. n. 963 del 1065, come verificatosi nel caso di specie essendo stata accertata – nei riguardi del G. – l’infrazione di cui all’art. 15, lett. a) di detta legge.

8.4. La quarta doglianza è anch’essa destituita di fondamento perchè la confisca è stata ritenuta legittima dal giudice di appello siccome, per l’appunto, obbligatoria, prescindendosi, perciò, dalle condizioni soggettive del trasgressore, la cui preventiva valutazione non è espressamente prevista dalla disciplina speciale ai fini dell’adozione della sanzione accessoria.

8.5. Il quinto motivo è anch’esso sprovvisto di fondamento siccome – per quanto documentalmente acquisito in giudizio (con la sua produzione già all’atto della costituzione in primo grado della P.A.) – l’ordinanza compartimentale era stata legittimamente emessa unitamente all’elenco dei suoi destinatari (cui era stata comunicata), non essendo, a tal fine, necessario che essa venisse comunicata anche agli esercenti l’attività di pesca nè che venisse pubblicata su internet, essendo, peraltro, rimasto accertato che essa era stata pubblicata sul sito istituzionale di riferimento oltre che su quello della Capitaneria del Porto di Pescara.

8.6. Il sesto motivo non è meritevole di accoglimento poichè, se è pur vero che l’art. 59 del regolamento di esecuzione del c.d. codice della navigazione prevede che, a norma degli artt. 30, 62 e 81 medesimo codice, il capo del circondario per i porti e per le altre zone demaniali marittime e di mare territoriale della sua circoscrizione, in cui sia ritenuto necessario, regola con propria ordinanza pubblicata nell’albo dell’ufficio, tra le altre attività, anche e in via generale, tutto quanto concerne la polizia e la sicurezza dei porti, nonchè le varie attività che si esercitano nei porti e nelle altre zone comprese nella circoscrizione, bisogna osservare che tale forma di pubblicità – oltre a non essere contemplata esplicitamente sotto pena di inefficacia o di nullità – deve considerarsi legittimamente surrogabile con altra forma che garantisca ugualmente ed idoneamente la stessa conoscibilità delle ordinanze compartimentali marittime. E, nella fattispecie, tale manifestazione di pubblicità dell’ordinanza violata attraverso la consumazione della condotta illecita ascritta al G. si può considerare certamente assolta mediante la sua pubblicazione – riscontrata come avvenuta dalla Corte territoriale – sullo specifico sito internet dell’Ufficio dell’autorità emanante (cfr., in via interpretativa, per l’avallo di tale conclusione, Cass. n. 13730/2010), non mancando, peraltro, di rilevare che l’ordinanza era stata anche comunicata a tutti gli enti e a gli organi interessati.

8.7. Il settimo ed ultimo motivo è inammissibile perchè con esso non risulta specificamente chiarito in che cosa sarebbe consistita la violazione dei parametri tariffari nè emerge per quali attività e con riferimento a quali fasce la liquidazione dei compensi sarebbe stata esorbitante.

Al riguardo la precedente e condivisibile giurisprudenza di questa Corte ha puntualizzato che, in tema di spese processuali, deve essere dichiarato, per l’appunto, inammissibile il motivo del ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale per l’importanza del giudizio presupposto e per la complessità delle questioni giuridiche trattate, atteso che, in applicazione del principio di autosufficienza, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci della tabella degli onorari e dei diritti che si ritengono violate.

9. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni spiegate, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento dei compensi e spese del presente giudizio nei sensi indicati in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dei compensi del presente giudizio, liquidati in Euro 1.400,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione civile, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

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