Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20532 del 03/08/2018


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Civile Sent. Sez. U Num. 20532 Anno 2018
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: VINCENTI ENZO

SENTENZA
sul ricorso 920-2017 proposto da:
ITALGEN S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E.Q. VISCONTI 99, presso lo
studio dell’avvocato ERNESTO CONTE, che la rappresenta e difende
unitamente agli avvocati ILARIA CONTE e MARIA SIMONETTA
STRANE() MOLLICA;
– ricorrente contro
REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente

pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 34, presso

Data pubblicazione: 03/08/2018

lo studio dell’avvocato CRISTIANO BOSIN, rappresentata e difesa
dall’avvocato MARCO CEDERLE;
– controricorrente avverso la sentenza n. 261/2016 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE
ACQUE PUBBLICHE, depositata il 12/08/2016.

17/07/2018 dal Consigliere ENZO VINCENTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale LUIGI
SALVATO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati Ernesto Conte, Maria Simonetta Straneo Mollica e
Cristiano Bosin per delega dell’avvocato Marco Cederle.
FATTI DI CAUSA
1. – La Italgen S.p.A., titolare della concessione di grande
derivazione ad uso idroelettrico dal fiume Adda per 60 anni a partire
dal 10 ottobre 1944 e prorogata sino al 31 dicembre 2010 dall’art.
12, settimo comma, del d.lgs. n. 79 del 1999, convenne in giudizio la
Regione Lombardia per sentir dichiarare, in via principale, il diritto al
rinnovo trentennale della concessione in forza della originaria
disposizione del citato art. 12, prima dell’abrogazione della stessa
disposizione, nonché, in via subordinata, sia il diritto alla proroga
decennale della concessione di cui al comma 485 della legge n. 266
del 2005, sia, infine, l’accertamento del diritto di esercitare in nome
proprio la derivazione d’acqua sino all’esito di una gara
legittimamente indetta ed espletata in base al comma

8-bis

dell’anzidetto art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999.
2. – Il ricorso fu respinto con sentenza del 12 gennaio 2015 del
Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche (TRAP) presso la Corte di
appello di Milano; decisione che l’Italgen S.p.A. impugnava in base a
tre motivi, che reiteravano le medesime ragioni a sostegno delle
domande proposte in primo grado (per poi rinunciare, in sede di

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Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

comparsa conclusionale, alla domanda subordinata di proroga
decennale della concessione), ulteriormente eccependo l’illegittimità
costituzionale dei commi 4, 5 e 11 dell’art. 53-bis della legge della
Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (introdotto dall’art. 14
delle legge regionale n. 19 del 2010), per violazione dell’art. 117
Cost.

Superiore delle Acque Pubbliche (TSAP) rigettava il gravame.
3.1. – Il TSAP, anzitutto, escludeva che potesse trovare
applicazione l’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, nella sua originaria
formulazione, che prevedeva la proroga trentennale della concessione
– e ciò nonostante che Italgen S.p.A. avesse presentato durante la
vigenza di detta norma il progetto di ammodernamento e
potenziamento del proprio impianto idroelettrico -, in quanto, prima
dell’abrogazione di detta disposizione, intervenuta con la legge n. 266
del 2005, “non esistevano i principi per qualificare migliorativo il
programma presentato” dalla concessionaria.
Tali principi, a mente del comma 5, ultimo periodo, dello stesso
art. 12, avrebbero dovuto essere emanati dall’Autorità per l’energia
elettrica e non lo furono per l’intervento di una procedura di
infrazione da parte dell’Unione europea in ragione della previsione
legislativa, di carattere anticoncorrenziale, sulla preferenza accordata
al concessionario.
3.2. – Quanto poi alla questione di costituzionalità prospettata
dall’appellante, il TSAP osservava che la norma di cui al comma 4
dell’art. 53-bis della legge regionale n. 23 del 2006 (introdotto dalla
legge regionale n. 19 del 2010 e non investito da declaratoria di
incostituzionalità ad opera della sentenza n. 239 del 2001 del Giudice
delle leggi), riproduceva, nella sostanza, la disposizione dell’art. 15,
comma 6-ter,

lett. e), del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con

modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, sulla prosecuzione della

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3.- Con sentenza resa pubblica il 12 agosto 2016, il Tribunale

gestione della derivazione da parte del concessionario dal momento
della scadenza della concessione sino al subentro dell’aggiudicatario
della gara.
Anche quest’ultima disposizione non era stata ritenuta “in
contrasto con i principi costituzionali”, giacché la sentenza della Corte
costituzionale n. 205 del 2001 aveva dichiarato illegittimi il comma 6-

quest’ultimo, segnatamente, nella parte in cui prevedeva
l’applicazione delle lett.

b)

e

d)

sino all’adozione di diverse

disposizioni legislative da parte delle Regioni, per quanto di loro
competenza.
Sicché, concludeva il TSAP, la norma regionale, ponendo un
termine finale alla prosecuzione “in via di fatto” della concessione
scaduta, era in armonia con i principi di tutela della concorrenza e si
sottraeva al dubbio di legittimità costituzionale.
4. – Per la cassazione di tale decisione ricorre Italgen S.p.A.
sulla base di due motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la Regione Lombardia.
Il procuratore generale ha depositato, nel temine di cui all’art.
378 c.p.c., requisitoria scritta con cui ha concluso per il rigetto del
ricorso; conclusioni ribadite oralmente in udienza pubblica, ai sensi
dell’art. 379 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE

1. — Con il primo mezzo è dedotta violazione dell’art. 12 del
d.lgs. n. 79 del 1999, nella sua originaria formulazione, nonché
omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti.
Il TSAP avrebbe errato ad interpretare l’art. 12 del d.lgs. n. 79
del 1999, nella formulazione originaria, applicabile ad essa
concessionaria Italgen (per aver introdotto la domanda di proroga
trentennale della concessione prima dell’intervento abrogativo di cui

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ter, lett. b e d), nonché il comma 6-quater, dell’art. 15 citato,

al comma 483 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005), nel senso di
prevedere, per il rilascio della concessione al concessionario uscente,
in base al comma 3 della stessa disposizione, la pronunzia
dell’Autorità per l’energia elettrica, contemplata dal successivo
comma 5, sui requisiti organizzativi e finanziari e sui parametri di
aumento dell’energia prodotta e della potenza installata.

procedure di cui al comma 1 e allo stesso comma 5, ma non già per
la presentazione da parte del concessionario di “un proprio
programma per migliorare la produttività dell’impianto”, come
indicato dal comma 2.
Del resto, soggiunge la ricorrente, il “diverso trattamento
riservato al programma presentato dal concessionario uscente” era in
linea con la ratio legis (come, peraltro, confermato dall’apertura di
procedura di infrazione U.E. per la preferenza attribuita a detto
concessionario), che prevedeva l’intervento imparziale dell’Autorità
per l’energia solo in ragione dei programmi presentati da soggetti
terzi e in vista dell’indizione della gara pubblica, ma non rilevava per
il concessionario uscente, “il quale possedeva la necessaria struttura
finanziaria ed organizzativa”, nonché “era perfettamente a
consapevole delle esigenze dell’impianto idroelettrico da lui gestito”.
Inoltre, il TSAP avrebbe omesso di esaminare il fatto, decisivo e
discusso tra le parti, per cui, nella specie, “era stato presentato un
unico programma di miglioramento (quello del concessionario
uscente) e non vi era quindi necessità di procedere al confronto di
programmi alternativi tra loro”.
1.1. – Il motivo è infondato quanto alla dedotta violazione di
legge ed inammissibile in relazione al denunciato vizio di omesso
esame.
1.1.1. – L’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999 – nella formulazione,
applicabile ratione temporis alla presente controversia, precedente

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Ciò in quanto tale pronunzia si rendeva necessaria per le

alla modificazione ad opera del comma 483 della legge n. 206 del
2005 – stabilisce (per quanto rileva in questa sede), al comma 1, che
“ogni soggetto”, almeno cinque anni prima della scadenza della
concessione di grande derivazione d’acqua, possa, ove in possesso
degli “adeguati requisiti organizzativi e finanziari”, richiedere il rilascio
della medesima concessione “a condizione che presenti un

installata, nonché un programma di miglioramento e risanamento
ambientale del bacino idrografico di pertinenza”.
Il successivo comma 2 contempla, poi, l’ipotesi di “una o più
richieste” di concessione, che l’amministrazione è tenuta a notificare
al concessionario uscente, quale notifica con “valore di preavviso di
disdetta della concessione in scadenza”, da cui, per lo stesso
concessionario, scatta il termine per la presentazione di un proprio
programma di miglioramento della produttività dell’impianto, in
assenza della quale comunicazione si ha rinuncia al rinnovo della
concessione.
Appare evidente, in base alla lettera delle due disposizioni, che
il comma 1 ha riguardo alla domanda di concessione anche del
concessionario uscente, onerato, al pari di “ogni” (altro) “soggetto”,
della presentazione di un apposito programma migliorativo della
precedente concessione, mentre il comma 2 concerne l’ipotesi di una
domanda o di più domande di soggetti terzi rispetto al concessionario
uscente, da notificarsi a quest’ultimo; momento, questo, che segna
anche per il concessionario uscente l’insorgenza (non sussistente in
precedenza) dell’onere di presentare “un proprio programma” di
miglioramento della concessione.
Il comma 5 prevede, quindi, che (anche) per le “procedure di
cui al comma 1” l’Autorità per l’energia elettrica e il gas provveda a
determinare “i requisiti organizzativi e finanziari, i parametri di
aumento dell’energia prodotta e della potenza installata”.

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/1

programma di aumento dell’energia prodotta o della potenza

Requisiti che, del resto, coerentemente si impongono anche nei
confronti del concessionario uscente proprio per la necessità di
presentare un programma di miglioramento e a distanza di anni
dall’originario rilascio della concessione.
E’, dunque, corretta la decisione assunta dal TSAP, che ha
ritenuto applicabile la fattispecie di cui al comma 1 – essendo Italgen

concessionario uscente, l’unico soggetto ad aver presentato domanda
di rinnovo di concessione, con allegato progetto migliorativo -, con
conseguente necessità, ai fini della definizione della procedura di
rinnovo, della determinazione di criteri tecnici da parte dell’Autorità
per l’energia elettrica e il gas, incontestatamente mai emanati prima
che intervenisse l’abrogazione della previsione del rilascio di
concessione trentennale in favore del concessionario uscente (comma
3 del citato art. 12, abrogato dal comma 483 dell’art. 1 della legge n.
266 del 2005).
1.1.2. – Alla luce di quanto evidenziato risulta, poi,
inammissibile la censura che evoca il vizio di omesso esame, giacché
presuppone un’interpretazione della disciplina di riferimento diversa
da quella innanzi illustrata.
2. – Con il secondo mezzo è dedotta violazione dell’art. 8-bis
dell’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999 e dei commi 6-ter e 6-quater
dell’art. 15 del d.l. n. 78 del 2010 (convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 122 del 2010), nonché è riproposta l’eccezione di illegittimità
costituzionale dei commi 4, 5 e 11 dell’art. 53-bis della legge della
Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (introdotto dall’art. 14
delle legge regionale n. 19 del 2010).
La ricorrente dubita della conformità al parametro dell’art. 117,
secondo comma, lett.

e) e terzo comma, Cost., delle anzidette

disposizioni di legge regionale, nella parte in cui prevedono a carico
del concessionario uscente, in prosecuzione temporanea sino al 31

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S.p.A. (come dalla stessa società dedotto anche in questa sede),

dicembre 2017 (comma 4), il pagamento di un canone aggiuntivo e le
spese di manutenzione straordinaria (comma 5), contrastando con il
principio fondamentale della legislazione statale in materia di
produzione di energia (di cui al comma 8-bis del citato art. 12) che
stabilisce la prosecuzione del concessionario uscente nella gestione
della derivazione “alle stesse condizioni stabilite dalle normative e dal

valere la “clausola di cedevolezza”, di cui al comma 11 dell’art. 53-bis
della legge regionale n. 26 del 2003, “per legiferare in contrasto con i
principi fondamentali della legge statale in materia”.
Né la recente sentenza n. 101 del 2016 della Corte
costituzionale, che ha ritenuto conforme al citato comma 8-bis il
comma 4 della legge regionale, potrebbe essere invocata per
superare il dubbio di costituzionalità sul successivo comma 5, che ha
ad oggetto non già la prosecuzione temporanea della concessione, su
cui detta sentenza soltanto si è soffermata, bensì i canoni aggiuntivi e
le spese di manutenzione, gravanti in modo “nettamente” più oneroso
sul concessionario in prosecuzione, senza alcuna “valida
giustificazione, dal momento che in tale tempo l’esercizio della
derivazione non cambia per nulla, rispetto al precedente periodo
d’esercizio della concessione”, anche sotto il profilo dell’utilizzo, da
parte del concessionario uscente, dei beni di sua proprietà.
Inoltre, le disposizioni di legge regionale denunciate
contrasterebbero, ad avviso della ricorrente società, anche con l’art.
117, secondo comma, lett.

e),

Cost., violando le regole della

concorrenza, di competenza esclusiva statale, che imporrebbero “che
la disciplina temporanea delle concessioni scadute sia uniforme sul
territorio nazionale”, mentre la disciplina regionale lombarda impone
“a carico dei concessionari uscenti un trattamento senz’altro più
gravoso di quello in vigore nelle altre regioni italiane”.

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disciplinare di concessione vigenti”, non potendo la stessa Regione far

2.1. – L’eccezione di illegittimità costituzionale, su cui incentra
l’intera articolazione del motivo, non è rilevante e comporta
l’inammissibilità del motivo stesso.
Ciò a prescindere, dunque, dalla stessa manifesta infondatezza
del prospettato dubbio di legittimità costituzionale alla luce delle
argomentazioni già spese, su questione identica dedotta dalla stessa

n. 8036 del 30 marzo 2018, non ravvisandosi, in base alle
argomentazioni esposte in ricorso e nella successiva memoria, ragioni
per mutare avviso, né per disporre un rinvio (come da istanza della
ricorrente, senza opposizione della Regione Lombardia) in attesa della
decisione della Corte costituzionale in ordine a questione di legittimità
costituzionale, sollevata in via principale, su norma analoga emanata,
però, da altra Regione.
2.2. – Va, difatti, osservato – anche alla stregua delle
condivisibili conclusioni del pubblico ministero – che la questione di
legittimità costituzionale attiene esclusivamente all’art. 53-bis, commi
5 e 5-bis, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, nella
parte in cui prevedono che il concessionario uscente, nel caso di
prosecuzione temporanea del rapporto, deve pagare un «canone
aggiuntivo» ed è tenuto a sopportare le spese di manutenzione
straordinaria.
Tuttavia, dalla sentenza impugnata risulta che Italgen S.p.A.,
con la terza domanda proposta al TRAP (la sola che rileva in relazione
alla questione in esame), aveva chiesto l’accertamento del suo diritto
“ad esercitare in nome proprio e alle stesse condizioni la derivazione
d’acqua sino al subentro dell’aggiudicatario”.
Tale domanda – sempre secondo quanto indicato da detta
sentenza – è stata respinta in primo grado con riferimento alla sola
questione della durata della proroga della concessione (p. 5 della
sentenza TSAP).

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Italgen S.p.A. in altra causa, da queste Sezioni Unite nella sentenza

L’appello della Italgen S.p.A. dinanzi al TSAP del capo della
sentenza di primo grado ha riguardato (alla luce della stessa sentenza
impugnata in questa sede: cfr. pp. 7/10), ancora una volta, solo
questioni di gestione temporanea della concessione e della sua
prosecuzione in via di fatto, ma non già concernenti il profilo del
“canone aggiuntivo”.

esplicitato puntualmente il contenuto del pertinente motivo di
gravame, fatto valere dinanzi al TSAP, non palesando, invero, nelle
pur scarne (e insufficienti) descrizioni delle ragioni di appello, che
questo attenesse, proprio e specificatamente, alla problematica del
canone aggiuntivo.
Ne deriva che era onere della stessa società ricorrente dare
idonea e intelligibile contezza del contenuto specifico della domanda e
del motivo di gravame (con relativa localizzazione processuale ai
sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c.), siccome pertinente
proprio ad una pretesa concernente la questione del pagamento del
canone (e non soltanto della proroga temporale della concessione).
In difetto di ciò si impone una statuizione di inammissibilità per
novità della censura (tra le tante, Cass., 13 giugno 2018, n. 15430).
3. – Il ricorso va, dunque, rigettato e la società ricorrente
condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come
liquidate in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento,
in favore della Regione controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in euro 7.000,00, per compensi, oltre alle
spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in
euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da

Ric. 2017 n. 00920 sez. SU – ud. 17-07-2018

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In ricorso (cfr., segnatamente, pp. 8, 9 e 19) non viene mai

parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis
del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezioni
Unite Civili della Corte suprema di Cassazione, il 17 luglio 2018.

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Il Presidente

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Il Consiglier

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