Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20531 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. II, 29/09/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 29/09/2020), n.20531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4986/2016 proposto da:

G.G., G.V., V.R., elettivamente

domiciliati in Roma, via F. Confalonieri 1, presso lo studio

dell’avvocato Carlo Cipriani, rappresentati e difesi dall’avvocato

Giuseppe Romito;

– ricorrenti –

contro

COMPAGNIA DI COMUNICAZIONE in liquidazione S.p.a, (società

incorporante la Libreria Università e Professioni S.r.l. già F.lli

L. S.r.l., già L. e La. S.r.l.);

– intimata –

avverso la sentenza n. 2/2015 della Corte d’appello di Bari,

depositata il 08/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

– la società L. e La. S.r.l. chiamava in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari V.R., in proprio e nella qualità genitore esercente la responsabilità genitoriale in via esclusiva sui minori G.G. e G.V., tutti nella qualità di eredi di G.A.;

– esponeva che il de cuius si era obbligato, con contratto preliminare, a trasferire alla società attrice la proprietà di un immobile in (OMISSIS);

– lamentava che il contratto definitivo di trasferimento non era stato stipulato, nonostante il decorso del termine previsto nel preliminare;

– chiedeva, quindi, l’esecuzione in forma specifica del contratto, con la condanna dei convenuti al pagamento della penale, dei danni e delle spese;

– il tribunale dichiarava la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della parte promittente venditrice e condannava i convenuti al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di Euro 53.711,52 a titolo di restituzione del prezzo, con interessi legali al soddisfo, oltre al pagamento della somma di Euro 51.645,69 a titolo di penale, ponendo a loro carico le spese del giudizio;

– la Corte d’appello di Bari riconosceva che la V. aveva accettato l’eredità del de cuius con beneficio di inventario, per sè e per i figli minori, e che, essendo valida tale accettazione, non era più ammissibile la possibilità di una successiva rinuncia;

– da ciò conseguiva che tutti gli appellanti dovevano ritenersi accettanti con beneficio di inventario l’eredità di G.A.;

– la Corte d’appello rigettava l’appello e condannava gli appellanti al pagamento delle ulteriori spese del grado;

– per la cassazione della sentenza V.R., G.G. e G.V. hanno proposto ricorso, affidato a cinque motivi;

– la Compagnia di Comunicazione S.p.A. è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– i ricorrenti hanno precisato che la società intimata è stata cancellata dal registro delle imprese il 16 aprile 2015 e, conseguentemente, essi hanno notificato il ricorso per cassazione al procuratore costituito in grado d’appello;

– tale modo di procedere deve ritenersi coretto, alla luce del principio di ultrattività del mandato riconosciuto dalla Sezioni Unite con la sentenza n. 15295 del 2014;

– “la cancellazione della società dal registro delle imprese dà luogo a un fenomeno estintivo che priva la stessa della capacità di stare in giudizio, costituendo un evento interruttivo la cui rilevanza processuale è peraltro subordinata, ove la parte sia costituita a mezzo di procuratore, stante la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, dalla dichiarazione in udienza ovvero dalla notificazione dell’evento alle altre parti; a tale principio consegue che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della società cancellata; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione – ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale – in rappresentanza della società; c) è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso detto procuratore, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c., da parte del notificante” (Cass. n. 30341/2018);

– la ritualità della notificazione presso il procuratore rende irrilevante il tentativo di notificazione ai soci, collettivamente e impersonalmente, presso l’ultima sede sociale e la notificazione nei confronti del liquidatore;

– il primo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c.;

– la corte d’appello, in accoglimento di specifica censura, ha riconosciuto che gli appellanti, attuali ricorrenti, erano eredi beneficiati del de cuius G.A., ma poi non ha tratto le implicazioni che derivavano da tale riconoscimento, confermando la statuizione di condanna emessa dal primo giudice a carico degli eredi, senza alcuna specificazione;

– il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 156 c.p.c.;

– si ripropone la medesima censura quale ragione di nullità della sentenza per insanabile contrasto fra motivazione e dispositivo;

– il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 511 c.c.;

– la sentenza impugnata è oggetto di censura nella parte in cui ha condannato gli eredi in proprio al pagamento delle spese processuali;

– i ricorrenti sostengono che il beneficio si estende anche alle spese del giudizio, ai sensi dell’art. 511 c.c.;

– il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 94 c.p.c.; nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione;

– la condanna degli eredi beneficiati in proprio al pagamento delle spese di lite è consentita solo in presenza di gravi motivi, che il giudice deve specificare nella sentenza;

– nulla di tutto questo nella sentenza impugnata, che condanna gli appellanti al pagamento delle spese in assenza di qualsiasi indicazione circa la sussistenza di ragioni tali da giustificare la relativa statuizione;

– il quinto motivo denuncia violazione degli artt. 112 e 336 c.p.c.;

– la fondatezza dell’appello in ordine alla qualità di eredi beneficiati degli appellanti imponeva alla Corte di merito di rivedere anche il regime delle spese del giudizio di primo grado, attenuandone l’onere o comunque attribuendo ad esso il regime appropriato derivante dal riconoscimento del beneficio di inventario;

– i motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono fondati;

– l’accettazione con beneficio di inventario determina la limitazione di responsabilità dell’erede per i debiti de cuius entro il valore dei beni ereditari (art. 490 c.c., comma 2, n. 2);

– l’erede, nonostante l’accettazione con beneficio d’inventario, diviene soggetto passivo delle obbligazioni cadute nella successione, anche se la sua responsabilità rimane limitata intra vires hereditatis, ed è pertanto proponibile nei suoi confronti una domanda di pagamento da parte di un creditore ereditario (Cass. n. 112/1964): insomma l’accettazione con beneficio di inventario limita al valore dei beni ricevuti la responsabilità dell’erede per i debiti ereditari, ma, ferma tale limitazione, non impedisce di per sè che i creditori ereditari agiscano direttamente contro di lui e su suoi beni (Cass. n. 1990/1973);

– la limitazione intra vires afferisce così alla sorte capitale come agli interessi e, per regola (come può desumersi dall’art. 94 c.p.c.), il beneficio si estende anche alle spese del giudizio (Cass. n. 3713/1977);

– costituisce principio pacifico nella giurisprudenza della Suprema Corte che l’erede, convenuto dal creditore del de cuius che faccia valere per intero la sua pretesa, se vuole contenere nei limiti del beneficio l’estensione e gli effetti della pronuncia giudiziale, deve far valere l’accettazione con beneficio di inventario nel giudizio di cognizione;

– in mancanza di tale accertamento, la pronuncia giudiziale costituisce un titolo non più contestabile in sede esecutiva (Cass. n. 7090/2015; n. 9158/2013; n. 23061/2015);

– si ritiene che l’accettazione con beneficio di inventario integri una eccezione in senso lato, liberamente invocabile nel giudizio d’appello e rilevabile dal giudice anche d’ufficio (Cass., S.U., n. 10531/2017);

– “a norma dell’art. 94 c.p.c., gli eredi beneficiati possono essere condannati personalmente alle spese processuali, riguardo a giudizi promossi con riferimento a rapporti già facenti capo al de cuius soltanto per gravi motivi che il giudice deve specificare nella sentenza; ed è, pertanto, illegittima la decisione che condanni al pagamento delle spese giudiziali gli eredi che, in quanto beneficiati, sarebbero tenuti anche all’obbligazione in parola intra vires, senza alcuna specificazione, e quindi personalmente, omettendo l’indicazione dei gravi motivi” (Cass. n. 1712/1981; conf. n. 852/1972);

– la sentenza impugnata non è in linea con tali principi;

– la corte d’appello riconosce; a) che la deduzione dell’accettazione beneficiata non integrava questione nuova, “insuscettibile di esame in questa sede, avendo il solo effetto di limitare la responsabilità dell’erede in caso di pronuncia di condanna”; b) che la V.R. aveva validamente accettato l’eredità del G. per sè e per i figli minori; c) che il chiamato, il quale abbia validamente accettato con beneficio di inventario, non può poi rinunciare all’eredità;

– riconosce ancora, in conseguenza di tali considerazioni, che “gli appellanti debbono ritenersi tutti accettanti con beneficio di inventario l’eredità di G.A.”;

– tuttavia la corte di merito, pur enunciando nel dispositivo la qualità di eredi beneficiati degli appellanti, rigetta poi tout court l’appello, mentre il riconoscimento di quella qualità non poteva ovviamente rimanere fine a sè stesso, ma imponeva la correlativa caratterizzazione della condanna già emessa in primo grado: quindi imponeva la riforma sul punto della sentenza, in accoglimento della specifica ragione di censura mossa contro di essa in grado d’appello (ritenuta ammissibile dalla corte di merito, in quanto non integrante “questione nuova”);

– questa Corte di legittimità ha precisato che “nell’ipotesi in cui vi sia insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo e la sentenza sia ancora impugnabile, prospettandosi la possibilità non tanto della sentenza inesistente (che radicherebbe nell’attore l’interesse all’impugnazione), quanto del passaggio in giudicato della pronunzia sulla base del dispositivo, interessata ad impugnare la decisione è unicamente la parte la cui domanda sia stata rigettata, la quale deve lamentare il vizio logico della sentenza costituito dalla mancanza di una motivazione idonea a sorreggerla” (Cass. n. 10747/2012);

– nello stesso tempo, il riconoscimento della qualità di eredi beneficiati degli appellanti, originariamente convenuti dal creditore del de cuius, avrebbe poi dovuto riflettersi anche sulla regolazione delle spese di lite, o attraverso l’estensione del beneficio anche alle spese o attraverso la enunciazione dei gravi motivi che giustificassero la condanna dell’erede in proprio ai sensi dell’art. 94, e ciò tanto per il primo grado quanto per il grado d’appello, c.p.c.;

– si precisa che i gravi motivi cui allude la norma dell’art. 94 cit. debbono “identificarsi dal giudice in modo specifico, per la loro concreta esistenza, nella trasgressione del dovere di lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c., ovvero nella mancanza della normale prudenza che caratterizza la responsabilità processuale aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., comma 2” (Cass. n. 20878/2010);

– la corte d’appello invece, da un lato rigetta, l’appello, confermando quindi in toto la sentenza di primo grado anche nella parte relativa alla condanna alle spese emessa dal primo giudice, dall’altro, condanna genericamente “gli appellanti, in solido” al pagamento delle spese del grado, senza fare menzione del beneficio e senza indicare alcuna ragione idonea a giustificare la loro responsabilità personale ai sensi dell’art. 94 c.p.c.;

– in conclusione, il ricorso va accolto e la causa rinviata alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame delle implicazioni del beneficio di inventario, riconosciuto in capo agli eredi di G.A., con riferimento ai profili sopra indicati e regolerà le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza; rinvia alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

 

 

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