Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20531 del 03/08/2018


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Civile Sent. Sez. U Num. 20531 Anno 2018
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso 5902-2017 proposto da:
VENTURI Ferdinando e VENTURI Paola, rappresentati e difesi
dall’Avvocato Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto in Roma,
piazza San Lorenzo in Lucina, n, 26 (studio legale Sticchi Damiani);
– ricorrenti contro
MARINO CONGEDO & C. s.a.s., rappresentata e difesa dall’Avvocato
Tommaso Millefiori, con domicilio eletto in Roma, via Cosseria, n. 2,
presso il dott. Alfredo Placidi;
– controricorrente e contro

Data pubblicazione: 03/08/2018

COMUNE di LEVERANO;
– intimato avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 3672/2016 in data 23
agosto 2016.

glio 2018 dal Consigliere Alberto Giusti;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Luigi
Salvato, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
uditi gli Avvocati Ugo De Luca, per delega dell’Avvocato Ernesto Sticchi Damiani, e Alessio Petretti, per delega dell’Avvocato Tommaso
Millefiori.

FATTI DI CAUSA
1. – Ferdinando Venturi e Paola Venturi – rispettivamente, usufruttuario e proprietaria di unità immobiliari a destinazione commerciale site nelle vicinanze del suolo interessato dall’intervento edilizio
della Marino Congedo & C. s.n.c., consistente nella ristrutturazione di
fabbricati esistenti per la realizzazione di una media struttura di vendita qualificata come M1 – hanno impugnato dinanzi al Tribunale
amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, il
permesso di costruire n. 6 del 16 gennaio 2015, rilasciato dal Comune
di Leverano alla società Marino Congedo, e gli atti a esso presupposti,

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 lu-

in particolare la deliberazione della Giunta municipale che consente la
sistemazione diretta, a scomputo, delle aree a destinazione F3, F4
parcheggi, F6, con approvazione del progetto presentato dalla stessa
società.
L’adito TAR, con sentenza in data 30 ottobre 2015, ha rigettato il
ricorso.

ot,

2. – Il Consiglio di Stato, con sentenza resa pubblica mediante
deposito in segreteria il 23 agosto 2016, ha rigettato l’appello dei
Venturi.
2.1. – Sotto un primo profilo, il Consiglio di Stato, a differenza di
quanto ritenuto dal Tribunale amministrativo regionale, ha revocato

in relazione alla carenza di interesse ad agire, in quanto nella fattispecie “non appare individuabile alcun effetto pregiudizievole riveniente specificamente dal provvedimento impugnato, che …, col richiamo mediato al criterio della

vicinitas, è

riferito non già

all’intervento edilizio in sé, sebbene all’eventuale e futura emanazione
di altro provvedimento, ossia l’autorizzazione commerciale, e quindi a
situazione di pregiudizio incerta e futura, non essendo stata nemmeno presentata l’istanza intesa al rilascio dell’autorizzazione”.
A prescindere da tale rilievo, il Consiglio di Stato ha ritenuto comunque infondato il gravame.
Il giudice amministrativo d’appello ha condiviso il rilievo del TAR
che nega la configurazione, nella specie, di un centro commerciale,
con conseguente infondatezza del motivo di gravame incentrato sulla
pretesa carenza di programmazione comunale in relazione alla qualificazione della struttura quale centro commerciale di vicinato. Invero,
secondo il Consiglio di Stato, l’unitarietà strutturale-architettonica con
specifica destinazione e la gestione unitaria di infrastrutture e servizi
costituiscono requisiti congiunti e non alternativi, e nella specie essi
non risultano sussistenti. Infatti, è carente l’elemento dell’unitarietà
della struttura architettonica, trattandosi di due distinti corpi di fabbrica, dei quali non è in alcun modo provata la destinazione specifica;
le infrastrutture rimangono separate, in quanto l’accesso ai due esercizi è distinto e autonomo; sono distinti i parcheggi pertinenziali.
D’altro canto – ha proseguito il giudice amministrativo d’appello – non

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in dubbio la stessa ammissibilità del ricorso proposto in primo grado,

essendo stata avviata alcuna attività commerciale, non è nemmeno
possibile sostenere che vi sia gestione unitaria dei servizi.
Il Consiglio di Stato ha poi osservato che l’art. 14 della legge regionale della Puglia 1° agosto 2003, n. 11, nel prevedere “il coordinamento tra la domanda di autorizzazione commerciale e la domanda

testualmente o successivamente al rilascio dell’autorizzazione commerciale”, “non implica … che il permesso di costruire finalizzato alla
ristrutturazione dell’immobile sia illegittimo se rilasciato prima
dell’autorizzazione commerciale, sebbene che sino a quando non intervenga quest’ultima all’immobile non possa essere impressa la specifica destinazione d’uso commerciale”. “L’eventuale difetto
dell’autorizzazione commerciale, inoltre, non determinerebbe
l’inutilizzabilità dell’immobile, che allo stato risulta essere oggetto di
una mera ristrutturazione conservativa. Si assisterebbe, tutt’al più, a
una mera mutazione di destinazione”.
Secondo il Consiglio di Stato, “l’assenza di atti di programmazione
commerciale comunale non può assumere rilievo preclusivo del rilascio del titolo edilizio, non potendo essa precludere nemmeno il rilascio dell’autorizzazione commerciale”, posto che, secondo la giurisprudenza amministrativa, “non può essere legittimamente negato
l’insediamento di nuove strutture di vendita, né l’ampliamento di
quelle esistenti, ove il diniego sia motivato unicamente sulla base della mancanza della fissazione dei criteri inerenti la programmazione locale”.
3. – Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato i Venturi hanno proposto ricorso, con atto notificato il 24 febbraio 2017,
sulla base di due motivi.
Ha resistito, con controricorso, la società Marino Congedo.
L’intimato Comune non ha svolto attività difensiva in questa sede.

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di rilascio del titolo edilizio, ovvero che quest’ultimo sia rilasciato con-

4. – Entrambe le parti – i ricorrenti e la società controricorrente hanno depositato memorie illustrative.
5. – Nel termine di cui all’art. 378 cod. proc. civ., il Procuratore
generale ha depositato una requisitoria scritta, nella quale sono illustrate le conclusioni di inammissibilità del ricorso, poi ribadite

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Preliminarmente, non determina sopravvenuta carenza di interesse in capo ai ricorrenti la circostanza – rappresentata dalla controricorrente società Marino Congedo nella memoria depositata in
prossimità dell’udienza – che nelle more del presente giudizio
l’impugnato permesso di costruire sarebbe decaduto di diritto, ex art.
15, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per non essere stato
in fatto né avviato né portato ad esecuzione (in quanto soppiantato per autodeterminazione della stessa titolare – da un successivo permesso di costruire, avente ad oggetto un diverso intervento di ristrutturazione edilizia).
L’incidenza della circostanza dedotta dalla controricorrente ai fini
della sopravvenuta carenza di interesse, infatti, potrebbe stabilirsi solo con accertamenti di fatto, preclusi in sede di legittimità; tanto più
che i ricorrenti, nell’evidenziare la permanenza del loro interesse alla
definizione del ricorso, hanno sottolineato che la Marino Congedo ha
bensì presentato una nuova istanza di permesso di costruire per il
medesimo sito interessato dai fatti di causa, ma ha contestualmente
fatto riserva di salvezza degli effetti del titolo edilizio oggetto di contestazione in questa sede.
Va al riguardo ribadito che la sopravvenuta carenza di interesse
della parte alla definizione del giudizio postula che siano accaduti nel
corso del giudizio fatti – nella specie non riscontrabili – tali da rendere
incontestato l’effettivo venir meno dell’interesse sottostante alla richiesta pronuncia (Cass., Sez. I, 7 maggio 2009, n. 10553).

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nell’udienza di discussione.

2. – Con il primo motivo (eccesso di potere giurisdizionale per
creazione di norme; violazione dei limiti esterni della giurisdizione
amministrativa) i ricorrenti si dolgono che il Consiglio di Stato,
nell’applicare l’art. 14, comma 2, della legge della Regione Puglia n.
11 del 2003, abbia ritenuto che la mancata contestualità ovvero la

lizio non sia motivo di illegittimità di quest’ultimo. Al contrario, secondo i ricorrenti la lettera della legge regionale non solo sarebbe
chiara, ma risponderebbe ad uno specifico interesse: con riferimento
alle medie e grandi strutture di vendita, il rilascio del titolo edilizio
avviene in maniera contestuale o successiva al rilascio
dell’autorizzazione commerciale. L’opzione di fondo effettuata dal legislatore regionale – si osserva – è stata, ragionevolmente, di considerare preliminare la verifica circa la sussistenza di regole interne al
mercato che, in qualche modo, possano precludere all’origine una determinata attività e, solo ove tale disamina si concluda nel senso della
insussistenza di specifici ostacoli, di ritenere possibile una valutazione
circa la “insediabilità” della struttura destinata a ricevere quelle determinate attività. L’intervento del Consiglio di Stato, nel caso di specie, si sarebbe rivelato del tutto creativo di una norma sconosciuta
all’ordinamento, ed anzi in contrasto con esso, e tracimante dalla
normale attività interpretativa. Ad avviso dei ricorrenti, l’operazione
creativa della norma non esaurirebbe il denunciato eccesso di giurisdizione, avendo condotto il Consiglio di Stato a ritenere insussistente
l’interesse dei Venturi ad impugnare il titolo edilizio in assenza del titolo commerciale. Se non si fosse sostituito al legislatore nel capovolgere il rapporto tra titolo edilizio e titolo commerciale, il giudice amministrativo avrebbe dovuto ritenere ammissibile il gravame, stante
l’evidente illegittimità di un permesso di costruire rilasciato in assenza
di valutazioni di tipo commerciale, essendo indiscutibile l’interesse di
un operatore commerciale ad impugnare un permesso di costruire

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mancata presupposizione del titolo commerciale rispetto al titolo edi-

una struttura inequivocamente destinata alla vendita senza che siano
state operate verifiche relative a profili commerciali. Del resto – sottolineano i ricorrenti – il capovolgimento procedimentale prodotto dalla interpretazione del Consiglio di Stato finirebbe con il precludere
ogni censura di tipo edilizio allorquando, adottata l’autorizzazione

sia già scaduto, in tal modo privandosi l’operatore commerciale di un
utile strumento processuale per contrastare attività concorrenziali,
comunque, illegittime.
Con il secondo mezzo i ricorrenti lamentano violazione dei limiti
esterni della giurisdizione amministrativa per esercizio di attività di
amministrazione attiva ed eccesso di potere giurisdizionale là dove la
sentenza impugnata ha affermato che “l’assenza di atti di programmazione comunale non può assumere rilievo preclusivo del rilascio del
titolo edilizio, non potendo essa precludere nemmeno il rilascio
dell’autorizzazione commerciale …: pertanto, non può essere legittimamente negato l’insediamento di nuove strutture di vendita, né
l’ampliamento di quelle esistenti, ove il diniego sia motivato unicamente sulla base della mancanza della fissazione di criteri inerenti la
programmazione locale”. Ad avviso dei ricorrenti, il Consiglio di Stato
si sarebbe pronunciato in merito alla possibilità di rilasciare il titolo
annonario, con ciò sostituendosi all’amministrazione rispetto alla cura
di un interesse pubblico non ancora esercitato. Sottolineano i ricorrenti che nell’ordinamento regionale pugliese esiste una serie di strutture (tra le quali si annoverano le medie strutture di vendita di tipo
M2 nei Comuni sopra i 10.000 abitanti e i centri commerciali, ivi compresi quelli di vicinato) la cui apertura risulta subordinata all’adozione
di atti di pianificazione commerciale, a livello comunale, che debbono
prevedere la compatibilità, sul fronte commerciale, di insediamenti di
tal genere. Il Consiglio di Stato, senza operare valutazioni concrete in
merito all’effettiva portata della previsione regolamentare che impo-

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commerciale, il termine per l’impugnativa del permesso di costruire

ne, per determinate strutture, la necessaria pianificazione, si sarebbe
sostituito al legislatore nel contemperamento di interessi tipicamente
politici, pervenendo a ritenere che il principio della libera concorrenza
debba prevalere, in assoluto, rispetto ad altri interessi di carattere
generale; inoltre, si sarebbe sostituito all’amministrazione
nell’anticipare un giudizio circa l’assentibilità dell’intervento sul ver-

sante commerciale. Vi sarebbe sostituzione operata dal giudice amministrativo anche rispetto alle attività tipiche di amministrazione attiva, giacché il Consiglio di Stato ha escluso che l’impugnato permesso di costruire riguardasse un centro commerciale, soggetto a pianificazione urbanistica, in ragione della mancata prova fornita, anche alla
luce del fatto che l’attività commerciale non era ancora stata avviata.
3. – I due motivi – da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono inammissibili.
3.1. – Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’eccesso di
potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore, denunciabile ai sensi dell’art. 111, ottavo comma,
Cost. e dell’art. 362 cod. proc. civ., è configurabile solo qualora il
Consiglio di Stato abbia applicato, non la norma esistente, ma una
norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa
che non gli compete. L’ipotesi non ricorre quando il giudice amministrativo si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se
questa abbia desunto, non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, tale operazione ermeneutica potendo dar luogo, tutt’al più, ad un error
in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione
del giudice speciale (Cass., Sez. U., 10 febbraio 2016, n. 1840; Cass.,
Sez. U., 21 marzo 2017, n. 7157; Cass., Sez. U., 27 marzo 2017, n.
7758; Cass., Sez. U., 10 aprile 2017, n. 9147; Cass., Sez. U., 20
aprile 2017, n. 9967; Cass., Sez. U., 4 luglio 2017, n. 16417; Cass.,

Lit

Sez. U., 24 luglio 2017, n. 18175; Cass., Sez. U., 5 giugno 2018, n.
14437; Cass., Sez. U., 27 giugno 2018, n. 16957; Cass., Sez. U., 27
giugno 2018, n. 16974).
3.2. – Nella specie il Consiglio di Stato si è limitato a interpretare
l’art. 14, comma 2, della legge della Regione Puglia n. 11 del 2003, il

rizzazione commerciale, prevede che «[11 rilascio del titolo edilizio
avviene in maniera contestuale o successiva al rilascio
dell’autorizzazione commerciale».
Procedendo ad una lettura sistematica e complessiva di tale disposizione, il giudice amministrativo d’appello ha rilevato che il permesso di costruire finalizzato alla ristrutturazione dell’immobile non è
illegittimo se rilasciato prima dell’autorizzazione annonaria, in quanto
la correlazione comporta soltanto che, sino all’intervento di detta autorizzazione, all’immobile (nel caso di specie oggetto di una mera ristrutturazione conservativa) non possa essere impressa la specifica
destinazione d’uso commerciale.
Il principio affermato dal Consiglio di Stato è frutto di un’attività
ermeneutica tutta interna al raggio di azione assegnato al giudice
amministrativo: come tale, esso non concretizza l’assunta violazione
dei limiti esterni della giurisdizione per invasione della competenza
legislativa.
Allo stesso modo, il Consiglio di Stato ha svolto un’attività di interpretazione della disciplina applicabile allorché – ricostruendo la
portata degli artt. 6 e 8 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (costituenti
le norme base della pianificazione regionale e comunale in materia di
commercio) alla luce del principio di libertà di iniziativa economica
privata contenuto nell’art. 41 Cost. – ha escluso, secondo la propria
precedente giurisprudenza, che la mancanza della programmazione
commerciale locale sia di per sé preclusiva del rilascio, oltre che del
titolo edilizio, dell’autorizzazione annonaria per l’insediamento o

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quale, nel disciplinare la correlazione tra concessione edilizia e auto-

l’ampliamento di una struttura di vendita.
Non spetta a questa Corte sindacare l’esattezza o meno
dell’interpretazione seguita dal Consiglio di Stato nell’impugnata sentenza e quindi prendere posizione sulla preferibilità della diversa lettura propugnata dai ricorrenti, secondo cui la disciplina regionale, da

sottolineando la necessità che il rilascio del titolo edilizio sia contestuale ovvero sfalsato con previa adozione di quello commerciale, e,
dall’altro lato, avrebbe, in particolare con la normativa regolamentare
di settore, subordinato l’apertura di una serie di strutture di vendita
all’adozione di atti di pianificazione commerciale a livello comunale,
stabilendo il principio della necessaria previa pianificazione commerciale.
Invero, un controllo di questa portata, sollecitato dai ricorrenti
sotto la formale deduzione del motivo inerente alla giurisdizione, eccede dall’ambito del sindacato delle Sezioni Unite, che – fatto salvo il
caso dell’applicazione di una norma creata ad hoc – non si estende al
modo in cui la giurisdizione del giudice amministrativo è stata esercitata e non include, pertanto, una verifica delle scelte ermeneutiche
del Consiglio di Stato suscettibili di comportare errores in iudicando
(Cass., Sez. U., 27 giugno 2018, n. 16973; Cass. Sez. U., 11 luglio
2018, n. 18239). Invero, come è stato di recente ribadito (Cass., Sez.
U., 27 giugno 2018, n. 16974, cit.), è erroneo l’assunto secondo cui
la mancata o inesatta applicazione di norme di legge determinerebbe
la creazione di una norma inesistente e, quindi, l’invasione della sfera
di attribuzioni del potere legislativo, giacché il controllo sulla giurisdizione non è in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e
semplici violazioni di legge da parte del giudice speciale.
3.3. – Non essendo configurabile la denunciata operazione creativa della norma escludente la necessaria contestualità tra titolo edilizio
e titolo annonario, cade la premessa del motivo rivolto a censurare, in

– 10 –

un lato, avrebbe, con il citato art. 14, collegato i due procedimenti,

via derivata, la ricaduta processuale, in termini di carenza di interesse
ad agire, della interpretazione accolta dal Consiglio di Stato: e ciò
tanto più ove si consideri che, nella complessiva motivazione della
sentenza impugnata, la ritenuta insussistenza dell’interesse dei Venturi ad impugnare il titolo edilizio in assenza del titolo commerciale, è

so diverso rispetto a quanto opinato dal giudice amministrativo salentino, che non ha impedito allo stesso Consiglio di Stato di esaminare
nel merito il proposto gravame (come è reso palese dall’incipit del
punto 4.2: “In disparte i rilievi che precedono, l’appello risulta comunque infondato”).
E’ in ogni caso assorbente considerare che la mancanza di una
condizione dell’azione, quale l’interesse ad agire, rilevata dal giudice
amministrativo e posta a fondamento della pronuncia di rigetto, attiene ai vizi dei requisiti intrinseci alla domanda e rientra, pertanto,
nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione, sicché è inammissibile
il ricorso per cassazione che prospetti tale vizio sotto il diverso profilo
del difetto di giurisdizione, non trattandosi di una questione di superamento dei limiti esterni della giurisdizione, né potendosi configurare
un rifiuto della stessa da parte del giudice amministrativo (Cass., Sez.
U., 14 gennaio 2015, n. 475; Cass., Sez. U., 27 giugno 2018, n.
16974, cit.).
3.4. – Quanto al lamentato eccesso di potere giurisdizionale per
usurpazione della funzione amministrativa, esso si realizza, secondo
la costante giurisprudenza di questa Corte regolatrice (Cass., Sez. U.,
22 dicembre 2003, n. 19664; Cass., Sez. U., 21 dicembre 2005, n.
28263; Cass., Sez. U., 28 aprile 2011, n. 9443; Cass., Sez. U., 6 giugno 2018, n. 14648; Cass., Sez. U., 11 luglio 2018, n. 18240), quando il giudice amministrativo, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, riservata alla pubblica amministrazione, compia una diretta e

frutto di un obiter dictum, affidato alla mera enunciazione di un avvi-

concreta valutazione dell’opportunità e della convenienza dell’atto,
ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula
dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, così esercitando una giurisdizione
di merito in situazioni che avrebbe potuto dare ingresso soltanto a

Nulla di tutto questo è avvenuto nella specie, giacché, relativamente alla questione dell’assentibilità dell’autorizzazione commerciale, il Consiglio di Stato non ha espresso alcuna valutazione di merito
sostitutiva di quella del Comune, né è pervenuto a creare un effetto
conformativo con riferimento a poteri non ancora esercitati (il rilascio,
appunto, dell’autorizzazione commerciale), ma si è limitato a escludere, al riguardo, l’asserita propedeuticità della programmazione commerciale dell’ente locale.
Alla stessa conclusione deve pervenirsi con riguardo alla censura
con cui si lamenta che il Consiglio di Stato abbia escluso che
l’impugnato permesso di costruire riguardasse un centro commerciale, soggetto a pianificazione commerciale: come puntualmente sottolineato dal pubblico ministero nella requisitoria scritta depositata in
prossimità dell’udienza, tale doglianza investe “l’apprezzamento di
fatto …, ovviamente qui insindacabile”, e “involge l’accertamento dei
presupposti di applicabilità delle norme, con operazione che è tipica
dell’esercizio dell’attività giurisdizionale e non ha comportato una decisione sulla base di valutazioni di opportunità riservate
all’amministrazione”.
4. – Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo,
seguono la soccombenza.
5. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per
dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del

una giurisdizione di legittimità.

2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di
cui al d.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.

loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi euro 5.200, di cui euro 5.000 per
compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 17 luglio 2018.
Il Consigliere estensore
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Il Presidente
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dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in solido tra

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