Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20529 del 30/08/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/08/2017, (ud. 29/03/2017, dep.30/08/2017),  n. 20529

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29034-2012 proposto da:

V.I., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MICHELE MERCATI 51, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

ANTONINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI

VERZOTTO;

– ricorrente –

contro

V.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE LIEGI 35/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO COLAGRANDE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO

MAZZAROLLI;

– controricorrente –

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 852/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 14/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato LUIGI VERZOTTO, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del

ricorso incidentale;

udito l’Avvocato FRANCESCO MAZZAROLLI, difensore del

controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e

l’accoglimento del ricorso incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e

per l’accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 12459 del 7.7.2004 questa Corte cassava la pronuncia della corte d’Appello di Venezia che, confermando la decisione del giudice di primo grado, aveva rigettato la domanda proposta dal sig. V.G. avverso il sig. V.I., avente ad oggetto la demolizione del manufatto da quest’ultimo costruito al confine con un fondo di proprietà dell’attore, in (OMISSIS), in asserita violazione delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore comunale, nonchè il risarcimento dei danni sofferti a causa della illegittima costruzione.

In detta sentenza n. 12459/04 la Corte di cassazione, dopo aver ricordato i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla nozione normativa di costruzione e con riferimento alle caratteristiche che un muro deve avere per poter essere qualificato come muro di cinta, rilevava che la corte d’appello – constatato che l’opera in contestazione era costituita da un muro sul confine, da un secondo muro che correva a ridosso del primo all’interno del fondo del convenuto e da un platea di cemento che collegava i due muri – avrebbe dovuto valutare nel complesso i tre manufatti (primo muro, secondo muro e platea di cemento che li collegava) al fine di stabilire se, tenuto conto della funzione svolta dall’intero compendio, in esso potesse ravvisarsi una costruzione per la quale vi fosse obbligo di rispetto delle distanze stabilite dall’art. 873 c.c. o dai regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica. La Cassazione conseguentemente rinviava la causa alla corte d’appello di Bologna per la prosecuzione del giudizio, poi tempestivamente riassunto dal sig. V.G..

In sede di rinvio la corte territoriale – dopo aver qualificato il manufatto realizzato dal convenuto quale costruzione – ha ritenuto di dover disapplicare le Norme Tecniche di Attuazione del PRG, frattanto entrate in vigore, alla cui stregua, ai fini delle distanze dal confine, dovevano essere considerate solo le costruzioni coperte che comportasse una volumetria (art. 4, nn. 5, 9 e 12 NTA) e, ai fini delle distanze tra costruzioni, non potevano essere considerate le pertinenze non abitabili di altezza inferiore a tre metri (art. 15, n. 2 NTA).

Al riguardo la corte territoriale ha argomentato che le norme locali non possono fornire una nozione loro propria del concetto di costruzione, trattandosi di concetto fissato dalla legge statale, cosicchè le menzionate Norme Tecniche di Attuazione non impedivano di giudicare illegittimo il manufatto in questione, in quanto costruzione edificata a distanza inferiore a quella stabilita nell’art. 873 c.c.. Sulla scorta di tali rilievi la corte bolognese ha ordinato l’arretramento dell’intero manufatto fino alla distanza di tre metri dal confine, altresì condannando V.I. al risarcimento in favore dell’attore dei danni derivati dalla presenza della costruzione, equitativamente liquidati nella misura di 5.000 Euro.

Avverso la sentenza emesse dalla corte felsinea quale giudice di rinvio V.I. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.

V.G. ha resistito con controricorso ed ha altresì proposto ricorso incidentale sulla scorta di un motivo.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 29.3.17, per la quale solo il ricorrente ha depositato memoria e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo del ricorso principale si denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, nella parte in cui la Corte d’appello ha disapplicando le NTA del (OMISSIS) affermando che “le norme regolamentari dei Comuni possono stabilire distanze maggiori di quelle previste dal codice ma non possono definire le caratteristiche delle costruzioni che vi sono soggette” (pag. 11, ultimo cpv, della sentenza gravata). Secondo il ricorrente i regolamenti locali avrebbero, al contrario di quanto affermato nella sentenza impugnata, la possibilità di stabilire distanze dai confini differenziate in relazione a diverse tipologie di costruzione, fermo restando il necessario rispetto della distanza di tre metri tra costruzioni fissata dall’articolo 873 c.c. Col secondo motivo del ricorso principale si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 15 n. 2 delle NTA del (OMISSIS). Al riguardo il ricorrente argomenta che, nella vicenda in esame, non sarebbero in questione le norme sulle distanze tra edifici ma solo quelle che stabiliscono una distanza minima dal confine, dal momento che il fondo dell’attore, V.G., è del tutto inedificato. La lettura congiunta delle disposizioni regolamentari di cui si lamenta la violazione, d’altra parte, renderebbe palese, secondo il ricorrente, per un verso, che il limite della distanza minima di cinque metri dal confine riguarderebbe le sole costruzioni coperte e, per altro verso, che la disciplina regolamentare del (OMISSIS) recepirebbe il principio di prevenzione, risultando il medesimo evidentemente presupposto dal riferimento alle costruzioni in aderenza contenuto nell’art. 15, n. 4, NTA.

Col terzo motivo del ricorso principale si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 872 e 873 c.c. in cui la corte d’appello sarebbe incorsa affermando che il manufatto in questione è stato “costruito in violazione, quantomeno, della distanza di tre metri stabilita dall’art. 873 c.c.” e, per l’effetto, condannato il convenuto “alla riduzione in pristino…fino alla distanza di tre metri dallo stesso confine dell’attore”, nonchè illogica e contraddittoria motivazione sul punto ex art. 360 c.p.c., n. 5.

La corte bolognese, dopo aver disapplicato le NTA del comune di Santa Giustina del Colle, avrebbe commesso l’errore di ritenere applicabile alla fattispecie il limite di metri tre di cui all’art. 873 c.c., ancorchè quest’ultimo si riferisca alla distanza tra costruzioni presenti su fondi finitimi e non alla distanza dai confini.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale V.G. lamenta anch’egli la violazione e falsa applicazione degli artt. 872 e 873 c.c., nonchè dell’art. 15.4 delle NTA del PRG del (OMISSIS), in quanto la corte territoriale, applicando erroneamente gli articoli citati, ha condannato l’odierno ricorrente all’arretramento della costruzione per cui è causa fino a metri tre dal confine, anzichè alla maggior distanza di metri cinque prevista dalle suddette NTA.

I tre motivi del ricorso principale propongono in realtà tutti la medesima censura, declinata nel primo motivo come vizio motivazionale, nel secondo motivo come vizio di violazione di legge riferito alle disposizioni regolamentari locali e nel terzo motivo come vizio di violazione di legge riferito agli artt. 872 e 873 c.c. (oltre che, nuovamente, come vizio motivazionale). Tale doglianza va giudicata fondata, perchè tutta l’impostazione della sentenza impugnata parte dall’erroneo presupposto che la misura di tre metri indicata nell’art. 873 c.c. riguardi la distanza tra una costruzione ed il confine del fondo e non, come invece è, la distanza tra costruzioni su fondi confinanti. Muovendo da tale falsa premessa la corte felsinea ha fatto erronea applicazione del principio (di per sè corretto) che la nozione di costruzione, derivando dalla legislazione statale, non può essere modificata dalle norme locali, in quanto ha ritenuto che, in forza di tale principio, i regolamenti locali non potrebbero stabilire distanze dal confine differenziate in relazione a diverse tipologie di manufatti. Al contrario, come questa Sezione ha chiarito nella sentenza n. 19554/09, va giudicata legittima la previsione di un regolamento comunale la quale, senza in alcun modo violare il limite della distanza minima tra costruzioni previsto dall’art. 873 c.c., preveda distanze differenziate in relazione a ciascuna tipologia di costruzione; e tale principio opera tanto nell’ipotesi in cui il regolamento locale fissi una distanza minima tra costruzioni maggiore di tre metri, quanto nell’ipotesi in cui il regolamento locale fissi una distanza minima tra costruzione e confine.

Fuorviata dai rilevati errori di diritto, la corte d’appello ha fatto applicazione della disposizione delle NTA che fissano una distanza delle costruzioni dal confine di almeno cinque metri (art. 15 n. 4, primo comma), disapplicando le disposizioni delle stesse NTA che limitano l’operatività di tale disposizione alle costruzioni coperte (art. 4.12, che definisce la distanza dai confini come quella “minima, misurata in proiezione orizzontale, del punto più sporgente del perimetro della superficie coperta ai confini di proprietà”).

Detta disapplicazione è erronea, perche postula che le disposizioni delle NTA che derogano alla disciplina della distanza delle costruzioni dal confine dettata dalle stesse NTA si pongano in contrasto con il disposto inderogabile dell’art. 873 c.c., il quale invece, si ripete, fissa la distanze minima tra fabbricati e non quella dei fabbricati dal confine.

Per le ragioni esposte deve accogliersi il ricorso principale e, al contempo, rigettarsi il ricorso incidentale; quest’ultimo, infatti, si fonda sull’erroneo presupposto dell’applicabilità, nella fattispecie, di una distanza minima delle costruzioni di cinque metri dal confine che non trova risconto nè nella disciplina regolamentare, che, come si è visto, regola la distanza delle costruzioni dal confine solo con riferimento alle costruzioni che presentino superfici coperte, nè nel codice civile, che, come si è visto, disciplina solo la distanza tra costruzioni su fondi finitimi.

In definitiva si deve accogliere il ricorso principale e rigettare il ricorso incidentale; la sentenza gravata va conseguentemente cassata con rinvio alla corte d’appello di Bologna, che si atterrà al principio che i regolamenti locali possono stabilire distanze dal confine differenziate in relazione a diverse tipologie di manufatti, fermi restando i limiti alla distanza minima fra costruzioni dettati dal codice civile e dal decreto ministeriale 2.4.1968 n. 1444.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta l’incidentale e cassa la sentenza gravata; rinvia ad altra sezione della corte di appello di Bologna, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2017

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