Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20528 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. II, 29/09/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 29/09/2020), n.20528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 6214/16) proposto da:

C.BE.N.E.S. di I.G. & C. S.N.C., IN LIQUIDAZIONE, (P.I.:

(OMISSIS)), in persona del liquidatore, rappresentata e difesa, in

virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Mauro

Iob, e domiciliata “ex lege” presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione, in Roma, p.zza Cavour;

– ricorrente –

contro

M.C., (nella qualità di ex titolare della ditta

individuale L’Agricola Dosso Badino, nonchè quale socio

amministratore della Dosso Badino di C. e A.M.

società agricola s.s.), M.A. (in proprio e quale

socia della Dosso Badino di C. e A.M. società

agricola s.s.) e SOCIETA’ DOSSO BADINO di C. e

A.M. società agricola s.s., tutte rappresentate e difese, in virtù

di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Elisa

Ravarini, e Franca Acciardi, ed elettivamente domiciliate presso lo

studio della seconda, in Roma, v. G. Nicotera, n. 29;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Trento n. 299/2015,

depositata il 9 settembre 2015 (non notificata);

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13

febbraio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per

l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. Ariella Cozzi, (per delega), nell’interesse delle

controricorrenti.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, emesso per l’importo di Euro 30.550,00, M.A., M.C. e l’Azienda agricola Dosso Badino di C. e A.M., convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Trento la C.BE.N.E.S. di I.L. & c., al fine di ottenere la revoca del provvedimento monitorio, deducendo che l’intero credito era stato pagato in parte a mezzo assegni (che venivano ritualmente prodotti), in parte in contanti e, per altra parte, mediante la consegna di bestiame (come da fatture pure versate in atti).

Nella costituzione della società opposta, l’adito Tribunale, respinta l’eccezione pregiudiziale di incompetenza per territorio, accoglieva parzialmente l’opposizione, ovvero riconoscendo l’imputabilità al credito dedotto in causa dei soli acconti corrisposti in danaro, e rigettava – siccome tardiva e, comunque, infondata – l’eccezione di prescrizione del credito per il resto; revocava, per l’effetto, il decreto monitorio impugnato e rideterminava la somma dovuta in favore dell’opposta nella misura di Euro 25.710,00 (oltre accessori), al cui pagamento erano, perciò, condannate le parti opponenti.

2. Queste ultime formulavano appello avverso la citata sentenza di primo grado e, nella costituzione della società appellata, la Corte di appello di Trento, con sentenza n. 299/2015 (depositata il 9 settembre 2015), accoglieva in parte il gravame e, perciò, in parziale riforma della decisione di prime cure, condannava le parti appellanti al pagamento, in favore della C.BE.N.E.S. di I.L. & c., della minor somma di Euro 18.495,30, oltre interessi con decorrenza e computati nel senso di cui all’impugnata sentenza, regolando le complessive spese di entrambi i gradi di giudizio.

A fondamento dell’adottata decisione la Corte trentina rilevava che, dagli elementi scaturiti dall’esperita istruzione probatoria, era emerso che – già dedotti i pagamenti in contanti come individuati dal giudice di prima istanza un’ulteriore somma di Euro 7.214,70 era da imputarsi ad acconti relativi al credito in contestazione, così pervenendosi all’accertamento di quest’ultimo nel precisato importo di Euro 18.495,30.

3. Avverso la menzionata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, la C.BE.N.E.S. di I.G. & c. s.n.c. in liquidazione (già C.BE.N.E.S. di I.L. & c. s.n.c.), al quale hanno resistito con un unico controricorso le intimate M.A., M.C. e l’Azienda agricola Dosso Badino di C. e A.M..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’asserita formazione del giudicato interno riconducibile alla sentenza di primo grado nella parte in cui era stata riconosciuta l’imputazione della somma di Euro 6.442,20 al pagamento degli interessi maturati sul precedente capitale corrisposto, con conseguente configurazione del vizio di ultrapetizione dell’impugnata sentenza.

1.2. Con la seconda censura la ricorrente ha prospettato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti nonchè il vizio di motivazione inesistente o carente e contraddittoria con riguardo al profilo concernente la mancata imputazione indicata nel primo motivo e già ritenuta, invece, come sussistente con la sentenza di primo grado.

1.3. Con la terza doglianza la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 342 c.p.c., in ordine all’assunta mancanza di specificità dell’atto di appello di parte avversa con riguardo, in particolare, alla questione dell’imputazione richiamata nei precedenti due motivi.

1.4. Con il quarto motivo la ricorrente ha denunciato la violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 329 c.p.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c., congiuntamente all’omesso esame di un fatto decisivo che era stato oggetto di discussione tra le parti, oltre al vizio di motivazione inesistente o carente e contraddittoria e alla violazione dell’art. 342 c.p.c., con riferimento al profilo del mancato riconoscimento della parte di credito relativa alle “spese insolute”.

1.5. Con il quinto motivo la ricorrente ha dedotto un complessivo vizio identico a quello già denunciato con il precedente motivo sempre con riferimento alla imputazione del contestato importo già indicato con le precedenti censure.

1.6. Con il sesto ed ultimo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. e segg., oltre al vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione avuto riguardo all’asserita illegittimità della disposta compensazione per metà delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

2. Rileva il collegio che, da un punto di vista logico-giuridico, deve essere esaminata preliminarmente la terza censura proposta dalla ricorrente siccome attinente ad un supposto vizio processuale dell’atto di appello formulato dalle attuali parti controricorrenti che – ove ritenuto sussistente – sarebbe assorbente dell’esame di tutti gli altri motivi.

Detto motivo è, però, inammissibile perchè privo di specificità.

Infatti, la ricorrente, nel prospettare la menzionata violazione riferita all’avverso atto di appello, ha omesso di riportarne sufficientemente il contenuto, così non consentendo di appurare la prospettata mancata conformazione di tale atto al disposto dell’art. 342 c.p.c..

In particolare, la C.BE.N.E.S. di I.G. & c. s.n.c. in liquidazione si è limitata a dedurre genericamente che nel citato atto di appello difettassero le indicazioni delle circostanze dalle quali desumere le violazioni di legge e la loro rilevanza ai fini della decisione in secondo grado, ma senza riprodurre adeguatamente – come sarebbe stato necessario – il contenuto dei motivi di gravame, onde verificare a legittimità o meno della pronuncia del giudice di appello, con la quale è stata invece rilevata, in via pregiudiziale, la specificità di tali motivi.

3. Riprendendo l’esame dei motivi nell’ordine in cui sono stati formulati, ritiene il collegio che anche la prima doglianza debba essere dichiarata inammissibile siccome sprovvista di specificità, dal momento che l’eccezione di giudicato interno non risulta corredata della indispensabile illustrazione delle ragioni su cui è stata basata.

Ed invero, la ricorrente – pur sostenendo che, benchè il credito per interessi fosse stato dedotto ed accertato dal Tribunale in primo grado, senza che le controparti ne avessero contestato la debenza e avessero avanzato specificamente appello sul punto – ha ancora una volta omesso di riportare con sufficiente precisione il contenuto delle difese avanzate dalle controparti in primo grado e quello dedotto con i motivi formulati a sostegno dell’appello, così non mettendo questa Corte nella condizione di stabilire se, in conseguenza della portata dell’oggetto della causa e della sua delimitazione conseguente alle complessive difese attuate dalle attuali parti controricorrenti, si fosse o meno formato un giudicato sull’evidenziato aspetto sostanziale della vicenda processuale.

4. Osserva il collegio che sono, invece, fondati il secondo e quarto motivo del ricorso.

A tal proposito occorre porre in risalto che, malgrado la specificità ed adeguatezza delle difese approntate dall’attuale ricorrente nel giudizio di appello circa la corretta ricostruzione della causale del suo credito residuo nei termini già accertati con la sentenza di primo grado, la Corte trentina ha adottato, sia con riferimento al computo degli interessi oggetto della richiesta imputazione che in ordine all’invocato riconoscimento del credito riconducibile a spese su insoluti, una motivazione da considerarsi in effetti apparente, così da legittimare (v., per tutte, Cass. SU n. 8053 e 8054 del 2014) la proposizione del motivo ricollegabile all’art. 360 c.p.c., n. 5 (come avvenuto nel caso di specie).

In particolare, a fronte della puntuale prospettazione – emergente dalla comparsa di costituzione in appello (di cui risultano riprodotti specificamente e i passaggi allo scopo rilevanti) – che gli interessi in contestazione (per Euro 6.442,20 al 20 giugno 2012) fossero da ritenersi imputabili a titolo di “interessi legali complessivi maturati via via sui detti crediti, dedotti i detti pagamenti e compensazioni alla data di pagamento avversario ovvero emissione fattura posta in compensazione”, come da apposito dettagliato calcolo di supporto (riportato anche in ricorso) e corredati dai relativi documenti di riscontro (pure puntualmente richiamati nel ricorso stesso), la Corte di appello di Trento si è limitata ad affermare che non era dato sapere con quale criterio tali interessi erano stati calcolati e che mai era stata esplicitata la “causa petendi” quanto alla loro natura.

Trattasi, all’evidenza, di un approccio argomentativo del tutto apparente non contenendo alcuna idonea risposta, sul piano logico e giuridico, alle difese come sopra riportate e documentalmente giustificate – circa la dedotta imputazione dei richiamati interessi, così giungendo al loro illegittimo scomputo dal credito vantato dall’allora C.BE.N.E.S. di I.L. & c. s.n.c..

Allo stesso modo – con riferimento al quarto motivo – la Corte di appello, malgrado la puntale difesa operata in appello dall’attuale ricorrente e i congrui riscontri documentali offerti a tal fine (con il calcolo dettagliato del relativo possibile ulteriore credito), ha – del tutto apoditticamente (e, perciò, in modo apparente) – ritenuto che delle spese su insoluti (per Euro 904,97) non erano state trovate tracce (non risultando dalle ricevute prodotte e non avendo alcuna attinenza con alcuno degli assegni prodotti), senza, cioè, dar minimamente conto della congruità delle prove al riguardo offerte dalla citata C.BE.N.E.S. e senza confutare specificamente sul punto la ricostruzione dei rapporti economici intercorsi tra le parti così come operata dalla predetta società.

Quest’ultima, infatti, ha denunciato che tali spese non avrebbero potuto essere ricondotte agli assegni prodotti in giudizio e che, in ogni caso, quello che veniva in rilievo era l’esistenza di un debito pregresso a cui erano da imputare i pagamenti avversari e di cui le contabili acquisite rappresentavano la documentazione supportante il corrispondente credito anteriore di essa C.BE.N.E.S. per ritardi ed omissioni di pagamento delle parti debitrici appositamente indicati, cui erano stati imputati ed erano da imputare i pagamenti “ex adverso” dedotti.

Ricorre, quindi, con riferimento alla seconda e quarta censura, il vizio di motivazione apparente dell’impugnata sentenza (denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e come tale ritualmente prospettato nel caso di specie), poichè essa, benchè graficamente esistente, non ha reso, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, in quanto recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice di appello per la formazione del proprio convincimento (cfr., ad es., Cass. SU n. 22232/2016 e Cass. n. 13977/2019, secondo le quali – si aggiunge – non si può lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture).

5. In definitiva, previa declaratoria di inammissibilità del primo e terzo motivo del ricorso, vanno accolti il secondo e quarto, con assorbimento degli ultimi (dipendenti) due motivi (di cui il sesto concernente le spese) e la conseguente cassazione dell’impugnata in relazione alle censure ritenute fondate ed il rinvio della causa (per una nuova valutazione e l’esplicazione di un’effettiva motivazione sugli aspetti involti dalle stesse censure) alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e quarto motivo del ricorso, dichiara l’inammissibilità del primo e terzo ed assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

 

 

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