Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20528 del 03/08/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 20528 Anno 2018
Presidente: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO
Relatore: PAZZI ALBERTO

sul ricorso n. 25169/2016 proposto da:
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro

pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura
Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

ricorrente

contro
Miccoli Antonio;

intimato

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di LECCE del 19/5/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
27/06/2018 dal cons. PAZZI ALBERTO;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto
Procuratore Generale DE RENZIS LUISA che ha chiesto che la Corte di
Cassazione rigetti il ricorso con le conseguenze previste dalla legge.
Rilevato che:

Data pubblicazione: 03/08/2018

1. con ordinanza in data 19 maggio 2016 il Tribunale di Lecce
accoglieva il ricorso presentato ai sensi dell’art. 35-ter, comma 3, I.
354/1975 da Antonio Miccoli e condannava il Ministero della Giustizia
al pagamento in suo favore della somma di € 2.112.
In particolare il Tribunale adito da un lato riteneva infondata

convenuta, giacché il fatto impeditivo della decadenza, ove
coincidente con quello interruttivo della prescrizione, esclude il
decorso anche di questo ultima, dall’altro reputava inammissibile
l’eccezione di compensazione, stante la natura indennitaria del
rimedio di cui all’art. 35-ter o.p..
2. Ricorre per cassazione avverso questa pronuncia il Ministero
della Giustizia al fine di far valere due motivi di impugnazione.
L’intimato Antonio Miccoli non ha svolto alcuna difesa.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380
bis.1 c.p.c., sollecitando il rigetto del ricorso.
Considerato che:
3.1 il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 2947 cod.
civ. e 35-ter I. 354/1975: la normativa recentemente introdotta dal
d.l. 92/2014, secondo l’amministrazione ricorrente, non avrebbe
introdotto un nuovo illecito civile, bensì una nuova disciplina per il
risarcimento dello specifico danno conseguente alla detenzione in
condizioni di sovraffollamento, di modo che opererebbe rispetto a
crediti di una simile natura, anche per pregiudizi antecedenti alla data
di entrata in vigore dell’art. 35-ter o.p., il termine quinquennale di
prescrizione previsto dall’art. 2947 cod. civ., decorrente dalla data di
verificazione del fatto illecito produttivo di danno.

3.2 Il secondo mezzo lamenta la violazione e la falsa
applicazione della previsione di cui all’art. 1241 cod. civ., in quanto il
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l’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa dell’amministrazione

rimedio introdotto dall’art. 35-ter o.p. avrebbe natura risarcitoria e
non indennitaria e risulterebbe quindi assoggettabile a
compensazione.
4. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Le sezioni unite di questa Corte (Cass., Sez. U., 8/5/2018 n. 11018)

35-ter o.p. ha introdotto un mero “indennizzo” in una logica di

forfetizzazione della liquidazione; ii) la natura di mero indennizzo e il
fondarsi della responsabilità nella violazione di obblighi gravanti

ex

lege sull’amministrazione penitenziaria nei confronti dei soggetti

sottoposti alla custodia carceraria depongono in senso concorde al
fine di escludere l’applicabilità della regola specifica prevista dall’art.
2947, primo comma, cod. civ per la prescrizione del diritto al
risarcimento del danno derivante da fatto illecito, di modo che vale la
regola generale della prescrizione decennale; iii) il rimedio enucleato
dal legislatore italiano con l’introduzione dell’art.

35-ter o.p. ha

carattere retroattivo, come si può evincere, oltre che dalla premessa
e dal senso complessivo della nuova normativa, finalizzata a definire
anche le situazioni pregresse, dalla disciplina intertemporale dettata
dall’art. 2, che, in tema di decadenza, fa inequivocabilmente
riferimento, sia nel primo che nel secondo comma, a detenzioni
degradanti ed inumane già conclusesi (e quindi anteriori) al momento
dell’entrata in vigore della legge; iv) con riferimento alle situazioni in
cui la detenzione sia cessata prima dell’entrata in vigore della legge il
termine di prescrizione decorre da quest’ultima data, e cioè dal
momento in cui la nuova disciplina è stata introdotta
nell’ordinamento, poiché il rimedio risarcitorio in esame non era
prospettabile in epoca antecedente; questa assenza di un precedente
strumento di tutela, accessibile ed effettivo, “integra un impedimento
3

a

dllì–

hanno di recente chiarito che: i) la nuova disciplina prevista dall’art.

all’esercizio del diritto rilevante ai sensi del generale principio di cui
all’art. 2935 cod.civ. in base al quale la prescrizione decorre soltanto
dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”,

formula da

intendersi con riferimento alla possibilità legale, non influendo sul
corso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge,

diritto; v) se nell’ambito della disciplina transitoria dettata dall’art. 2
d.l. 92/2014 la prescrizione decorre dall’entrata in vigore della legge,
questa forma di estinzione rimarrà assorbita in tutti i casi in cui il
diritto viene meno, perché l’azione non è stata proposta nel termine
di decadenza di sei mesi dalla entrata in vigore della legge.
Queste ragioni hanno indotto le sezioni unite di questa Corte ad
affermare il principio secondo cui “il diritto ad una somma di denaro
pari a C 8 per ciascuna giornata di detenzione in condizioni non
conformi ai criteri di cui all’art. 3 della CEDU, previsto dall’art. 35-ter,
comma 3, della I. n. 354/1975, come introdotto dall’art. 1 del d.l. n.
92/2014, conv. con modif. dalla I. n. 117/2014, si prescrive in dieci
anni, trattandosi di un indennizzo che ha origine nella violazione di
obblighi gravanti ex lege sull’amministrazione penitenziaria; il
termine di prescrizione decorre dal compimento di ciascun giorno di
detenzione nelle su indicate condizioni, salvo che per coloro che
abbiano cessato di espiare la pena detentiva prima del 28 giugno
2014, data di entrata in vigore del d.l. cit., rispetto ai quali, se non
sono incorsi nelle decadenze previste dall’art. 2 del d. I. n. 92 del
2014, il termine comincia a decorrere solo da tale data”.
Le statuizioni ritenute errate dall’odierna amministrazione ricorrente,
circa l’impossibilità di far valere il diritto prima dell’introduzione del
rimedio e in merito alla natura innovativa ed esclusiva dello stesso,
risultano, nelle loro conclusioni, coerenti con l’interpretazione della
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l’impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del

nuova normativa offerta da questa Corte e non si prestano quindi a
censure di sorta.
5. Stessa sorte spetta al secondo motivo di ricorso.
In linea di principio nulla osta a che il credito indennitario vantato dal
detenuto per aver subito un trattamento inumano o degradante si
estingua per compensazione con un controcredito vantato nei suoi

la compensazione, ai sensi dell’articolo 1246 cod. civ., è preclusa.
Nondimeno, indipendentemente dalla questione se il controcredito
dell’amministrazione maturato per il mantenimento del detenuto in
carcere dia luogo a un caso di compensazione in senso tecnico,
ovvero di c.d. compensazione impropria, traendo fonte entrambi i
rispettivi crediti dalla detenzione, sta di fatto che il credito per il
mantenimento è suscettibile di compensazione — nell’uno o nell’altro
senso — solo ove dotato, anzitutto, del carattere della certezza.
Posto, infatti, che si è in presenza di compensazione cd. impropria se
la reciproca relazione di debito-credito nasce da un unico rapporto, in
cui l’accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite
può essere compiuto dal giudice d’ufficio, diversamente da quanto
accade nel caso di compensazione cd. propria, che, per operare,
postula l’autonomia dei rapporti e l’eccezione di parte, resta il fatto
che, così come la compensazione propria, anche quella impropria può
operare esclusivamente se il credito opposto in compensazione
possiede il requisito della certezza (Cass. 23 marzo 2017, n. 7474).
Orbene, l’articolo 188 del codice penale stabilisce che: «Il condannato
è obbligato a rimborsare all’erario dello Stato le spese per il suo
mantenimento negli stabilimenti di pena, e risponde di tale
obbligazione con tutti i suoi beni mobili e immobili, presenti e futuri, a
norma delle leggi civili».
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confronti dall’amministrazione, non ricorrendo una delle ipotesi in cui

L’articolo 2 della legge 26 luglio 1975, n. 354, poi, dispone che: i) il
rimborso delle spese di mantenimento da parte dei condannati si
effettua ai termini degli articoli 145, 188, 189 e 191 del codice penale
e 274 del codice di procedura penale; ii) sono spese di mantenimento
quelle concernenti gli alimenti ed il corredo; iii) il rimborso delle
spese di mantenimento ha luogo per una quota non superiore ai due

esercizio finanziario, determina, sentito il Ministro per il tesoro, la
quota media di mantenimento dei detenuti in tutti gli stabilimenti
della Repubblica.
Nel 2015, con decreto ministeriale 7 agosto 2015, pubblicato sul
Bollettino ufficiale del Ministero della giustizia n. 18, 30 settembre
2015, è stata modificata la quota di mantenimento prevista,
fissandola alla cifra di C 3,62 per giornata di presenza.
Ciò detto, l’articolo 5 del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, testo unico
sulle spese di giustizia, elenca tra le spese ripetibili anche quelle di
mantenimento dei detenuti; dopo di che l’articolo 227 ter dello stesso
testo prevede che il recupero sia effettuato con riscossione mediante
ruolo «entro un mese dalla data del passaggio in giudicato della
sentenza o dalla data in cui è divenuto definitivo il provvedimento da
cui sorge l’obbligo o, per le spese di mantenimento, cessata
l’espiazione in istituto».
Va quindi osservato che l’articolo 6 dello stesso testo unico sulle
spese di giustizia prevede un’ipotesi di remissione del debito, che il
detenuto può invocare se si trova in disagiate condizioni economiche
e ha tenuto in istituto una regolare condotta: istanza, questa, che
può essere proposta «fino a che non è conclusa la procedura per il
recupero, che è sospesa se in corso».

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terzi del costo reale; il Ministro della giustizia, al principio di ogni

Va da sé che, fintanto che l’amministrazione non abbia agito per il
recupero e non si sia consumata la facoltà dell’interessato di chiedere
la remissione, neppure può dirsi che il credito concernente le spese di
mantenimento sia effettivamente sussistente.
Il credito in discorso, in definitiva, non può, nel giudizio introdotto ai

essere opposto in compensazione per la sua intrinseca incertezza,
salvo detta incertezza non sussista — il che nella specie neppure è
allegato — per essersi consumata la menzionata facoltà.
In tal senso questa Corte già si è pronunciata in sede penale,
affermando che, in materia di rimedi conseguenti alla violazione
dell’articolo 3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati, il
Ministero della giustizia, convenuto in giudizio dal detenuto per il
risarcimento dei danni patiti a causa delle condizioni di detenzione,
non può opporre in compensazione ex articolo 1243 c.c. il credito
maturato verso il medesimo detenuto per le spese di mantenimento,
trattandosi di un credito che non è certo ed esigibile prima della
definizione del procedimento previsto dall’art. 6 del d.P.R. 30 maggio
2002, n. 115, che può concludersi anche con la remissione del debito
(Cass. pen. 10 ottobre 2017, n. 13377).
Ciò esime dall’osservare che l’articolo 35-ter, comma 3, della legge n.
354 del 1975 è stato introdotto al fine di attribuire al detenuto una
«compensazione appropriata» (v. Corte EDU, sentenza 16 settembre
2014 in causa Stella c. Italia), la quale rimarrebbe pregiudicata, nella
sua effettività, qualora il trattamento risarcitorio — o meglio
indennnitario, come chiarito da Cass., Sez. Un., 8 maggio 2018, n.
11018 — riservato dalla norma al detenuto fosse destinato ad
operare nei limiti della compensazione con il controcredito
dell’amministrazione.
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sensi dell’articolo 35-ter, comma 3, della legge n. 354 del 1975,

6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto
respinto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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