Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20525 del 30/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 30/07/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 30/07/2019), n.20525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25197/2014 proposto da:

B.J., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO

MASSIMO, 45, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MATTEO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO GALLUCCI;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DEL SALENTO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso i cui Uffici domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI N. 12;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONINO SGROI, ESTER ADA SCIPLINO, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO,

EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO;

– resistente con mandato –

nonchè da: RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G:

UNIVERSITA’ DEL SALENTO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso i cui Uffici domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI N. 12;

– ricorrente successivo –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONINO SGROI, ESTER ADA SCIPLINO, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO,

EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO;

– controricorrente al ricorso successivo –

e sul ricorso 28427/2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO

MARITATO;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DEL SALENTO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso i cui Uffici domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI N. 12;

– resistente con mandato –

nonchè da:

B.J., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO

MASSIMO, 45, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MATTEO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO GALLUCCI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

UNIVERSITA’ DEL SALENTO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso i cui Uffici domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI N. 12;

– resistente con mandato –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, EMANUELE

DE ROSE, ESTER ADA SCIPLINO, LELIO MARITATO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza non definitiva n. 988/2014 della CORTE D’APPELLO

di LECCE, depositata il 22/04/2014 R.G.N. 3107/2012 (per il ricorso

RGN 25197/14);

avverso la sentenza definitiva n. 1439/2015 della CORTE D’APPELLO di

LECCE, depositata il 25/05/2015 R.G.N. 3107/12 (per il ricorso RGN

28427/15).

Fatto

RILEVATO

che:

1. con ricorso proposto al Tribunale di Lecce B.J. esponeva di aver prestato servizio presso l’Università del Salento dal 1988 e fino all’a.a. 1994/1995 in qualità di lettrice di lingua straniera, con contratti a termine rinnovati annualmente, di essere stata inquadrata dal maggio 1995 con contratto di lavoro a tempo indeterminato in applicazione della L. n. 236 del 1995, di aver svolto sin dall’inizio attività di docenza senza alcun carattere di eccezionalità e temporaneità e di avere sempre preso parte alle normali attività didattiche dell’Ateneo, percependo una retribuzione inadeguata;

sulla base di tali premesse aveva convenuto in giudizio l’Università del Salento e l’INPS chiedendo che, previa nullità dei contratti a termine stipulati tra le parti, fosse riconosciuto il suo diritto all’adeguamento della retribuzione secondo l’inquadramento del ricercatore ed assistente universitario a tempo pieno o, nel minimo, di quello del ricercatore a tempo determinato – tenuto conto dell’impegno per un monte ore annuo di 550 ore rispetto alle 500 prestate dai ricercatori a tempo definito -, con la conseguente condanna dell’Università al pagamento delle differenze retributive nonchè al versamento dei contributi previdenziali su tali differenze ovvero al risarcimento del danno;

2. il Tribunale di Lecce dichiarava il difetto di giurisdizione con riferimento ai contratti a termine stipulati in data anteriore all’1/1/1994 e l’estinzione del giudizio per il resto;

3. a seguito di impugnazione da parte della B. la Corte di appello di Lecce emetteva la sentenza non definitiva n. 988/2014 e la sentenza definitiva n. 1439/2015;

3.1. con la sentenza non definitiva la Corte territoriale così statuiva: – riteneva la giurisdizione del giudice ordinario anche con riferimento ai contratti anteriori all’1/1/1994; – dichiarava la nullità dei termini apposti ai contratti stipulati dal 1988 al 1995 e riconosceva la sussistenza di un unico rapporto con decorrenza sin dalla prima assunzione; – condannava l’Università al pagamento di una indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; – dava atto dell’avvenuta corresponsione da parte dell’Università della somma di Euro 47.554,13 a titolo di retribuzione dovuta ai sensi della L. n. 240 del 2010, art. 26; escludeva che potesse disporsi l’estinzione del processo ai sensi della L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, norma che si poneva in contrasto con i principi enunciati dalla Corte di Giustizia nella sentenza n. 212 del 26 giugno 2012; – riteneva spettante all’appellante come giusta retribuzione quella del ricercatore confermato a tempo definito, proporzionalmente all’impegno orario effettivamente svolto dalla data della prima assunzione a termine e fino all’assunzione a tempo indeterminato del 24/5/1995, oltre interessi o rivalutazione monetaria a termini della pronuncia della Corte Cost. n. 459/2000 nonchè al versamento in favore dell’INPS dei relativi contributi previdenziali; disponeva con separata ordinanza per il prosieguo del giudizio ai fini della quantificazione delle somme spettanti all’appellante previa nomina di c.t.u.; – osservava che non potesse essere applicata la prescrizione quinquennale in mancanza di tempestiva eccezione;

3.2. con la sentenza definitiva la Corte territoriale così statuiva: escludeva un contrasto tra motivazione e dispositivo nella sentenza non definitiva là dove nella prima si era accolto il motivo di appello formulato dalla B. con il quale erano state richieste le differenze retributive derivanti dal riconoscimento dalla pianificazione stipendiale dei c.e.l. ex lettori universitari “dall’inizio del rapporto in poi” e nel secondo si era fatto riferimento al periodo “dalla data della prima assunzione a termine e fino all’assunzione a tempo indeterminato del 24/5/1995”; – considerando comunque prevalente il dispositivo, aderiva al conteggio del c.t.u. predisposto con riguardo al più ridotto periodo temporale; – riteneva che dalla quantificata somma a titolo di differenze di Euro 39.769,99 oltre ad Euro 47.152,98 a titolo di interessi legali non andasse detratto l’importo di Euro 47,554,13 corrisposto dall’Università per il periodo successivo all’assunzione a tempo indeterminato e dunque non riguardante il periodo oggetto di causa;

4. avverso la sentenza non definitiva n. 988/2012 hanno proposto separati ricorsi per cassazione B.J. e l’Università del Salento;

al ricorso della B. l’Università ha opposto controricorso mentre l’INPS ha resistito con procura;

al ricorso dell’Università l’INPS ha opposto controricorso;

5. avverso la sentenza definitiva n. 1439/2015 ha proposto ricorso per Cassazione l’INPS cui la B. ha resistito con controricorso e altresì proposto ricorso incidentale mentre l’Università ha solo depositato atto di costituzione;

6. nel fascicolo del RGN 25197/2014 B.J. ha depositato memoria con contestuale richiesta di trattazione in pubblica udienza nonchè di rimessione alla Corte di Giustizia ed alle Sezioni Unite di questa Corte;

7. nel fascicolo del RGN 28427/2015 l’Università del Salento ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi (n. 25197/2014 e n. 28427/2015), ai sensi dell’art. 335 c.p.c., applicabile anche in ipotesi di impugnazioni contro provvedimenti diversi qualora sussista, come nella specie, unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (ex plurimis, Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521).

2. Sempre in via preliminare deve respingersi l’istanza formulata dalla ricorrente B., di trattazione della causa in pubblica udienza, non sussistendo il presupposto della particolare rilevanza delle questioni di diritto sulle quali pronunciare ex art. 375 c.p.c., trattandosi di questioni già trattate in plurime decisioni.

3. Sintesi dei motivi del ricorso avverso la sentenza non definitiva

proposto da B.J..

3.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità parziale della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo, violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4;

censura la sentenza non definitiva per contrasto tra motivazione e dispositivo là dove nella parte motiva si è accolto il motivo di appello formulato dalla B. con il quale erano state richieste le differenze retributive derivanti dal riconoscimento dalla pianificazione stipendiale dei c.e.l. ex lettori universitari “dall’inizio del rapporto in poi” e nel dispositivo si è fatto riferimento al periodo “dalla data della prima assunzione a termine e fino all’assunzione a tempo indeterminato del 24/5/1995”;

3.2. con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia nullità parziale della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per contraddittorietà della stessa e violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4;

censura la sentenza non definitiva per aver mostrato di aderire ad un percorso giurisprudenziale che riconosce il diritto dell’ex lettore di godere della stessa retribuzione del ricercatore confermato a tempo definito, in combinazione con la dichiarata inapplicabilità al caso di specie della L. n. 240 del 2010, art. 26 e tuttavia di essersi posta in contraddizione rispetto a tale percorso nelle disposizioni finali;

3.3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia nullità parziale della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia sulla parte della domanda relativa al periodo dal 24/5/1995 in poi;

rileva che i giudici salentini, delimitando la pronuncia di condanna al solo periodo dal 1988 al 1995, non avrebbero espresso alcun convincimento sulla parte della domanda relativa alle differenze maturate dal 1995 in poi, con ciò incorrendo in una omissione di giudizio;

3.4. con il quarto motivo la ricorrente denuncia omessa pronuncia su un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

censura la sentenza non definitiva per non essersi pronunciata sulla complessiva domanda formulata dalla B. che aveva sempre domandato fin dall’inizio il riconoscimento della maggiore retribuzione del ricercatore confermato a tempo definito dall’inizio del rapporto in poi;

3.5. con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione della L. n. 63 del 2004, art. 1, di conversione del D.L. n. 2 del 2004, emanata in applicazione della sentenza della Corte di Giustizia UE della L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, in relazione all’art. 2103 c.c. ed all’art. 36 Cost. e delle sentenze della Corte di Giustizia UE del 26 giugno e del 18 luglio 2006;

rileva, per l’eventualità che nella sentenza non definitiva impugnata si sia inteso fare applicazione della L. n. 240 del 2010, art. 26, per il periodo dal 1995 in poi, ritenendo satisfattivo l’importo corrisposto dall’Università in ottemperanza a tale norma, che tale importo, come si evince dalla stessa sentenza impugnata, è stato quantificato considerando un’anzianità pari a zero nel 1995 e pari a 18 anni (dal 1995 al 2013) laddove andavano considerati anche i sette anni di anzianità dal 1988 al 1995;

3.6. con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione della L. 22 dicembre 1994, n. 724, art. 22 comma 6;

censura la sentenza impugnata per aver negato il cumulo di interessi e rivalutazione, negazione agganciata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 82/2003 alla particolare tipologia del rapporto di pubblico impiego capace di assicurare al dipendente pubblico una serie di benefici compensati da sacrificio imposto dal ripetuto divieto, benefici non sussistenti per gli ex lettori ora c.e.l.;

3.7. infine con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la B. ha chiesto di rimettere alla Corte di Giustizia la questione se il D.L. n. 2 del 2004, come interpretato dalla L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, si ponga in contrasto con il diritto primario e/o derivato dell’Unione ed in particolare con gli artt. 12, 13 e 45 TUEF (già art. 39 e prima ancora art. 48 Trattato CE) e con le sentenze della CGUE del 2001, del 2006 e del 2008 che di dette norme hanno fatto diretta applicazione ovvero di trasmettere la causa al Primo Presidente per l’assegnazione della stessa alle Sezioni Unite considerata la massima importanza delle questioni.

4. Sintesi dei motivi del ricorso dell’Università del Salento avverso la sentenza non definitiva.

Tale ricorso, in quanto successivo al primo, si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale, stante l’avvenuto rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c.: v. Cass. 6 dicembre 2005, n. 26622; Cass. 20 marzo 2015, n. 5695; Cass. 9 febbraio 2016, n. 2516.

Il ricorso è affidato a quattro motivi, erroneamente enumerati quali motivi nn. 1, 3, 4 e 5.

4.1. Con il primo motivo l’Università denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 2 del 2004, art. 1, comma 1, conv. nella L. n. 63 del 2004 e della L.n. 240 del 2010, art. 26;

censura la sentenza non definitiva per aver ritenuto inapplicabile la L. n. 240 del 2010, art. 26, in quanto in contrasto con i principi enunciati dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza n. 212 del 26/6/2001 ed aver dato una lettura non corretta della giurisprudenza succedutasi nel tempo con riferimento ai lettori di madre lingua poi assunti a tempo indeterminato come c.e.l.;

rileva che la disposizione di cui all’art. 26 citato, intervenuta per individuare la portata normativa della D.L. n. 2 del 2004, è norma di interpretazione autentica applicabile ai giudizi in corso e quindi anche al caso di specie;

sottolinea che con Decreto Rettoriale n. 487 del 2013, in attuazione del suddetto art. 26 era stato provveduto “alla ricostruzione della carriera a partire dalla sottoscrizione del primo contratto di lavoro a tempo determinato ed attribuzione del trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito in misura proporzionale all’impegno orario effettivamente assolto con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di lingua straniera ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1980, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici (1/12/1994)…. e a partire da tale data alla corresponsione della retribuzione spettante al ricercatore confermato a tempo definito in base all’anzianità maturata alla data dell’1/12/1994 e ove inferiore la retribuzione complessiva via via corrisposta…fino al completo riassorbimento della differenza”;

pertanto, avendo l’Ateneo dato compiuta esecuzione al disposto di cui all’art. 26 ed avendo riconosciuto l’anzianità dal 1995 al 2013 e le differenze retributive spettanti ai sensi della L. n. 240 del 2010, con effetto dai cinque anni precedenti l’atto di messa in mora notificato all’Università dalla lettrice in data 21/5/2001, doveva essere disposta l’estinzione del giudizio;

5.2. con il secondo motivo l’Università denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4 e carenza assoluta di motivazione o motivazione apparente in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

censura la sentenza non definitiva per avere la stessa affidato la ritenuta inapplicabilità della L. n. 240 del 2012, art. 26,comma 3, alla laconica affermazione “si pone in contrasto con i principi enunciati dalla Corte di Giustizia nella sentenza n. 212 del 26 giugno 2012, direttamente applicabile nell’ordinamento italiano”;

5.3. con il terzo motivo l’Università denuncia nullità della sentenza per violazione della L. n. 240 del 2010, art. 26, per mancata declaratoria di estinzione del processo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

censura la sentenza non definitiva per non avere preso atto che all’art. 26 era stata data conforme esecuzione e che conseguentemente andava confermata la pronuncia di primo grado di estinzione del giudizio: richiama sul punto Cass. n. 16924/2014;

5.4. con il quarto motivo l’Università denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 414 e 420 c.p.c., nonchè degli artt. 436,437 c.p.c. e per quanto possa occorrere degli artt. 345 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

censura la sentenza rion, definitiva per avere condannato l’Università al pagamento della indennità risarcitoria della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, in mancanza di ogni richiesta in tal senso da parte della originaria ricorrente che con il ricorso ex art. 414 c.p.c., aveva chiesto che fosse accertato il suo diritto “all’effettivo riconoscimento dell’unicità e continuità del proprio rapporto di lavoro sin dalla prima assunzione o dal tempo ritenuto legittimo e all’adeguamento della sua retribuzione secondo l’inquadramento economico del ricercatore ed assistente universitario a tempo pieno o nel minimo a quello del ricercatore a tempo definito parificato per legge a quello degli ex lettori dall’inizio del rapporto in poi” e quindi condannato l’università “al pagamento delle somme così determinate anche a mezzo di c.t.u.”.

5. Sintesi dei motivi del ricorso dell’INPS avverso la sentenza definitiva.

5.1. Con il primo motivo l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto della domanda dell’Istituto di condanna dell’Università al pagamento delle sanzioni civili connesse all’inadempimento contributivo;

5.2 analogo rilievo è formulato dall’INPS con il secondo motivo con cui denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116.

6. Sintesi dei motivi del ricorso incidentale di B.J. avverso la sentenza definitiva (si tratta di sei distinti motivi, come di seguito specificati, ancorchè il ricorso erroneamente ne enumeri cinque).

6.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità parziale della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per insanabile contrasto tra diverse parti della motivazione e tra motivazione e dispositivo, violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4;

censura la sentenza definitiva per non aver ritenuto sussistente un contrasto tra motivazione e dispositivo nella sentenza non definitiva e sostanzialmente riproduce di rilievi di cui al primo motivo del ricorso avverso tale la sentenza non definitiva;

6.2. con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia nullità parziale della sentenza definitiva ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per contraddittorietà della stessa e violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4;

censura la sentenza definitiva (per effetto riflesso di quella non definitiva) per le stesse ragioni di cui al secondo motivo del ricorso avverso la sentenza non definitiva rilevando che la Corte salentina nello scegliere tra i due conteggi richiesti al c.t.u. avrebbe optato per quello, limitato al periodo 1988-1995, disattendendo la dimostrata adesione al percorso giurisprudenziale favorevole all’ex lettore di cui alla sentenza non definitiva;

6.3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia nullità parziale della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia sulla parte della domanda relativa al periodo dal 24/5/1995 in poi;

anche in questo caso la ricorrente censura la sentenza definitiva (per effetto riflesso di quella non definitiva) per le stesse ragioni di cui al terzo motivo del ricorso avverso la sentenza non definitiva;

6.4. con il quarto motivo la ricorrente denuncia omessa pronuncia su un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

censura la sentenza definitiva (per effetto riflesso di quella non definitiva) per le stesse ragioni di cui al quarto motivo del ricorso avverso la sentenza non definitiva;

6.5. con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione della L. n. 63 del 2004, art. 1, di conversione del D.L. n. 2 del 2004, emanata in applicazione della sentenza della Corte di Giustizia CE del 26 giugno 2001 in relazione all’art. 2103 c.c.e all’art. 36 Cost.;

rileva che la Corte territoriale scegliendo tra i due conteggi elaborati dal c.t.u. quello relativo alle differenze retributive maturate in relazione al periodo 1988-1995 avrebbe integrato una chiara violazione della L. n. 63 del 2004 che prevede, in esecuzione della sentenza emessa dalla Corte di Giustizia UE del 26 giugno 2001, l’attribuzione ai c.e.l. ex lettori di un trattamento economico corrispondente a quello di ricercatore confermato a tempo definito con effetto dalla data di prima assunzione, per l’eventualità che nella sentenza non definitiva impugnata si sia inteso fare applicazione della L. n. 240 del 2010, art. 26, per il periodo dal 1995 al 2013, ritenendo satisfattivo l’importo corrisposto dall’Università in ottemperanza a tale norma, che tale importo, come si evince dalla stessa sentenza impugnata, è stato quantificato considerando un’anzianità pari a zero nel 1995 e pari a 18 anni (dal 1995 al 2013) laddove andavano considerati anche i sette anni di anzianità dal 1988 al 1995;

6.6. con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione della L. 22 dicembre 1994, n. 724, art. 22, comma 6;

censura la sentenza impugnata per aver negato il cumulo di interessi e rivalutazione, negazione agganciata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 82/2003 alla particolare tipologia del rapporto di pubblico impiego capace di assicurare al dipendente pubblico una serie di benefici compensati da sacrificio imposto dal ripetuto divieto, benefici non sussistenti per gli ex lettori ora c.e.l..

7. Sono inammissibili i motivi di ricorso (principale e incidentale) di B.J. incentrati, con rilievi variamente formulati, su un’asserita omessa pronuncia sulla domanda asseritamente avanzata con riferimento ad un periodo ulteriore rispetto a quello preso in considerazione dalla Corte territoriale e sulla conseguente erronea determinazione del dovuto in rapporto al solo periodo temporale fino al 1995 (primi cinque motivi del ricorso principale n. 25197/2014 e primi cinque motivi del ricorso incidentale n. 28427/2015);

7.1. è innanzitutto da escludere un contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza non definitiva;

nel rito speciale del lavoro, com’è noto, la prevalenza del dispositivo sulla motivazione è circoscritta alle ipotesi in cui vi è contrasto tra le due parti della pronuncia, mentre, ove l’incompatibilità manchi, la portata precettiva della pronuncia va individuata integrando il dispositivo con la motivazione (Cass. 21 giugno 2016, n. 12841);

nella specie, come si evince dagli stessi ulteriori rilievi della ricorrente, il dispositivo della Corte territoriale era del tutto conforme ad una interpretazione della domanda come intesa solo ad ottenere il riconoscimento del trattamento di ricercatore a tempo pieno da data antecedente a quella dell’assunzione a tempo indeterminato e fino a tale assunzione (e cioè dal 1988 al 1995);

tanto si rileva anche dalla stessa sentenza non definitiva nella quale è stigmatizzato che la B., premesso di aver lavorato sin dal dicembre 1988 alle dipendenze dell’Università del Salento in

qualità di lettrice di lingua madre in virtù di sei contratti a tempo determinato fino all’anno accademico 1494-1995 e di essere stata poi inquadrata come c.e.l. ai sensi della L. n. 236 del 1995, avesse agito, sul presupposto di aver espletato fin dall’inizio attività di docenza inserita nell’ambito della normale attività didattica relativa all’insegnamento della lingua inglese, per ottenere la declaratoria dell’esistenza tra le parti di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data del primo contratto, previa declaratoria di nullità dei termini apposti ai vari contratti, e l’adeguamento della retribuzione secondo l’inquadramento del ricercatore ed assistente universitario a tempo pieno;

7.2. ed allora va considerato che l’interpretazione della domanda è compito del giudice di merito e implica valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione – così come avviene per ogni operazione ermeneutica ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito (v. Cass. 14 maggio 2018, n. 11631; Cass. 10 settembre 2013, n. 20727; Cass. 18 maggio 2015, n. 7932; Cass. 9 settembre 2008, n. 22893; Cass. 1 febbraio 2007, n. 2217; Cass. 22 febbraio 2005, n. 3538) ed il risultato di tale operazione non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità se congruamente motivato;

7.3. è pur vero che nel giudizio di legittimità l’ipotesi in cui si verta in tema di interpretazione della domanda e di individuazione del suo contenuto, integrante come detto, un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, va tenuta distinta da quella in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, e cioè di violazione dell’art. 112 c.p.c., in questo secondo caso si pone un problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta;

7.4. tuttavia, anche qualora la parte deduca, quale motivo di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e qualifichi giuridicamente il vizio lamentato come error in procedendo, in relazione al quale la Corte è anche “giudice del fatto”, con la possibilità di accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, le Sezioni unite della Cassazione hanno statuito che, nei casi di vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, il giudice di legittimità, pur non dovendo limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, “è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4” (v. Cass. SU 2 maggio 2012, n. 8077);

7.5. la parte ricorrente è, così, tenuta ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e a riportare, a pena di inammissibilità, le domande e le eccezioni sulle quali il giudice non si sarebbe pronunciato con indicazione altresì dell’atto difensivo o del verbale di causa in cui le une e le altre erano state proposte e comunque è necessario che fornisca tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (v. Cass. 13 maggio 2016, 9888; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; Cass. 19 dicembre 2014, n. 26900; Cass. 30 aprile 2010, n. 10605);

7.6. nella specie, la ricorrente si è limitata, alle pagg. 3 e 4, ad offrire una mera sintesi narrativa delle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio e così delle richieste rivolte al Tribunale del lavoro oltre che a riportare alcuni passaggi dell’atto di appello ma i relativi atti non risultano integralmente trascritti nè allegati al ricorso per cassazione: ciò non consente la valutazione – in comparazione con le deduzioni e le richieste formalmente contenute nell’atto – della manifestazione di volontà specificamente formulata ed espressa nella parte argomentativa e nelle conclusioni s sse;

7.7. peraltro dagli stessi passaggi degli atti sopra indicati come riportati in ricorso neppure si evince con ogni evidenza se, come si assume, le pretese si riferissero anche al periodo successivo all’assunzione a tempo indeterminato;

a fronte di una tale non chiara esposizione non merita censure la decisione impugnata (ed in particolare quella non definitiva che ha fissato l’an della pretesa, essendo quella definitiva meramente consequenziale alla prima) che ha interpretato la domanda come intesa ad ottenere il riconoscimento del trattamento di ricercatore a tempo pieno da data antecedente a quella dell’assunzione a tempo indeterminato e fino a tale assunzione (e cioè dal 1988 al 1995);

7.8. vanno di conseguenza dichiarati inammissibili i primi cinque motivi del ricorso principale n. 25197/2014 di B.J. ed altresì inammissibili i primi cinque motivi del ricorso incidentale n. 28427/2015 della medesima B.;

8. del pari inammissibili sono i primi tre motivi di ricorso dell’Università che ruotano sulla mancata applicazione della L. n. 240 del 2010, art. 26 e sul meccanismo dell’estinzione ivi previsto;

8.1. ed infatti i motivi in questione che hanno come presupppsto l’avvenuto adeguamento da parte dell’Università del Salento al disposto di cui alla legge interpretativa con il riconoscimento in favore della B. dell’anzianità di servizio dal 1995 al 2013, delle differenze retributive spettanti ai sensi della riforma del 2010 con effetto dai cinque anni precedenti l’atto di messa in mora notificato all’Università dalla lettrice e così la corresponsione della somma di Euro 37.397,23 oltre ad Euro 1.350,05 quale assegno ad personam, non tengono conto del fatto che la corte territoriale ha ritenuto che la relativa questione non avesse formato oggetto di domanda da parte della B.;

8.2. ciò emerge in modo evidente anche dalla sentenza definitiva che ha quantificato le spettanze della ricorrente sulla base dell’an di cui alla sentenza non definitiva ed ha ritenuto di non scomputare dall’importo ritenuto spettante la somma complessivamente corrisposta dall’Università considerando che la stessa riguardasse il periodo successivo all’assunzione a tempo indeterminato e non, dunque, il periodo considerato;

8.3. d’altra parte, come precisato da questa Corte a Sezione Unite nella decisione n. 19164/2017, ai fini dell’estinzione di cui alla L. n. 240 del 2016, art. 26, comma 3, è imprescindibile un collegamento tra la previsione processuale di estinzione dei processi e la disposizione che disciplina le pretese sostanziali con la conseguenza che non devono essere dichiarati estinti tutti i processi nei quali gli ex lettori avanzino pretese nei confronti delle Università, ma solo quelli nei quali rilevi il nuovo assetto dato dal legislatore alla materia, senza che ne derivi una vanificazione dei diritti azionati (v. in tal senso in motivazione Corte Cost. 24 aprile 2013, n. 99);

nel caso in questione, al contrario, non si ravvisa detta integrale coincidenza, perchè la domanda della B. ha riguardato il riconoscimento dell’unicità e continuità del rapporto di lavoro sin dalla data di prima assunzione oltre al diritto ad una retribuzione parificata a quella del ricercatore confermato a tempo definito – comprensivo di tutti gli elementi della retribuzione – nonchè alla regolarizzazione della posizione retributiva ed al risarcimento del danno da omissione e dunque questioni che esulano dalla previsione della legge di interpretazione autentica;

9. vanno, invece, accolti il sesto motivo del ricorso principale n. 25197/2014 di B.J. e lo speculare sesto motivo del ricorso incidentale n. 28427/2015 della medesima B.;

9.1. è pur vero che questa Corte ha evidenziato che “la pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale n. 459 del 2000, per la quale il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi non opera per i crediti retributivi dei dipendenti privati, ancorchè maturati dopo il 31 dicembre 1994, non può trovare applicazione per i dipendenti privati di enti pubblici non economici (nella specie, lettori di lingua dell’Università degli studi), per i quali ricorrono, ancorchè i rapporti di lavoro risultino privatizzati, le ragioni di contenimento della spesa pubblica che sono alla base della disciplina differenziata secondo la ratio decidendi prospettata dal Giudice delle leggi” (v. Cass. 10 gennaio 2013, n. 535 e Cass. 5 luglio 2011, n. 14705);

9.2. tuttavia, per quanto sopra evidenziato, la presente fattispecie si colloca temporalmente in epoca anche anteriore rispetto al divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria previsto dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 22,comma 36 (oggetto di pronuncia della sopra citata decisione del Giudice delle leggi) con la conseguenza che tale cumulo, fino al 31 dicembre 1994, non può essere escluso;

10. è anche fondato il quarto motivo del ricorso incidentale dell’Università;

10.1. effettivamente risulta dalla puntuale trascrizione del ricorso della B. come effettuata alle pagg. 25 e 26 del ricorso dell’Università che la predetta, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, si fosse limitata a chiedere il riconoscimento dell’unicità del rapporto ed il pagamento delle corrispondenti differenze retributive senza formulare alcuna domanda di risarcimento del danno;

10.2. in tale situazione, pur essendo intervenuta successivamente al ricorso di primo grado la L. n. 183 del 2010, che ha sostituito al risarcimento del danno tradizionalmente inteso l’indennità forfetaria, tale ius superveniens, applicabile quale regolamentazione sopravvenuta rispetto ad una situazione di fatto dedotta già in primo grado, di certo non poteva essere invocato;

10.3. ed infatti non si trattava di un mera precisazione quantitativa del petitum dipendente da un fatto sopravvenuto nelle more del giudizio, come la nuova determinazione legislativa delle conseguenze patrimoniali sanzionatorie in ipotesi di nullità del contratto di lavoro a termine, bensì dell’introduzione ex novo di un petitum risarcitorio;

10.4. in conseguenza non poteva la Corte territoriale condannare l’Università all’indennità risarcitoria della L. n. 183 del 2010, ex art. 32;

11. è infine inammissibile il ricorso dell’INPS avverso la sentenza definitiva n. 1439/2015;

11.1. tale inammissibilità deriva da plurime concorrenti ragioni;

11.2. non risulta infatti che l’Istituto abbia espresso riserva di impugnazione avverso la sentenza non definitiva n. 988/2014 che già aveva condannato l’Università al versamento in favore dell’INPS dei (soli) contributi previdenziali connessi ai maggiori importi riconosciuti ovvero, in caso di intervenuta prescrizione, al risarcimento del danno;

tenuto conto del valore meramente confermativo della sentenza definitiva n. 1435/2015 (che ha solo determinato, in base alle somme accertate come dovute alla B., i contributi posti a carico dell’Università) le doglianze dell’Istituto andavano già mosse (salvo una formale riserva) contro la sentenza non definitiva;

11.3. inoltre i motivi di ricorso non soddisfano i necessari requisiti di specificità non risultando riprodotti, se non nella parte relativa alle conclusioni, le memorie di costituzione dell’INPS sia in primo grado sia in appello nè risultando in alcun modo fornite indicazioni circa l’esatta collocazione dei suddetti atti processuali nel fascicolo d’ufficio ovvero in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità, al fine di rendere possibile a questa Corte il relativo esame (v. Cass. 25 maggio 2007, n. 12239; Cass. 10 novembre 2008, n. 26888; Cass. 24 ottobre 2014, n. 22607);

12. in conclusione vanno dichiarati inammissibili i primi cinque motivi del ricorso principale n. 25197/2014 di B.J. e altresì inammissibili i primi tre motivi del ricorso incidentale dell’Università;

vanno accolti il sesto motivo del ricorso principale n. 25197/2014 di B.J. e il quarto motivo del ricorso incidentale dell’Università;

va dichiarato inammissibile il ricorso principale dell’INPS n. 28427/2015;

vanno dichiarati inammissibili i primi cinque motivi del ricorso incidentale n. 28427/2015 di B.J.;

va accolto, altresì, il sesto motivo del ricorso incidentale n. 28427/2015 della medesima B.J.;

le sentenze n. 988/2014 e n. 1439/2015 vanno cassate in relazione ai motivi accolti della ricorrente (principale e incidentale) B.J. e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con la condanna dell’Università al pagamento, in favore della B., sulle differenze retributive come già quantificate in relazione al periodo dal 21/12/1988 al 24/5/1995, degli interessi e rivalutazione monetaria fino al 31 dicembre 1994 e della maggior somma tra interessi e rivalutazione monetaria per il periodo successivo;

va, inoltre, cassata senza rinvio la sentenza n. 988/2014 in relazione al motivo accolto dell’Università e dichiarata la nullità in parte qua della disposta condanna dell’Università al risarcimento, in favore dell’appellante, del danno da illegittima apposizione del termine previo

versamento di una indennità pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

12. la sopra evidenziata inammissibilità dei motivi di ricorso della ricorrente B. che ha come effetto di trascinamento l’inammissibilità dei motivi di ricorso dell’Università incentrati sull’art. 26 della L. n. 240 del 2010, rende superfluo l’esame della questione di pregiudizialità comunitaria sollevata dalla predetta B. e non accoglibile l’istanza di rimessione alle Sezioni Unite, avanzate con la memoria ex art. 378 c.p.c.;

13. le illustrate ragioni della decisione e la solo parziale riforma delle sentenze non definitiva e definitiva impugnate consentono di confermare la regolamentazione delle spese dei gradi di merito come effettuata in sede di pronuncia definitiva di secondo grado;

la reciproca parziale soccombenza induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;

14. deve darsi atto, quanto al solo INPS, della sussistenza delle condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sui ricorsi come sopra riuniti, così provvede:

1) dichiara inammissibili i primi cinque motivi del ricorso principale n. 25197/2014 di B.J. e dichiara inammissibili i primi tre motivi del ricorso incidentale dell’Università;

2) accoglie il sesto motivo del ricorso principale n. 25197/2014 di B.J. e il quarto motivo del ricorso incidentale dell’Università;

3) dichiara inammissibile il ricorso principale dell’INPS n. 28427/2015;

4) dichiara inammissibili i primi cinque motivi del ricorso incidentale n. 28427/2015 di B.J.;

5) accoglie il sesto motivo del ricorso incidentale n. 28427/2015 della medesima B.J.;

6) cassa le sentenze n. 988/2014 e n. 1439/2015 in relazione ai motivi accolti della ricorrente (principale e incidentale) B.J. e decidendo nel merito condanna l’Università al pagamento, in favore della B., sulle differenze retributive come già quantificate in relazione al periodo dal 21/12/1988 al 24/5/1995, degli interessi e rivalutazione monetaria fino al 31 dicembre 1994 e della maggior somma tra interessi e rivalutazione monetaria per il periodo successivo;

7) cassa senza rinvio la sentenza n. 988/2014 in relazione al motivo accolto dell’Università e dichiara la nullità in parte qua della disposta condanna dell’Università al risarcimento, in favore dell’appellante, del danno da illegittima apposizione del termine previo versamento di una indennità pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

8) conferma le statuizioni sulle spese dei giudici di merito e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’INPS, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019

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