Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20524 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. II, 29/09/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 29/09/2020), n.20524

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25550/2016 proposto da:

T.T., R.P., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA

INFASCELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato ALBERTO CASSINI;

– ricorrenti –

contro

REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA, in persona del Presidente

della Giunta, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLONNA,

355, presso ufficio distaccato dell’AVVOCATURA REGIONE FRIULI

VENEZIA GIULIA, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURO COSSINA;

– controricorrente –

contro

FALLIMENTO IMPRESA R.B. SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 12/2016 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 30/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 30 marzo 2016 la Corte d’appello di Trieste ha rigettato l’appello proposto da T.T., in proprio e quale legale rappresentante della Graphistudio s.p.a., nonchè da R.P. avverso la sentenza di primo grado, che aveva respinto l’opposizione proposta da loro e dalla B.R. s.r.l. (dichiarata fallita nel corso del processo) avverso l’ordinanza-ingiunzione 1444/pn/ACAV/20 del 20 giugno 2013.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che un primo fatto non contestato era rappresentato dalla differenza tra la quota di terreno all’atto dell’acquisto del 2001, da parte della Graphistudio s.p.a., siccome individuata nella planimetria dello stato di fatto, e la quota accertata alla data del sopralluogo degli organi regionali nel 2008, alla presenza di rappresentanti della società proprietaria; b) un secondo dato non contestato era l’utilizzo del materiale presente su un fondo (cd. ex macello) per necessità di un fondo contiguo (cd. opificio) di proprietà della medesima Graphistudio s.p.a; c) che solo in secondo grado, ossia tardivamente, erano state avanzate perplessità su metodologia e risultati dell’attività di accertamento compiuta nel 2008; d) che non era certamente intervenuta alcuna autorizzazione regionale allo svolgimento di attività estrattiva; e) che non vi era motivo per disattendere la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto distinte le attività compiute sui due fondi contigui, in tal modo escludendo l’applicabilità dell’esenzione di cui alla L.R. Friuli Venezia Giulia 27 agosto 1992, n. 25, art. 12-bis.

3. Avverso tale sentenza il T., in proprio e quale legale rappresentante della Graphistudio s.p.a., nonchè il R., hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, al quale ha resistito con controricorso la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. La curatela del fallimento della R.B. s.r.l. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 2697 c.c..

I ricorrenti iniziano col rilevare che la planimetria fatta redigere dalla società acquirente del fondo nel 2001 non riportava le quote altimetriche di un terreno pianeggiante, ma un contesto caratterizzato da cumuli di materiale terroso e inerte, da fosse di scavo, depressioni e gibbosità, mentre la situazione rilevata nel 2008 dava conto del ripristino dell’ambiente degradato.

Da tale premessa in fatto essi traggono il fondamento dell’errore che attribuiscono ai giudici di merito, i quali avrebbero rigettato l’opposizione, nonostante che la Regione non avesse dimostrato il presupposto della violazione, ossia l’esistenza di un’attività estrattiva. In tale prospettiva, essi deducono che i volumi di materiali che risultavano mancanti (14.000 metri cubi) derivavano non da una indimostrata attività di scavo, ma dal prelievo, dai cumuli sopra ricordati, di quanto occorrente per livellare l’area all’esterno dello stabilimento in occasione dei due ampliamenti.

La doglianza è inammissibile.

Questa Corte ha chiarito, in linea generale, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476).

In effetti, nel percorso argomentatìvo dei giudici di merito non è dato ravvisare alcuna inversione dell’onere della prova.

Al riguardo va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, all’Amministrazione, che viene a rivestire – dal punto di vista sostanziale – la posizione di attrice (ricoprendo, invece, sotto quello formale, il ruolo di convenuta-opposta), incombe l’obbligo di fornire la prova adeguata della fondatezza della sua pretesa. All’opponente, al contrario, qualora abbia dedotto fatti specifici incidenti o sulla legittimità formale del procedimento amministrativo sanzionatorio espletato o sull’esclusione della sua responsabilità relativamente alla commissione dell’illecito, spetta provare le circostanze negative contrapposte a quelle allegate dall’Amministrazione (v., di recente, Cass. 24 gennaio 2019, n. 1921).

Ora, nel caso di specie, non è in discussione l’abbassamento di quota del fondo e, pertanto, l’esistenza di un’attività estrattiva sicuramente inclusa nello spettro applicativo della norma della quale si discute (L.R. 18 agosto 1986, n. 35, art. 19), che sanziona lo svolgimento di tale attività in difetto di autorizzazione regionale.

I Giudici di merito, alla luce dell’assoluto silenzio sul punto delle concessioni edilizie e in assenza di elementi di segno contrario, hanno tratto la conclusione che la condotta non potesse essere inclusa nell’area di esenzione di cui alla L.R. 27 agosto 1992, n. 25, art. 12-bis.

Ma tale ratio decidendi, come detto, non integra alcuna inversione delle regole probatorie giacchè la Corte territoriale, per quanto qui rileva, ha solo preso atto dell’assenza di elementi idonei a inficiare le conclusioni univocamente raggiunte sulla base del quadro istruttorio a disposizione.

In realtà, i ricorrenti, come detto, aspirano ad una rivalutazione inammissibile in questa sede – degli elementi apprezzati dai giudici di merito, al fine di giungere ad una valutazione quantomeno di insufficienza probatoria.

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione della L.R. 27 agosto 1992, n. 25, art. 12-bis, per avere la Corte territoriale escluso l’applicabilità del comma 1 di tale previsione, a mente del quale “i movimenti di terra relativi alla costruzione di opere pubbliche e private non sono soggetti alla normativa in materia di attività estrattive”.

La doglianza è inammissibile, perchè, ancora una volta, pur formalmente denunciando una violazione di legge, presuppone una diversa ricostruzione dei fatti, all’esito di una rivalutazione delle risultanze istruttorie, peraltro argomentata su congetture e asserzioni. Ciò vale, ad es., per l’affermazione secondo la quale, poichè i progetti prevedevano il livellamento delle pertinenze esterne, si è legittimamente attinto al materiale disponibile sul fondo contiguo; o ancora per la tesi del collegamento tra i due fondi dei quali si discute e che sono certamente distinti sul piano fisico (gli stessi ricorrenti riconoscono l’esistenza di una strada, sia pure riconducibile alla viabilità di penetrazione nella zona industriale) e giuridico; o, infine, per gli argomenti tratti dal silenzio, quanto all’utilizzo dei materiali indicati, delle concessioni edilizie.

3. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, lamentando la mancata disamina, da parte della Corte territoriale, dei rilievi – articolati nei primi due motivi – che erano stati formulati anche nell’atto di appello.

La doglianza è inammissibile.

Se, come i ricorrenti pretendono, si trattasse di violazione di legge, sarebbe sufficiente osservare che, qualora il ricorrente prospetti un difetto di motivazione che non riguarda un punto di fatto, bensì un’astratta questione di diritto, il giudice di legittimità, investito, a norma dell’art. 384 c.p.c., del potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata, è chiamato a valutare se la soluzione adottata dal giudice del merito sia oggettivamente conforme alla legge, piuttosto che a sindacarne la motivazione, con la conseguenza che anche l’eventuale mancanza di questa deve ritenersi del tutto irrilevante, quando il giudice del merito sia, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (v., ad es., Cass. 28 maggio 2019, n. 14476).

Tuttavia, come detto, le questioni affrontate dalla Corte territoriale investono essenzialmente la ricostruzione dei fatti e sono state esaminate in termini articolati, ancorchè non ritenuti soddisfacenti dai ricorrenti.

Ne discende che non è ravvisabile in radice il presupposto dell’omessa + 39 338 521 4806 o apparente motivazione al quale si raccorda la doglianza.

4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e i ricorrenti devono essere condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

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