Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20523 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. II, 29/09/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 29/09/2020), n.20523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22432/2016 proposto da:

P.R., rappresentata e difesa dall’avvocato FABIO

PICCIONI;

– ricorrente –

contro

COMUNE PISTOIA in persona del Sindaco pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 216/2016 del TRIBUNALE di PISTOIA, depositata

il 14/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 14 marzo 2016 il Tribunale di Pistoia ha respinto l’appello proposto da P.R. avverso la sentenza di primo grado che aveva solo parzialmente accolto l’opposizione proposta avverso l’ordinanza ingiunzione del 31 dicembre 2011 del Comune di Pistoia, rideterminando in 150,00 Euro la sanzione amministrativa irrogata alla prima, ai sensi del regolamento comunale per l’applicazione della tariffa di igiene ambientale, per non avere comunicato, nel termine di novanta giorni, alla Publiambiente s.p.a. l’avvenuta iscrizione nell’anagrafe del Comune di Pistoia.

2. Per quanto ancora rileva, il Tribunale ha osservato: a) che il dirigente del servizio Entrate del Comune di Pistoia era il soggetto competente ad emettere l’atto di accertamento, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 13,D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 107 e dell’art. 35 del regolamento comunale relativo alla tariffa di igiene ambientale; b) che la L. n. 689 del 1981, art. 18, non prescrive che l’ingiunzione debba essere emessa da soggetto diverso da quello che ha accertato la violazione; c) che l’art. 26 del regolamento citato impone di comunicare l’avvenuta iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente nel Comune di Pistoia, nel termine di novanta giorni, e che la P. era risultata intestataria della scheda di famiglia e non aveva dichiarato, nella richiesta di iscrizione anagrafica, di essere entrata a far parte, quale convivente, della famiglia del proprietario dell’immobile, avendo, al contrario, deciso di costituire un autonomo nucleo familiare.

3. Avverso tale sentenza la P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Comune non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 35, comma 2, del regolamento comunale per l’applicazione della tariffa per la gestione dei rifiuti, approvato con deliberazione del Consiglio comunale di Pistoia n. 42 del 19 febbraio 2003.

Rileva la ricorrente: a) che, ai sensi dell’art. 35, comma 2, cit., le violazioni delle norme contenute nel regolamento sono contestate e le sanzioni sono applicate dal Servizio Entrate del Comune, mentre nessun riferimento è operato al dirigente di tale servizio; b) che, peraltro, alla luce dell’ampio organigramma del Servizio Entrate, gli organi titolari della potestà di accertamento dovevano essere individuati tra i soggetti che, ai sensi della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 179, avessero compiuto il percorso di formazione prefigurato da siffatta disciplina.

La doglianza è priva di qualunque fondamento.

Va premesso che da tempo la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, in tema di sanzioni amministrative (nel caso di specie, per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria: ma il dato è privo di rilievo), per effetto dell’entrata in vigore della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-octies, comma 2, disposizione, introdotta dall’art. 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15, avente carattere processuale e applicabile anche con effetto retroattivo -, gli eventuali vizi del procedimento amministrativo non sono rilevanti, in ragione tanto della natura vincolata del provvedimento sanzionatorio, quanto della immodificabilità del suo contenuto (Cass., Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20929; di recente, con riferimento al profilo dell’osservanza del termine per la conclusione del procedimento, v., Cass. 20 marzo 2018, n. 6965).

Nel caso di specie, peraltro, nessun vizio è configurabile dal momento che, ai sensi del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 107, spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli artt. 97 e 108 del medesimo D.Lgs..

Ne discende che proprio il dirigente è il soggetto chiamato a dare attuazione alla competenza prefigurata dall’art. 35 del regolamento comunale sopra citato.

Siffatta ricostruzione non è scalfita dalla disciplina invocata dalla ricorrente, giacchè la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 179, è destinato ad ampliare la platea dei soggetti legittimati ad esercitare i poteri di accertamento e di contestazione, non ad escluderne il dirigente.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 13, 17 e 18, contestando la conclusione della sentenza impugnata, secondo la quale la L. n. 689 del 1981, art. 18, non impone affatto che l’ordinanza ingiunzione debba essere emessa da un dirigente dell’autorità amministrativa diverso da quello che ha accertato la violazione.

La doglianza è infondata.

Fermo restando quanto sopra rilevato a proposito della rilevanza della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies, si osserva che, in tema di sanzioni amministrative, l’alterità tra soggetto accertatore e soggetto che adotta il provvedimento sanzionatorio non costituisce requisito di legittimità dell’atto, una volta che questo sia adottato, come nella specie, dall’organo al quale la legge, statale o regionale, attribuisce la relativa competenza (v., in principi affermati da Cass. 25 marzo 2005. n. 6519; Cass. 6 aprile 2004, n. 6769).

La questione, nonostante quanto assertivamente dedotto in ricorso, non è stata ignorata dal Tribunale, ma semplicemente risolta in termini diversi da quanto auspicato dalla ricorrente.

3. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

La ricorrente osserva: a) che il Tribunale nulla aveva argomentato in ordine alla lamentata carenza istruttoria relativa ai “fatti che riposavano dietro la costituzione, in un solo appartamento, di due distinti nuclei familiari”; b) che l’onere di integrare la comunicazione gravava sul convivente della ricorrente e non su di lei, attinta dal mero errore formale di rilevazione della nuova iscrizione anagrafica; c) che il thema decidendum era rappresentato anche dalla conoscenza, giuridicamente vincolante, della previsione regolamentare.

La doglianza è inammissibile per l’assoluta genericità di formulazione. La ricorrente – che non fa riferimento a richieste istruttorie disattese pare dolersi dell’assenza di prova dei fatti costitutivi della fattispecie sanzionatoria, che, invece, i giudici di merito hanno ritenuto sussistenti.

In tali termini ricostruita la portata della censura, si osserva che la sentenza impugnata è stata depositata in data 14 marzo 2016.

Viene, pertanto, in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della Legge di conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Nel caso di specie, la ricorrente si sottrae a siffatto onere e, in termini assertivi rispetto alla ricostruzione operata dal Tribunale, reitera la propria prospettazione difensiva, peraltro introducendo il tema dell’elemento soggettivo che non risulta essere stato sottoposto al Tribunale e che la ricorrente stessa non chiarisce quando e come avrebbe sollevato.

In ogni caso, va aggiunto che, in tema di illeciti amministrativi, la responsabilità dell’autore dell’infrazione non è esclusa dal mero stato di ignoranza circa la sussistenza dei relativi presupposti, ma occorre che tale stato sia incolpevole, cioè non superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza (v., ad es., Cass. 28 febbraio 2019, n. 6018).

4. Il ricorso va, in conseguenza, rigettato. Nulla per le spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

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