Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2052 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 27/01/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 27/01/2011), n.2052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 25540-2009 proposto da:

S.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MONTE ZEBIO, 18, presso lo studio dell’avvocato CAMICI GIAM

MARIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato VENTURI

ITALO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in

persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso

dall’avvocato LANZETTA SLISABETTA, giusta mandato speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 920/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del

30.6.09, depositata il 07/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. GIANFRANCO BANDINI.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. Umberto

APICE.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza de 30.6 – 7.7.2009 la Corte d’Appello di Firenze ha rigettato la domanda proposta da S.F. nei confronti dell’Inps e diretta alla riliquidazione del trattamento di fine rapporto mediante il computo, nella relativa base di calcolo, dell’assegno di garanzia della retribuzione e dell’indennità di processo.

Avverso tale sentenza S.F. ha proposto ricorso fondato su un unico articolato motivo.

L’Inps ha resistito con controricorso.

A seguito di relazione, la causa è stata decisa in camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c..

2. La Corte territoriale ha fondato la propria decisione facendo espresso richiamo ai principi enunciati da questa Corte con la sentenza n. 11604/2008; tale orientamento ermeneutica, pur in presenza anche di pronunce di diverso segno, ha trovato conferma in ulteriori successive pronunce di legittimità (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 18587/2008; 19015/2008; 19299/2008; 9931/2009).

Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr, Cass., SU, n. 7154/2010), in sede di risoluzione di contrasto, hanno enunciato il principio secondo cui, in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del cosiddetto parastato, la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 13, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 cod. civ.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all’autonomia regolamentare dei singoli enti solo l’eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio; il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicchè deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti, come quello dell’Inps, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo.

3. La ricorrente invoca una difforme interpretazione della normativa di riferimento, senza prospettare tuttavia argomenti che non siano stati già valutati, cosicchè non si ravvisano motivi per mutare il ricordato orientamento di questa Corte.

4. In definitiva il ricorso deve essere rigettato.

L’insorgenza del contrasto risolto nel senso anzidetto dalle Sezioni Unite di questa Corte consiglia la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; spese compensate.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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