Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20517 del 30/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 30/07/2019, (ud. 17/07/2018, dep. 30/07/2019), n.20517

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15211/2014 proposto da:

F.V., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GAETANO CICCONE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS) – Società con socio unico,

soggetta all’attività di direzione e coordinamento di Ferrovie

dello Stato Italiane S.p.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S. MARIA

MEDIATRICE 1, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO BUCCI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1033/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 06/06/2013 R.G.N. 539/2012.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza pubblicata in data 6.6.2013, respingeva l’appello interposto da F.V., nei confronti di Trenitalia S.p.A., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede, resa il 26.1.2012, che aveva rigettato la domanda del lavoratore – dipendente della predetta società, inquadrato nel livello D1 del CCNL 16.4.2003 -, diretta al riconoscimento delle mansioni superiori rientranti nella figura di “Professional” parametro B dell’Area Quadri del medesimo CCNL, ed alle conseguenti differenze retributive;

che per la cassazione della sentenza ricorre F.V. articolando due motivi, cui resiste Trenitalia S.p.A. con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione dell’art. 414 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; art. 420 c.p.c., comma 1 e art. 164 c.p.c., commi 4 e 5, ed in particolare, si lamenta che la Corte di merito non abbia dichiarato la nullità del ricorso di primo grado (proposto dallo stesso F.), mancando l’indicazione delle mansioni svolte in concreto dal lavoratore, nonostante la stessa fosse un elemento costitutivo della domanda, la cui mancanza costituisce violazione dell’art. 414 c.p.c., comma 1, n. 4, con conseguente sanzione di nullità; peraltro, a parere del F., a nulla rileverebbe che a dar causa alla nullità sarebbe stata la stessa parte ricorrente, perchè l’art. 157 c.p.c., non dovrebbe applicarsi ai casi in cui la nullità sia riferita ad un difetto di attività del giudizio che, nel caso di specie, avrebbe dovuto condurre ad autorizzare l’integrazione del ricorso, ai sensi degli artt. 420 e 164 c.p.c.; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, perchè il giudice di appello non avrebbe rilevato che la società datrice non avrebbe contestato lo svolgimento di mansioni superiori, ma solo il carattere non costante dello stesso;

che il primo motivo non è meritevole di accoglimento: va, al riguardo, innanzitutto, osservato che non è stato trascritto il ricorso introduttivo del giudizio ed in particolare, i punti sui quali le censure sollevate in questa sede impingono, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, alla stregua del quale è onere della parte ricorrente di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014, cit.). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di poter apprezzare la veridicità della doglianza svolta dal ricorrente; inoltre, nel rito del lavoro, come, in più occasioni ribadito dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (v., tra le altre, Cass. n. 820/2007), la valutazione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio per omessa determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto sulle quali si fonda – ravvisabile solo quando, attraverso l’esame complessivo dell’atto, sia impossibile individuare con esattezza la pretesa del ricorrente ed al resistente venga quindi tolta la possibilità di apprestare una difesa adeguata – implica una interpretazione dell’atto introduttivo della controversia riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione; e, nella fattispecie, la Corte distrettuale, con un iter logico-giuridico del tutto condivisibile, perchè scevro da vizi ed ancorato ai consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte (v., in particolare, pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata), ha reputato che “anche a voler ritenere che la domanda introduttiva del giudizio sia nulla per indeterminatezza della causa petendi, dall’applicabilità del chiaro disposto dell’art. 157 c.p.c., comma 3, discende che, in questa fase di gravame, l’originaria parte ricorrente non può impugnare la sentenza deducendo quella nullità cui la stessa parte aveva dato causa, ossia proponendo detta domanda presuntivamente nulla”;

che il secondo motivo è inammissibile, in quanto, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, in data 6.6.2013, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare”, in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della pronunzia per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale, come innanzi osservato, con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso va rigettato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 17 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019

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