Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20513 del 30/07/2019

Cassazione civile sez. II, 30/07/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 30/07/2019), n.20513

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13227/2015 proposto da:

D.C.R., D.C.F., D.C.L.R.,

D.C.G., rappresentati e difesi dall’avvocato

COSTANTINO ANTONIO MONTESANTO;

– ricorrenti –

contro

P.C., rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE

PIZZUTI;

– controricorrente –

e contro

P.A., P.M., C.L.,

C.P., B.P., B.V., B.A., B.R.,

con Avv. PASQUALE PIZZUTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 132/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 13/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/03/2019 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Salerno, con sentenza pubblicata il 13 febbraio 2015 e notificata il 26 febbraio 2015, ha rigettato l’appello proposto da D.C.L.R., D.C.R., D.C.F. e D.C.G. avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 2061 del 2006, e nei confronti di P.G..

1.1. Il Tribunale aveva accolto la domanda di regolamento di confini proposta da P.G. e rigettato la riconvenzionale di usucapione spiegata dai consorti D.C..

2. La Corte d’appello ha confermato la decisione.

3. Per la cassazione della sentenza ricorrono D.C.L.R., D.C.R., D.C.F. e D.C.G. sulla base di due motivi. Resistono con controricorso P.C., P.A., P.M., C.L., C.P., B.P., B.V., B.A. e B.R., tutti nella qualità di eredi di P.G..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è infondato.

2. Con il primo motivo è denunciata violazione degli artt. 950,1141,1158,1159-bis, 2697 c.c. e si contesta che la Corte d’appello ha affermato che la sola attività di coltivazione esercitata dai convenuti D.C. sul fondo controverso non era sufficiente a dimostrare l’animus possidendi. I ricorrenti evidenziano che la giurisprudenza di legittimità richiamata dalla Corte d’appello non sarebbe conferente nel caso di specie, nel quale si discuteva di regolamento di confini riferito ad un unico fondo coltivato ad agrumeto, per la più parte di proprietà esclusiva dei D.C., sicchè non poteva porsi il dubbio che l’eventuale sconfinamento dei predetti fosse dovuto a tolleranza o all’esistenza di un mai dedotto titolo detentivo.

3. Con il secondo motivo è denunciata nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., artt. 1158,1159-bis c.c., L. 25 luglio 1952, n. 991 e succ. modif., e si contesta il mancato accoglimento della domanda di usucapione speciale formulata in appello, che era sicuramente ammissibile avendo ad oggetto un diritto autodeterminato, e della quale sussistevano i presupposti di legge, posto che il Comune di Cetara rientra tra i comuni classificati “montani” dalla L. n. 991 del 1952.

4. Il primo motivo è infondato.

4.1. La ratio della decisione di rigetto della domanda riconvenzionale, che risiede nel difetto di prova del possesso ad usucapionem della striscia di terreno da parte dei D.C. e che risulta dirimente con riferimento sia all’usucapione ordinaria sia a quella speciale, resiste alle censure prospettate dai ricorrenti. E infatti, riesaminate le prove testimoniali e la CTU, la Corte d’appello ha ritenuto non decisiva la questione dell’età delle piante di limoni presenti sulla zona di terreno occupata dai D.C. – 15 anni secondo il CTU, 20 anni secondo il consulente di parte – dal momento che non v’era prova che a piantarle fossero stati i D.C., nè che essi avessero realizzato le opere idrauliche presenti sul fondo, sicchè la sola attività di coltivazione pure risalente nel tempo non era sufficiente a dimostrare l’animus possidendi.

Il giudizio così espresso, mentre non è sindacabile sul piano dell’accertamento in fatto e dell’apprezzamento della prova (tra le molte Cass. 21/02/2007, n. 4035), si sottrae alla censura di violazione di legge in quanto conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice, secondo cui l’animus possidendi può essere desunto in via presuntiva dal corpus possessionis se lo svolgimento di attività corrispondente all’esercizio del diritto dominicale è di per sè indicativo dell’intento, in colui che la compie, di avere la cosa come propria (ex plurimis, Cass. 03/07/2018, n. 17376; 29/07/2013, n. 18215; 10/07/2007, n. 15446).

5. Nel rigetto del primo motivo di ricorso rimane assorbito il secondo motivo, che prospetta questioni riguardanti l’usucapione speciale, posto che l’istituto previsto dall’art. 1159-bis c.c., presuppone, al pari dell’art. 1158 c.c., la sussistenza di una situazione di fatto riconducibile al possesso ad usucapionem, nella specie esclusa.

6. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo. Sussistono Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare alla controparte le spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019

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