Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20510 del 30/07/2019

Cassazione civile sez. II, 30/07/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 30/07/2019), n.20510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis.1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 13841/15) proposto da:

D.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza

di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Mario Arrica e

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Aldo

Seminaroti, in Roma, viale Parioli, n. 87;

– ricorrente –

contro

B.S., (C.F: (OMISSIS)) e O.C. (C.F.:

(OMISSIS)), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale a

margine del controricorso, dall’Avv. Massimo Frongia ed

elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Adriano Aureli,

in Roma, v. Mercadante, n. 9;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari n. 648/2014,

depositata il 20 novembre 2014 (notificata il 24 marzo 2015).

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. I sigg. B.S. e O.C. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Cagliari, il sig. D.G., esponendo di essere proprietari di un fondo (con fabbricato sullo stesso insistente) sito in (OMISSIS), in virtù di atto di donazione dell’aprile 2006 da parte di P.A.L., che, tuttavia, era stato successivamente occupato illegittimamente dal predetto convenuto, ragion per cui se ne chiedeva il rilascio con la correlata condanna al risarcimento dei danni a carico dello stesso D..

Quest’ultimo si costituiva in giudizio e formulava domanda riconvenzionale di usucapione, la quale veniva accolta dal suddetto Tribunale con sentenza n. 1514/2013.

2. Pronunciandosi sull’appello proposto dai soccombenti attori e nella resistenza dell’appellato, la Corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 648/2014, accoglieva, per quanto di ragione, il gravame e, per l’effetto, condannava il D.G. all’immediato rilascio del fondo dedotto in controversia, respingendo, tuttavia, la pretesa risarcitoria.

3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione – affidato a due motivi – il D.G., a cui hanno resistito entrambi gli intimati con un unico controricorso. Il difensore di questi ultimi ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Rileva, in primo luogo, il collegio che deve essere dichiarata inammissibile la costituzione del nuovo difensore del ricorrente, effettuata con memoria depositata in cancelleria il 18 marzo 2019, poichè fondata su mera procura speciale in calce a detto atto, nel mentre avrebbe dovuto essere rilasciata essendo stato incardinato il giudizio in primo grado con citazione notificata il 25 maggio 2006 – nelle forme proprie dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.

Deve, infatti, trovare applicazione al riguardo il principio enunciato da questa Corte (cfr. Cass. n. 18323/2014 e Cass. n. 20692/2018) secondo cui nel giudizio di cassazione, il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45 (ovvero, il 4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, c.p.c. comma 2.

2. Chiarito questo aspetto pregiudiziale, si osserva che con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – l’inosservanza o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., nel testo come novellato con il D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, avuto riguardo all’asserito difetto di specificità dell’atto di appello formulato dai soccombenti in primo grado B.S. e O.C..

2.1. La censura è priva di fondamento e va respinta.

Infatti, per quanto riportato nell’impugnata sentenza (v., in particolare, pag. 5), è da ritenere che il gravame formulato dagli appellanti fosse sufficientemente specifico, essendo stato con esso adeguatamente confutate la ricostruzione fattuale e la decisione in diritto del primo giudice sulla scorta, in special modo, della rivalutazione delle risultanze della prova orale ai fini della ravvisata fondatezza della domanda riconvenzionale di usucapione (non essendo stata contestata la titolarità petitoria del bene in capo ai medesimi appellanti).

Del resto, alla stregua della univoca giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. SU n. 27199/2017 e Cass. n. 13535/2018) l’art. 342 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, va interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (testualmente) l’inosservanza degli artt. 948,1140,1158,1165,1167 e 2697 c.c., sul presupposto che, nel caso di specie, la Corte cagliaritana avrebbe dovuto qualificare l’azione intrapresa dai sigg. B. – O. come di rivendicazione, in ordine alla quale questi ultimi avrebbero dovuto, perciò, offrire la prova non soltanto del proprio titolo di acquisto relativo al bene contestato bensì anche dei titoli di acquisto dei precedenti proprietari, fino a giungere ad un acquisto a titolo originario.

3.1. Il motivo è infondato per l’assorbente ragione che la Corte di appello sarda ha adeguatamente escluso la fondatezza della domanda di usucapione, essendo rimasto accertato – all’esito dell’istruzione probatoria – che, invece, il fondo (con relativo fabbricato) era stato illegittimamente occupato dal D., donde l’accertamento di tale abuso dal quale non poteva che derivare l’ordine di rilascio in favore degli effettivi proprietari (il cui titolo petitorio non era stato oggetto di contestazione, donde la non necessità della “probatio diabolica” che sarebbe stata indispensabile solo se si fosse trattato di azione di rivendicazione).

A tal proposito, deve, infatti, anche osservarsi che la giurisprudenza pacifica di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 5161/2006 e Cass. n. 22598/2010) ha precisato che, qualora il convenuto sostenga (come verificatosi nel caso di specie), in via riconvenzionale, di aver acquistato per usucapione la proprietà del bene rivendicato, si attenua l’onere probatorio posto a carico dell’attore in rivendicazione, poichè esso si riduce alla prova di un valido titolo di acquisto da parte sua e dell’appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di aver iniziato a possedere, nonchè alla prova che quell’appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto.

Orbene, con riferimento alla vicenda processuale in questione, è incontroverso che il D. si fosse limitato, già all’atto della costituzione in primo grado, a formulare domanda riconvenzionale in ordine all’accertamento dell’acquisto per usucapione dell’immobile oggetto di causa (sul presupposto di averlo posseduto fin dal 1965 per oltre un ventennio), ma non aveva affatto contestato la sussistenza dell’intervenuto acquisto del diritto di proprietà per effetto di donazione del 2006 in capo ai sigg. B.S. e O.C. da parte di P.A., nè quello già sussistente in favore di quest’ultima, che trovava il suo fondamento in un acquisto intervenuto per atto pubblico in data 6 giugno 1969, debitamente trascritto.

Pertanto, correttamente, la Corte territoriale ha incentrato la sua valutazione sulla ricorrenza o meno delle condizioni per la configurazione dell’usucapione in favore del D. e, all’esito di un esame complessivo di tutte le risultanze probatorie acquisite conseguenti alle istanze istruttorie formulate da entrambe le parti (dando rilievo non solo a quelle testimoniali ma anche alle emergenze dei documenti prodotti dai B. – O., dai quali si era potuto evincere che la loro dante causa aveva compiuto – in vari momenti temporali – concreti atti di gestione relativi al controverso fondo con relativo fabbricato), ha escluso che tali condizioni si fossero realizzate. Di conseguenza, per effetto della ponderazione di tutte le emergenze probatorie, ha – con motivazione assolutamente adeguata – ritenuto che il D. non avesse affatto posseduto l’immobile dedotto in giudizio in conformità ai presupposti previsti dall’art. 1158 c.c., ma che, al contrario, lo avesse illegittimamente occupato, da cui la ravvisata fondatezza dell’appello avanzato dai B. – O..

D’altronde è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (v., ex plurimis, Cass. n. 3736/1997, Cass. n. 4035/2007 e Cass. n. 11410/2010) che l’accertamento relativo al possesso “ad usucapionem”, alla rilevanza delle prove ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione è devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici.

E’ appena il caso, in ultimo, di riaffermare che il ricorso per cassazione è un mezzo di impugnazione ordinario, a critica vincolata, che non ha effetto devolutivo e che, soprattutto, non introduce un terza istanza sul merito del giudizio.

Nel giudizio di cassazione, infatti, le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa; ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (cfr., tra le tante, Cass. n. 7972/2007 e Cass. n. 25332/2014).

4. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori (Iva e Cpa) come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019

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