Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20509 del 30/07/2019

Cassazione civile sez. II, 30/07/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 30/07/2019), n.20509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis.1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 14030/’15) proposto da:

M.V., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza

di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Fausto Ibello e

domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria civile della Corte di

Cassazione, in Roma, Piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

MU.CA., (C.F: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in

virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.

Vincenzo Pagno e domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria civile

della Corte di Cassazione, in Roma, Piazza Cavour;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1906/2015,

depositata il 27 aprile 2015 (notificata a mezzo pec il 5 maggio

2015).

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione ritualmente notificato Mu.Ca. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Santa M. Capua Vetere – sez. dist. di Aversa, M.V. al fine di sentir riconoscere e dichiarare di aver acquistato, con atto per notar Mo. del 30 gennaio 2002, l’immobile in esso indicato (sito in (OMISSIS) costituito da due locali attigui già intercomunicanti con apposita porta e che il M. aveva, tuttavia, murato), con la condanna dello stesso convenuto al rilascio della porzione di detto immobile dal medesimo illegittimamente occupato.

Nella resistenza del convenuto, l’adito Tribunale, con sentenza n. 125/2009, rigettava la domanda.

2. Interposto appello da parte del Mu. e nella costituzione dell’appellato, la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 1906/2015, accoglieva il gravame, riconoscendo la rivendicata proprietà in favore dell’appellante, con il conseguente ordine di ripristino – da parte dell’appellato dell’apertura intercomunicante tra i due vani di cui si componeva il controverso complesso immobiliare nonchè con la condanna al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede.

3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il M.V. riferito ad un solo motivo al quale ha resistito con controricorso il Mu.Ca..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo proposto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in uno all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, asserendo che la Corte di secondo grado aveva erroneamente ritenuto – anche per effetto delle risultanze della c.t.u. – che il vano rivendicato coincidesse con la porzione immobiliare oggetto del trasferimento di proprietà in favore del Mu., nonostante tale circostanza fosse stata dal medesimo contestata.

1.1. Rileva il collegio che il motivo è inammissibile.

Esso, invero, si risolve nella sollecitazione di una rivalutazione delle risultanze istruttorie e – specificamente – di quelle documentali sulla scorta delle quali la Corte di appello ha adeguatamente e logicamente ritenuto – in virtù di una congrua motivazione non censurabile nella presente sede di legittimità – che il complesso dei due vani cui poneva riferimento l’atto di acquisto del Mu. fosse quello interessato dall’apertura intercomunicante murata dal M., sulla scorta degli esiti della c.t.u., della verificata corrispondenza dei luoghi e dei riscontri emergenti dal grafico catastale allegato all’atto di acquisto.

Non può, quindi, affermarsi che la Corte territoriale sia incorsa nella prospettata violazione dei richiamati artt. 115 e 116 c.p.c., nè che non abbia esaminato fatti decisivi ai fini della risoluzione della controversia, non potendosi ritenere tale la mancata risposta su una contestazione mossa contro la relazione del c.t.u. (avuto riguardo, nel caso di specie, alla individuazione del secondo vano acquistato da esso M.) sul presupposto della sua non esaustività, sulla quale, invece, la Corte napoletana ha puntualmente motivato, ritenendola, per l’appunto, conferente ed attendibile e, quindi, come tale, conducente a ravvisare la fondatezza dell’appello.

Del resto costituisce principio pacifico che, nel giudizio di rivendicazione, l’identificazione dell’immobile oggetto dell’azione costituisce un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità qualora il giudice abbia dato congrua giustificazione del suo convincimento.

Oltretutto, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (v., ad es., Cass. n. 27000/2016 e Cass. 1229/2019).

E’ appena il caso, in ultimo, di riaffermare che il ricorso per cassazione è un mezzo di impugnazione ordinario, a critica vincolata, che non ha effetto devolutivo e che, soprattutto, non introduce un terza istanza sul merito del giudizio.

Nel giudizio di cassazione, infatti, le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa; ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (cfr., tra le tante, Cass. n. 7972/2007 e Cass. n. 25332/2014).

2. In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori (Iva e Cap) come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019

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