Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20497 del 06/09/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20497 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: GRECO ANTONIO

prova
presunzioni

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
UNETNISH DI PARREMO DCMEN100 & C. snc, PASTORE FILIPPO e PASTORE
ENRICO, rappresentata e difesa dall’avv. Davide Druda e dall’avv.
Stefano Coen, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma
in piazza Priscilla n. 4;

ricorrente

contro
AGENZIA. DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore pro terpore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
presso la quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n.
12;
– controricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
del Veneto n. 105/1/05, depositata il 19 maggio 2006;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10 aprile 2013 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
udito l’avvocato dello Stato Pietro Garofoli per la
controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Ennio Attilio Sepe, che ha concluso per il rigetto

Data pubblicazione: 06/09/2013

del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La snc Unifish nonché i soci Enrico Pastore e Filippo
Pastore impugnarono l’avviso di accertamento con il quale era
stato rettificato in aumento il reddito d’impresa dichiarato
dalla società per l’anno 1996 mediante recupero a tassazione di
una plusvalenza non dichiarata derivante dalla cessione di un
capannone industriale alla srl Tre Effe: il reddito netto di lire
l’ILOR la società godeva dell’esclusione dall’imposta ai sensi
dell’art. 115, coma 2, lettera e bis, del d.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917.
Avverso la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso,
pronunciata il 24 maggio 2002, la società Unfish, in data 27
settembre 2002, proponeva appello, che era dichiarato
inammissibile, con sentenza del 28 gennaio 2005, in quanto non
notificato all’ufficio.
Nei confronti della medesima sentenza era stato proposto un
ulteriore appello il 2 dicembre 2004 dalla snc Uhifish, in
persona dell’allora socio amministratore e del socio Enrico
Pastore, tenendo conto del termine lungo, cui si aggiungeva la
sospensione fino al 30 aprile 2004 prevista dall’art. 16 della
legge 27 dicembre 2002, n. 289.
La

Commissione

tributaria

regionale

dichiarava

inammissibile il ricorso con riguardo alla Unifish, ritenendo non
proponibile un ulteriore appello dopo la dichiarazione di
inammissibilità, per mancanza di notifica, del primo appello
proposto, mentre riteneva ammissibile l’appello proposto dai due
soci Filippo ed Enrico Pastore, perché parti del giudizio di
primo grado.
Nel merito, rigettava l’impugnazione.
Nei confronti della decisione la snc Unifish ed i soci
Filippo ed Enrico Pastore propongono ricorso per cassazione sulla
base di tre motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
MCCIVI DELLADECISIMIE

Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 53,
coma 2, e 60 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, i ricorrenti

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734.200.000 veniva imputato ai soci ai fini IRPEF, mentre per

sostengono sarebbe valido il secondo appello presentato dalla
società prima della dichiarazione di inammissibilità del primo.
Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt.
39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 2727 e 2729 cod. civ.,
assumono non poter essere definite presunzioni gravi precise e
concordanti della percezione di una somma di denaro da parte di
un soggetto quelle fondate sulla percezione di tale denaro da
parte di soggetti terzi, senza che alcuna indagine in tal senso
attribuita, e che spetterebbe all’ufficio dare la prova della
pretesa, e non al contribuente offrire la prova contraria.
Denuncia infine vizio di motivazione in ordine alla
percezione delle somme di denaro da parte della società Unifish,
negata da quest’ultima ed invece affermata dall’ufficio.
Il primo motivo del ricorso è infondato.
L’art. 60 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, riproducendo
per il processo tributario la formulazione letterale dell’art.
358 cod. proc. civ., rende applicabile il principio in virtù del
quale la consumazione dell’impugnazione, che ne preclude la
riproposizione anche nell’ipotesi in cui non sia ancora scaduto
il termine stabilito dalla legge, opera soltanto ove sia
intervenuta una declaratoria d’inammissibilità, con la
conseguenza che, fino a quando siffatta declaratoria non sia
intervenuta, può essere proposto un nuovo atto di appello, immune
dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, purché la
seconda impugnazione risulti tempestiva, in rapporto al termine
breve decorrente, in caso di mancata notificazione della
sentenza, dalla data di proposizione del primo appello, che
equivale alla conoscenza legale della sentenza da parte
dell’impugnante (Cass. n. 11762 del 2012).
Nella specie, il secondo appello della snc Unfinish fu
bensì proposto, il 2 dicembre 2004, prima che fosse pronunciata,
in data 28 gennaio 2005, l’inammissibilità del primo, ma quando
dalla proposizione di questo, equivalente, in caso di mancata
notificazione della sentenza, alla sua conoscenza legale da parte
dell’impugnante, e risalente al 24 settembre 2002, era già
spirato il termine breve per l’impugnazione.

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venga posta in essere nei confronti del soggetto cui viene

Il giudice di merito ha pertanto correttamente ritenuto
ammissibile il solo appello proposto dai soci.
Il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente
in quanto strettamente legati, sono del pari infondati, non
ravvisandosi nella decisione le violazioni di legge ed il vizio
di motivazione denunciato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio
secondo cui le presunzioni semplici costituiscono una prova
anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio
convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale,
istituzionalmente demandatogli, di scegliere, fra gli elementi
probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a
dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione,
non occorrendo l’acquisizione, a conforto, di ulteriori elementi
presuntivi o probatori desunti dall’esame della documentazione
contabile o bancaria del contribuente, in quanto, se gli indizi
hanno raggiunto la consistenza di prova presuntiva, non vi è
necessità di ricercarne altri o di assumere ulteriori fonti di
prova (Cass. n. 9108 del 2012).
Il giudice d’appello, sulla base degli elementi offerti
dall’ufficio, ha ritenuto che le somme versate dalla srl Tre
Effe, rispettivamente, con assegni circolari e bonifici bancari
ad Enrico Pastore, socio della Unfinish snc, e con assegni a
Paolo Legazzoli, consulente-collaboratore della Unfinish,
costituivano una differenza non dichiarata sul prezzo realizzato
dalla vendita, da parte della Unfinish di un capannone
industriale alla srl Tre Effe, vale a dire un prezzo maggiore di
quello risultante dal rogito e dalla fattura del 15 febbraio
1996. Ed ha esercitato la sua discrezionalità nell’apprezzamento
e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente
apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione
delle risultanze probatorie e del proprio convincimento.
Ha infatti rilevato che dal processo verbale di
constatazione, allegato agli atti di causa, risultava essere
stata svolta un’accurata indagine nei confronti della società
contribuente per appurare se trovassero dei riscontri con le
operazioni commerciali e finanziarie da questa registrate

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completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza

l’emissione degli assegni e dei bonifici bancari effettuati dalla
Tre Effe. Ed ha ritenuto che “gli assegni circolari e i bonifici
bancari emessi a favore del socio Enrico Pastore, non
giustificati da operazioni effettuate per proprio conto, la
peculiare compagine sociale della Unfinish (a ristretta base
familiare: solo due soci legati da stretti vincoli familiari padre e figlio) costituiscono presunzioni gravi, precise e
concordanti su cui l’ufficio ha legittimamente fondato
Pastore Enrico fossero da riferirsi alla compravendita
immobiliare effettuata dalla Unfinisch, non essendo necessario
giustificare in modo autonomo il “passaggio” delle somme alla
società”.
Le spiegazioni fornite dai ricorrenti, beneficiari delle
rimesse della Tre Effe, quali emergevano dai verbali di
constatazione, non erano state convincenti in quanto del tutto
generiche, e quindi inverosimili per la rilevanza degli importi:
il socio Enrico Pastore, a fronte di assegni e versamenti sul suo
conto corrente bancario per oltre lire 650.000.000 si era
limitato a dichiarare che le somme ricevute si riferivano a
prestiti personali ottenuti da Paolo Solin, amministratore della
Tre Effe “per far fronte ad esigenze personali (non precisate) ed
affermava di non ricordare le date in cui le aveva ricevute né di
aver sottoscritto alcun documento..”. Analoghe considerazioni
andavano svolte sulle dichiarazioni di Paolo Legazzoli,
consulente collaboratore della società contribuente, per gli
assegni ricevuti, per lire 60.000.000, dalla Tre Effe per
presunte prestazioni di lavoro occasionale, sonrna che andava
considerata corrisposta alla Unfinish”.
Il giudice d’appello concludeva quindi escludendo la
violazione dell’art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973,
“perché i molteplici elementi e documenti rilevati nei diversi
verbali di constatazione.., nei confronti dei soggetti che hanno
partecipato alla compravendita del capannone…, quali l’emissione
di assegni circolari e ordine di bonifici bancari dalla Tre Effe,
spiegazioni dei beneficiari vaghe e non sorrette da alcuna prova,
ristretta base familiare della società Unfinish (padre e figlio),
rivendita del capannone nel giro di pochi mesi per un prezzo

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l’accertamento, ritenendo che le somme incassate dal signor

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nettamente superiore, valutati nel loro complesso, provano, sia

pure attraverso il ricorso a presunzioni gravi, precise e
concordanti, che la snc Unfinish ha realizzato dalla vendita del
capannone un prezzo che va ben oltre quello fatturato (una
plusvalenza di lire 714.200.000)”.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano
corre in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese
del giudizio, liquidate in euro 4.000, oltre alle spese prenotate
a debito.
Così deciso in Roma il 10 aprile 2013.

P.Q.M.

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