Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20496 del 12/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 12/10/2016, (ud. 15/10/2015, dep. 12/10/2016), n.20496

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – rel. Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. IANNELLO Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma in Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

MASA IMMOBILIARE IMPORT EXPORT srl;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 149/4/07, depositata il 7 novembre 2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15

ottobre 2015 dal Presidente relatore Dott. Antonio Greco;

udito l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per la ricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, con tre motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, dichiarandone inammissibile l’appello, ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto di un atto, qualificato ricorso per revocazione, con il quale l’ufficio si doleva fosse stato dichiarato estinto per cessazione della materia del contendere, a seguito di presentazione di dichiarazione integrativa da parte della srl Masa Imm Import Export, il giudizio introdotto da tale contribuente con l’impugnazione di un avviso di accertamento ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR per il (OMISSIS).

La Commissione tributaria provinciale aveva infatti rigettato il ricorso “per revocazione” “per non avere l’Ufficio depositato copia autentica della sentenza passata in giudicato per fornire la prova dell’asserito dolo da parte del Giudice” ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 65.

L’Agenzia delle Entrate, si legge nella sentenza ora impugnata, ha chiesto “dà riformare l’atto di appello e la sentenza impugnata dichiarando legittimo il ricorso per revocazione presentato dall’ufficio e conseguentemente esaminare nel merito la questione e confermare la legittimità dell’accertamento Irpeg e Ilor (OMISSIS)”.

La Commissione regionale ha dichiarato inammissibile l’appello sul rilievo che “agli atti non esiste la sentenza originale oggetto delle contestazioni, impedendo la valutazione degli argomenti posti”.

La società contribuente non ha svolto attività nella presente sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunciando vizio di motivazione, l’amministrazione ricorrente si duole degli emessi esame e motivazione in ordine alla parte del ricorso, denominato impropriamente revocazione, con il quale l’ufficio aveva invece richiesto la revoca del provvedimento di estinzione della controversia ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 34, comma 5, che regola il procedimento e non esige l’acquisizione a pena di inammissibilità della sentenza dichiarativa dell’estinzione per condono.

Con il secondo motivo, denunciando violazione di legge, si duole della mancata riapertura del giudizio e della decisione con sentenza sull’istanza di revoca dell’ordinanza di estinzione del giudizio ai sensi della L. n. 413 del 1991, art. 34, ordinanza sottratta alle regole processuali civili e soggetta allo specifico regime previsto dal detto art. 34.

Con il terzo motivo, proposto in subordine denunciando violazione di legge, l’amministrazione ricorrente rileva che la mancata acquisizione della copia autentica della sentenza di primo grado in appello non potrebbe essere posta a carico dell’ufficio, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 3, a tenore del quale essa doveva essere presente nel fascicolo processuale che la avrebbe dovuto trasmettere alla CTR.

Il primo motivo del ricorso è fondato.

L’interpretazione della domanda giudiziale, come questa Corte ha avuto modo di chiarire – “è operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua e adeguata, avendo pertanto riguardo all’intero contesto dell’atto, senza che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della sua formulazione testuale nonchè del contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire: nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che con riferimento ad atto introduttivo del giudizio qualificato, dalla parte, “ricorso in via di riassunzione” si era limitata a valorizzare alcuni requisiti formali e la espressione “in riassunzione”, senza considerare se, valutato il notevole lasso di tempo dalla cessazione della causa di sospensione, l’avverbio “anche” apposto immediatamente prima di quell’espressione stesse a significare una volontà diversa da quella di proseguire il giudizio sospeso e senza considerare se per la sua intestazione l’atto potesse essere diretto ad instaurare un autonomo giudizio. La Corte ha invitato il giudice del rinvio a valutare se l’atto, in tutto il suo contesto, fosse diretto ad instaurare un autonomo giudizio piuttosto che a voler proseguire quello in precedenza sospeso” (Cass. n. 5491 del 2006, n. 14751 del 2007).

Si è inoltre affermato che “nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa cane desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonchè del provvedimento in concreto richiesto, non essendo condizionato dalla mera formula adottata dalla parte” (Cass. n. 5442 del 2006).

Questa Corte ha, ancora, osservato che “il controllo della congruità e logicità della motivazione, al fine del sindacato di legittimità su un apprezzamento di fatto del giudice di merito, postula la specificazione da parte del ricorrente – se necessario, attraverso la trascrizione integrale nel ricorso della risultanza che egli assume decisiva e non valutata o insufficientemente valutata dal giudice, perchè solo tale specificazione consente al giudice di legittimità – cui è precluso, salva la denuncia di “error in procedendo” l’esame diretto dei fatti di causa – di deliberare la decisività della risultanza non valutata, con la conseguenza che deve ritenersi inidoneo allo scopo il ricorso con cui, nel denunciare l’omessa valutazione da parte del giudice di merito di una circostanza decisiva, ci si limiti a rinviare alla prospettazione fatta negli atti di causa” (Cass. n. 6679 del 2006).

Nel caso in esame il giudice d appello – nel confermare la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso “per revocazione” proposto dall’ufficio per il mancato deposito di “copia autentica della sentenza passata in giudicato per fornire la prova dell’asserito dolo da parte del giudice così come disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 65, comma 2”, “elemento indispensabile al Collegio per valutare se effettivamente l’errore si sia realmente verificato” – incorre, nella qualificazione della domanda, nel vizio di motivazione ad esso addebitato.

Nel ricorso in appello, infatti, con il quale pure si impugnava la sentenza – come si legge nell’atto di gravame trascritto nel ricorso per cassazione, con indicazione dei luoghi dell’atto – deducendo la violazione della normativa sulla revocazione per dolo del giudice, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, punto 4 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 65, comma 2, si evidenziava poi che “il medesimo Giudice, in sede di riesame, avrebbe dovuto revocare la cessata materia del contendere, e decidere sul merito della controversia, in relazione alla legittimità dell’avviso di accertamento IRPEG/ILOR (OMISSIS)”, in quanto “la L. n. 413 del 1991, art. 34, comma 5, prevede che qualora gli uffici, a seguito dell’intervenuta liquidazione definitiva, comunicano motivi di invalidità della dichiarazione integrativa dai quali consegue la mancata estinzione della controversia, l’ordinanza di estinzione è revocata”. E si aggiungeva che “benchè il giudice adito abbia deciso la cessazione della materia del contendere con sentenza in luogo di ordinanza prescritta dalla legge, la giurisprudenza della CTC è costante nel ritenere che deve essere considerata la natura sostanziale del provvedimento di cui all’art. 34, comma, 5, citato”.

A fronte di tali elementi, adombrati anche nello svolgimento del processo – “sentenza… che dichiarava estinto il giudizio per cessata materia del contendere in quanto la società aveva presentato in data (OMISSIS) la dichiarazione integrativa dal (OMISSIS)” -, la decisione impugnata ha interpretato la domanda contenuta nel ricorso, inesattamente qualificato “per revocazione”, omettendo di esaminare e di motivare in ordine a quella parte del ricorso stesso – impropriamente denominato “per revocazione” – costituente una parte rilevante dell’atto, nella quale l’ufficio aveva chiesto espressamente la revoca del provvedimento di estinzione della L. n. 413 del 1991, ex art. 34, comma 5 e si è soffermata esclusivamente sulla detta intestazione letterale dell’atto.

E’ appena il caso di rilevare che, secondo l’orientamento di questa Corte, “con riferimento alla definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti prevista dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, l’estinzione del giudizio conseguente alla presentazione della dichiarazione integrativa, ai sensi dell’art. 34, comma 5 e art. 32, comma 4, dev’essere dichiarata con ordinanza, la quale attribuisce all’Amministrazione finanziaria il potere di chiedere con una semplice comunicazione la revoca del provvedimento determinando in tal modo la riapertura del giudizio, nel quale il giudice deve decidere con sentenza in ordine alla fondatezza sia dell’istanza di revoca che della pretesa sostanziale avanzata dall’Amministrazione” (Cass. n. 21324 del 2006). “Ai sensi della L. n. 413 del 1991, l’ordinanza resa in una controversia tributaria che dichiara estinto il giudizio sulla tese della dichiarazione integrativa presentata dal contribuente ai sensi della cit. L. n. 413, art. 34, comma 5, è un’ordinanza sottratta alle regole processuali civili (art. 308 c.p.c.) e soggetta allo specifico regime previsto dallo stesso art. 34, che la rende suscettibile di revoca obbligatoria, su richiesta dell’Ufficio fiscale competente, in caso di insussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per la dichiarazione di estinzione del giudizio, con il conseguente accertamento della regolarità del condono nel corso del giudizio di merito apertosi a seguito di tale revoca” (Cass. n. 19070 del 2003).

Il primo motivo del ricorso va pertanto accolto, assorbito l’esame del secondo e del terzo motivo, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diverso composizione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2016

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