Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20496 del 06/09/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20496 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: GRECO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ZAPPAR= GIOVANNI,

rappresentato e difeso dall’avv. Francesco

Camerini e dall’avv. Adriano Rossi, presso il quale è
elettivamente domiciliato in Roma in via Brofferio n. 6;

Acto

-ricorrente

°antro

AGENZIA, DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

intimata

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
del Lazio n. 23/06/06, depositata il 9 maggio 2006;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10 aprile 2013 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
udito l’avv. Adriano Rossi per il ricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Ennio Attilio Sepe, che ha concluso per il rigetto
del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Giovanni Zapparini propone ricorso per cassazione, sulla
base di quattro motivi, illustrati con successiva memoria, nei
confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale

Data pubblicazione: 06/09/2013

‘1.

del Lazio che, rigettandone l’appello, ha confermato la
legittimità dell’avviso di accertamento parziale ai fini
dell’IRPEF per il 1993. Con tale atto, sulla base di segnalazione
della Guardia di finanza, la quale, nel corso di indagini
bancarie svolte in sede penale nei confronti del contribuente
per i reati di estorsione e usura impropria, aveva verificato i
conti correnti a lui intestati, erano stati ritenuti i versamenti
solo in parte giustificati dai redditi dichiarati, rilevandosi
imponibili ai sensi dell’art. 14, camma 4, della legge 24
dicembre 1993, n. 537.
Il giudice d’appello, con riguardo alla assoluzione in sede
penale del contribuente, osservava che quel che rileva ai fini
tributari è se le movimentazioni caratterizzatesi sul conto
corrente del contribuente costituiscano prove sufficienti ai fini
dell’accertamento dell’imponibile non dichiarato. Ed in proposito
riteneva “le prove acquisite in sede di accertamento tributario,
in particolare per quanto riguarda gli accertamenti bancari, non
contraddette da specifiche prove contrarie da parte
dell’appellante, sufficienti in relazione anche alla
qualificazione e quantificazione extra reddituale dell’imponibile
accertato”. Quanto alla riqualificazione della tipologia
dell’accertamento sostenuta dal contribuente in ordine alla
dicotamia tra disciplina dell’art. 41 bis e art. 38 del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600, la considerava arbitraria, in quanto
secondo la prima disposizione è sufficiente che dalla
segnalazione risultino elementi che consentano di stabilire
l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggior ammontare
di un reddito parzialmente dichiarato, sicché non è richiesto che
dalla segnalazione debba emergere la prova certa dell’imponibile
accertato, ma che da essa risultino elementi propedeutici a
stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato.
L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività nella
presente sede.
bETIVI DMA. DECISICNE

Va preliminarmente rilevato che la produzione documentale
effettuata dal contribuente in udienza non attiene al giudizio.

2

una differenza configurante redditi di capitali, come tali

Con il primo motivo il ricorrente assume che l’ufficio non
avrebbe dimostrato la fondatezza della pretesa risultante
dall’avviso, “in difetto della produzione di qualsiasi elemento
probatorio”; con il secondo, lamenta l’omessa pronuncia sul
rilievo, formulato in appello, con il quale si era doluto della
modifica del fondamento della pretesa tributaria rispetto
all’avviso, a seguito dell’assoluzione del contribuente; con il
terzo assume Che la disciplina di cui all’art. 32, n. 2 e n. 7,
i redditi da capitale; con il quarto lamenta vizio di motivazione
in ordine alla dedotta vendita di due immobili in Roma nel 1991 e
nel 1993.
I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto
connessi, sono infondati.
Nel processo tributario,

secondo il consolidato

orientamento di questa Corte, “nessuna automatica autorità di
cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile,
di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali,
ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che
fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento Che
nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti
dall’art. 7, camma quarto, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e
trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé
inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne
consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula
piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non
sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora
l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti
per un giudizio di responsabilità penale, na adeguati, fino a
prova contraria, nel giudizio tributario” (ex multis, Cass. n.
8129 del 2012); si è perciò precisato Che “il giudice può fondare
il proprio convincimento anche su elementi presuntivi, con una
sua autonoma valutazione rispetto a quella del giudice penale; ne
discende la legittimità della tassazione dei proventi di attività
illecite anche quando dalla sentenza penale di condanna non è
emerso in nodo certo che il denaro in questione sia entrato nella
disponibilità dell’interessato” (Cass. n. 12141 del 2008).

3

del d.P.R. n. 600 del 1973 non sarebbe applicabile per accertare

A norma dell’art. 41 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n.
600, i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, senza
pregiudizio dell’ulteriore attività accertatrice nei termini
stabiliti dall’art. 43, qualora dagli accessi, ispezioni e
verifiche, nonché dalle segnalazioni effettuate da altri uffici
finanziari, dalla Guardia di finanza o da pubbliche
annànistrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso
dell’anagrafe tributaria, “risultino elementi che consentano di
ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, Che avrebbe
dovuto concorrere a formare il reddito imponibile…”, con
l’accertamento parziale “possono limitarsi ad accertare, in base
agli elementi predetti, il redito o il maggior reddito
L’accertamento parziale non è dunque circoscritto
all’accertamento del reddito d’impresa o solo a talune delle
categorie di redditi di cui all’art. 6 del tuir, né, del resto, è
richiesto all’ufficio di fornire la “prova certa” del maggior
reddito, prova Che può invece essere raggiunta anche con le
presunzioni di cui alla fonte legale (qualora “risultino elementi
Che consentano di stabilire l’esistenza di un reddito non
dichiarata_ gli uffici possono limitarsi ad accertare, in base
agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito
inponibr.W% fatta sempre salva la possibilità per il
contribuente di fornire specifica prova contraria, che che il
giudice d’appello ha accertato non essere stata offerta (“prove
acquisite in sede di accertamento tributario, e in particolare
per quanto riguarda gli accertamenti bancari, peraltro non
contraddette da specifiche prove contrarie da parte
dell’appellante_”).
Il quarto motivo si rivela inammissibile, in quanto non
corredato del nenento di sintesi prescritto per la denuncia del
vizio di motivazione dall’art. 366 bis cod. proc. civ.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccambenza e si liquidano
come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

4

stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore

2SENTE DA REGISMAZIONE

AOSCISSI DEL DY.
N. 1311AB. ALL. A. – N. 5
MATEIMATRIBUTAMA

Condanna il ricorrente al pagamento delle spse del
giudizio, liquidate in euro 11.000, oltre alle spese prenotate a
debito.

Così deciso in Roma il 10 aprile 2013.

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