Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20490 del 06/10/2011

Cassazione civile sez. II, 06/10/2011, (ud. 12/07/2011, dep. 06/10/2011), n.20490

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1230/2006 proposto da:

G.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 55, presso lo studio dell’avvocato CEFALY

Francesco, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PINI

ELISEO;

– ricorrente –

contro

L.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato

PERILLI Maria Antonietta, che lo rappresenta e difende;

R.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo studio dell’avvocato ANTONUCCI

ARTURO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato POLA

DANTE;

– controricorrenti –

e contro

F.R., O.T.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 585/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 23/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2011 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato CEFALY Francesco, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato SILVESTRI Carla, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato PERILLI Maria Antonietta, difensore del resistente che

ha chiesto rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

O.T. e F.R. convenivano in giudizio davanti al Pretore di Modena sezione distaccata di Finale Emilia L.G. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni provocati al loro appartamento dai lavori di ristrutturazione dal medesimo eseguiti in quello sottostante.

Si costituiva il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda;

deduceva che aveva affidato l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione all’impresa G. che li aveva effettuati in base al progetto e alle istruzioni del direttore dei lavori, geom.

R..

In subordine, chiedeva che i predetti fossero dichiarati unici responsabili di quanto dedotto dagli attori e fossero condannati a risarcire gli attori o, in subordine, che fossero tenuti a manlevare di quanto esso convenuto fosse condannato a pagare ai medesimi.

Procedutosi alla chiamata in causa del G. e del R., questi si costituivano, chiedendo il rigetto della domanda nei loro confronti proposta.

Con sentenza del 1 giugno 2000 il Tribunale di Modena condannava il convenuto al risarcimento dei danni che erano liquidati a favore degli attori in L. 7.805.100 sul rilievo che l’appaltatore G. aveva agito quale nudus minister attese le interferenze del committente nell’esecuzione dei lavori.

Avverso tale decisione proponeva appello il L.; gli attori spiegavano impugnazione incidentale relativamente al mancato rimborso delle spese di consulenza.

Tale giudizio era riunito a quello instaurato con la proposizione di distinto appello proposto dal L. e di contenuto identico al primo; in quest’ultimo giudizio spiegavano impugnazione incidentale il G. e il R.: il primo, lamentando che erroneamente era stato qualificato come appalto il contratto intercorso con il convenuto; il secondo denunciando l’erronea compensazione delle spese processuali, atteso il rigetto della domanda formulata nei suoi confronti.

Con sentenza dep. il 23 maggio 2005 la Corte di appello di Bologna, in riforma della decisione impugnata, rigettava la domanda proposta dagli attori nei confronti del L.; condannava l’impresa G. a risarcire gli attori dei danni patiti in conseguenza dei lavori eseguiti; respingeva l’appello incidentale proposto dal G. mentre accoglieva quello spiegato dal R..

Per quel che ancora interessa, era escluso che il L. si fosse ingerito nell’esecuzione dei lavori e che il G. avesse agito quale nudus minister, atteso che l’autonomia dell’appaltatore non veniva meno in considerazione dell’esistenza di un progetto predisposto dal direttore dei lavori nè delle direttive dal medesimo impartite durante la loro esecuzione o ancora per il fatto che il corrispettivo delle opere fosse determinato in economia.

La natura di appalto del contratto intercorso con il G. emergeva dal fatto che il medesimo, titolare di un assicurazione per la responsabilità civile con un massimale di L. un miliardo, operava con cinque dipendenti.

2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il G. sulla base di cinque motivi illustrati da memoria.

Resistono con controricorsi il L. e il R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo il ricorrente, lamentando nullità della sentenza e del procedimento violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., censura la decisione gravata che aveva condannato il chiamato in causa a titolo di garanzia impropria ai risarcimento in favore degli attori senza che questi avessero formulato una domanda nei suoi confronti: anzi all’udienza del 1-12-1999 gli attori avevano espressamente rinunciato a estendere la domanda.

1.2. Il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 112, lamenta la omessa pronuncia sull’eccezione di irritualità e tardività del produzione documentale deposita all’udienza di conclusioni: la questione viene riproposta per il caso di riesame della vicenda.

1.3. Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1615, 2083 2222 cod. civ., nonchè omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione) censura la sentenza laddove aveva qualificato come appalto il contratto intercorso fra le parti, mentre agli atti vi era la prova della natura artigiana dell’impresa G. (certificato relativo all’iscrizione all’albo delle imprese artigiane), anche tenuto conto di quanto emerso dalla scrittura del 5-4-1995 di cui si lamenta l’omesso esame, in relazione alla natura dei lavori e al tipo di compenso pattuito: la circostanza che il G. operasse con cinque dipendenti, secondo quanto ritenuto dai Giudici, non era provata, essendo tale circostanza dichiarata in sede di interrogatorio formale dal R., che era un litisconsorte avente un contrapposto interesse: il riferimento alla polizza assicurativa era un elemento del tutto equivoco.

1.4. Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente e artt. 2226, 2043, 2097, 1176 e 2043, omessa insufficiente e contraddittoria motivazione) denuncia la contraddittorietà fra la pronuncia di condanna emessa nei suoi confronti e quella di rigetto della domanda proposta nei confronti del R., tenuto conto che nei confronti dei medesimi era stata proposta la stessa domanda e la sentenza impugnata aveva qualificato diversamente le due posizioni processuali portato a soluzioni diverse.

Dopo avere rilevato l’erronea applicazione alla specie dei principi di diritto enunciati, deduce che il Giudice di appello si era limitato a verificare i soli elementi di prova utili a escludere la responsabilità del L., non aveva poi esaminato i mezzi di prova in ordine alla eventuale responsabilità del progettista e direttore dei lavori, tenuto conto che dalle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dal medesimo, questi era risultato munito di poteri di ingerenza, mentre il G. – quale semplice artigiano – aveva eseguito i lavori in economia. Tenuto conto degli obblighi di diligenza al quale deve conformarsi la condotta del direttore dei lavori, dall’esame – omesso dalla Corte di appello – degli elementi di prova, era emersa la esclusiva responsabilità del professionista, perchè il danno era ricollegabile a interventi su strutture portanti che rientravano nelle sue specifiche competenze tecniche. Il ricorrente non poteva essere considerato responsabile, atteso che il pagamento del corrispettivo comportava liberazione da ogni responsabilità.

1.5. Il quinto motivo censura la sentenza la quale, nel respingere la domanda proposta nei confronti del L., non aveva considerato i rapporti fra proprietà esclusive facenti parte del fabbricato condominiale e i relativi obblighi legali; in particolare non aveva considerato che se l’autonomia dell’appaltatore scelto senza colpa impedisce che dei danni derivati a terzi risponda il committente, ciò non esclude la responsabilità del committente; in particolare, in materia di condominio degli edifici, ciascun condomino è propter rem obbligato a non eseguire, nel piano o porzione di piano, opere che rechino danno a parti immobiliari di proprietà esclusiva di altri condomini. Verificandosi tale ipotesi di danno, la responsabilità del condomino obbligato non è esclusa dalla sola circostanza dell’aver egli affidato quelle opere ad un appaltatore, scelto senza colpa, il quale le abbia eseguite in regime di autonomia.

1.6. Il sesto motivo denuncia l’omesso esame dell’appello incidentale condizionato con cui esso ricorrente aveva invocato la responsabilità degli attori nel rifacimento della pavimentazione su un solaio già in precarie condizioni lignee vecchissime, come risultato da quanto riferito dallo stesso consulente di parte.

2.1. Vanno innanzitutto esaminati congiuntamente il primo, il quinto e il sesto motivo che sono strettamente connessi.

In primo luogo, va osservato che il principio dell’estensione automatica della domanda dell’attore al chiamato in causa da parte del convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell’attore, in ragione del fatto che il terzo s’individui come unico obbligato nei confronti dell’attore ed in vece dello stesso convenuto, il che si verifica quando il convenuto evocato in causa estenda il contraddittorio nei confronti di un terzo assunto come l’effettivo titolare passivo della pretesa dedotta in giudizio dall’attore. Il suddetto principio, invece, non opera allorquando il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall’attore come “causa petendi” come avviene nell’ipotesi di chiamata di un terzo in garanzia, propria o impropria (Cass. 12371/2011). In sostanza l’estensione automatica presuppone la contestazione della legittimazione passiva del convenuto che, prospettandosi come alternativa a quella del terzo, è incompatibile con la evocazione del terzo come chiamata in garanzia (254/2006).

Nella specie, al di là delle espressioni usate, il convenuto L. invocava la responsabilità dei chiamati in causa in base a un titolo (contratto rispettivamente di appalto e di opera intellettuale intercorso) diverso da quello posto dagli attori a base della domanda azionata nei confronti del convenuto che era stato evocato in giudizio quale proprietario del soprastante immobile in cui erano stati effettuati i lavori, per i danni in tal modo loro cagionati.

Pertanto, i terzi erano stati chiamati a titolo di garanzia impropria dal convenuto per essere manlevato delle conseguente dannose di cui il medesimo fosse stato riconosciuto responsabile nei confronti degli attori quale proprietario dell’immobile de quo.

Non vertendo in una ipotesi di legittimazione passiva alternativa, la condanna diretta del terzo chiamato in causa postulava che gli attori avessero esteso la domanda nei loro confronti.

Peraltro, gli attori che avevano effettivamente esteso la domanda nei confronti dei chiamati, successivamente vi rinunciavano in sede di precisazione delle conclusioni. Deve senz’altro disattendersi l’eccezione di tardività al riguardo formulata dal resistente L.: la rinuncia alla domanda è espressione del diritto di difesa ed è ammissibile in sede di precisazione delle conclusioni che le parti rassegnano all’esito della istruttoria svolta, sicchè non incontra il divieto di modificare le conclusioni in base alle quali si determina il thema decidendum fissato definitivamente ex art. 183 cod. proc. civ..

Ne consegue che la sentenza impugnata, erroneamente ritenendo che nella specie si versasse nell’ipotesi di legittimazione alternativa del terzo chiamato in causa dal convenuto, ha omesso di pronunciarsi sulla domanda proposta dagli attori nei confronti del convenuto, essendosi limitata a prendere in esame la posizione dell’appaltatore quale unico responsabile dell’evento dannoso invocato dagli attori.

I Giudici avrebbero dovuto innanzitutto verificare la responsabilità del convenuto che, come si è detto, era stato evocato in giudizio quale proprietario del bene sul quale il medesimo aveva fatto eseguire i lavori affidati all’impresa e sotto la direzione del R. e, ove fosse stata riconosciuta, avrebbero dovuto esaminare la domanda di manleva al fine di stabilire se sussistevano i presupposti per riversare sui terzi le conseguenze negative derivanti dall’attività dei medesimi.

A prescindere dunque dalle domande ed eccezioni sollevate dal chiamato in garanzia la sentenza avrebbe dovuto verificare i presupposti per l’accoglimento o meno della domanda proposta dagli attori e, alla stregua delle circostanze allegate dagli attori, avrebbe d’ufficio verificare se ricorresse o meno la responsabilità del convenuto per avere, quale condomino, arrecato danni agli immobili di proprietà esclusiva: infatti, ciascun condomino è obbligato, “propter rem”, a non eseguire, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, opere arrecanti pregiudizio agli immobili di proprietà esclusiva di altri condomini, ed è, pertanto, responsabile dei danni conseguenti a dette opere, senza che possa assumere rilevanza l’affidamento delle stesse ad un appaltatore che le abbia, a sua volta, eseguite in regime di autonomia (Cass. 11717/1997; 3472/1976). D’altra parte, l’ipotesi del concorso di colpa del danneggiato di cui all’art. 1227 cod. civ., comma 1, non concretando un’eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa, deve essere esaminata e verificata dal giudice anche d’ufficio, attraverso le opportune indagini sull’eventuale sussistenza della colpa del danneggiato e sulla quantificazione dell’incidenza causale dell’accertata negligenza nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte; pertanto, anche il giudice d’appello può valutare d’ufficio tale concorso di colpa nel caso in cui il danneggiante si limiti a contestare “in toto” la propria responsabilità (Cass. 6529/2011).

2.2. Il secondo motivo va disatteso.

In primo luogo, come lo stesso ricorrente afferma, la documentazione in questione non è stata esaminata e non ha assunto alcun rilievo nella decisione;

il motivo in ogni caso difetta di autosufficienza in quanto non specifica i singoli documenti che sarebbero stati irritualmente e tardivamente depositati all’udienza ivi indicata: sarà in ogni caso il giudice di rinvio a dovere verificare l’ammissibilità o meno della predetta documentazione.

2.3. Il terzo motivo va rigettato.

La sentenza, nel qualificare come appalto il contratto de quo, ha considerato le dimensioni dell’impresa del ricorrente, avendo accertato che la stessa aveva cinque dipendenti. In proposito, occorre considerare che, al fine di stabilire la natura del contratto, rileva la effettiva organizzazione dell’impresa esecutrice dei lavori, non assumendo carattere decisivo la iscrizione all’albo delle imprese artigiane nè tanto meno le modalità di determinazione del corrispettivo pattuito o la natura dei lavori.

Per quel che concerne la prova della circostanza relativa al numero dei collaboratori utilizzati dall’impresa, trattasi di un tipico accertamento di fatto che è riservato all’indagine del giudice di merito, dovendo qui rilevarsi che costituisce oggetto dell’apprezzamento discrezionale a quest’ultimo demandato il valore probatorio delle dichiarazioni rese da un litisconsorte in sede di interrogatorio formale.

2.4. Anche il quarto motivo va rigettato.

In primo luogo, va osservato che seppure la chiamata in causa dei chiamati in causa ha determinato la instaurazione di un contraddittorio anche fra i medesimi, nondimeno nella specie il ricorrente non ha interesse a impugnare la pronuncia di rigetto emessa nei confronti del R. posto che alcuna domanda risulta nel giudizio di merito nei confronti del medesimo proposta dal ricorrente il quale neppure ha esperito azione di regresso o diretta ad accertare la colpa al medesimo ascrivibile.

Ciò posto, va osservato che, in considerazione dell’autonomia gestionale del rischio con riferimento all’assetto organizzativo dell’impresa, alla scelta ed all’utilizzo dei mezzi ritenuti necessari ed alle modalità di esecuzione dell’opera commissionata, la responsabilità dell’appaltatore sussiste anche nell’ipotesi in cui la sua sfera di autonomia e discrezionalità venga limitata dal controllo e dall’ingerenza del committente e dalle istruzioni dal medesimo impartite, direttamente o tramite il direttore dei lavori, tale sfera di autonomia dovendosi ritenere esclusa nel solo caso in cui ingerenza ed istruzioni abbiano una continuità ed una analiticità tali da elidere, nell’esecutore, ogni facoltà di vaglio, di guisa che il rapporto di appalto si trasforma, “ipso facto”, in un rapporto di lavoro subordinato. Pertanto, l’autonomia e la responsabilità dell’appaltatore nell’esecuzione dell’opera non vengono meno per il solo fatto che egli abbia ottemperato a specifiche richieste o a direttive del committente, sia perchè tale circostanza non è idonea a trasformarlo in “nudus minister” di quest’ultimo, sia perchè egli, comunque, non è tenuto a seguire supinamente direttive che importino lesioni di diritti assoluti dei terzi, ai quali non può opporre di aver cagionato il danno nella esecuzione degli obblighi contrattuali assunti verso il committente.

Nella specie, con accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità se non per vizi di motivazione da cui la sentenza impugnata è immune, i Giudici hanno escluso – alla stregua della valutazione delle risultanze processuali – che il controllo e le direttive impartite dal direttore dei lavori fossero tali da privare di autonomia l’appaltatore e che quindi questi fosse un mero esecutore delle direttive del committente o del direttore dei lavori.

Orbene – premesso che la domanda di garanzia proposta nei confronti dell’appaltatore e quella contro il direttore dei lavori sono fondate su una causa petendi diversa, perchè evidentemente si basano sulla violazione delle obbligazioni derivanti dai rispettivi contratti e che hanno differente contenuto l’esclusione di responsabilità del direttore dei lavori non è di per sè in contraddizione con l’affermazione di responsabilità dell’appaltatore, tenuto che, per quel che si è detto, il medesimo non era un mero esecutore delle direttive impartite dal direttore dei lavori. In effetti, la doglianza si risolve nella censura dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie in merito all’accertamento circa i poteri di ingerenza del direttore dei lavori nell’esecuzione dell’opera che, come si è detto, la sentenza ha escluso;

il motivo difetta di autosufficienza laddove si denuncia l’omesso esame di rilevanti e decisivi mezzi di prova senza che sia trascritto il testo integrale delle relative risultanze (non essendo evidentemente sufficiente lo stralcio di frasi estrapolate dal complessivo contenuto delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio o di deposizione testimoniale, dovendo qui ricordarsi che in relazione al vizio di motivazione per omesso o erroneo esame di un documento, di una prova o della consulenza tecnica d’ufficio, il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del motivo di censura, di riprodurre nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza del medesimo, il documento o la prova nella sua integrità ovvero i passi salienti della consulenza tecnica in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la decisività della censura (Cass. 14973/2006; 12984/2006; 7610/2006; 10576/2003), tenuto conto che in proposito occorre dimostrare che la relativa acquisizione sia tale da invalidare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze di causa su cui si è fondato il convincimento del giudice del merito, si che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base. Pertanto, non può essere dedotto il vizio di motivazione per denunciare il mancato esame di elementi che siano suscettibili di essere liberamente apprezzati unitamente ad altri con essi contrastanti nell’ambito della valutazione discrezionale del complessivo materiale probatorio riservata al giudice di merito: altrimenti la Corte di Cassazione verrebbe in sostanza investita del riesame del merito della controversia, che è sottratto al giudice di legittimità.

Nella specie, il ricorrente formula una soggettiva valutazione delle circostanze sopra richiamate al fine di desumerne elementi di carattere presuntivo da cui, secondo il suo apprezzamento, dovrebbe trarsi la prova circa l’ingerenza del direttore dei lavori e l’assenza di autonoma decisionale dell’appaltatore.

Occorre al riguardo sottolinearsi che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 67394/2010).

A prescindere da ogni considerazione su quelli che sono i presupposti dell’accettazione tacita dell’opera i riferimenti al riguardo formulati dal ricorrente appaiono del tutto fuori luogo, posto che nella specie la domanda proposta nei confronti dell’appaltatore aveva ad oggetto la responsabilità per i danni cagionati, ex art. 2043 cod. civ., a terzi dalla condotta lesiva del diritto di proprietà degli attori realizzata nell’immobile di proprietà del convenuto.

Pertanto il ricorso va accolto limitatamente ai motivi primo, quinto e sesto, dovendo essere respinti gli altri;

la sentenza va cassata cor. rinvio in relazione ai motivi accolti ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che dovrà procedere al regolamento anche delle spese relative alla presente fase: il mancato esame della domanda proposta dagli attori nei confronti del convenuto e dunque dei necessari accertamenti riservati evidentemente al giudice di merito escludono i presupposti per la cassazione senza rinvio che presuppone tali accertamenti già compiuti dalla sentenza di merito, essendo appena il caso di ribadire che la Corte di Cassazione non ha diretto accesso agli atti processuali che non può esaminare.

P.Q.M.

Accoglie il primo, il quinte e il sesto motivo del ricorso rigetta gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2011

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