Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2049 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/01/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 30/01/2020), n.2049

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22100-2018 proposto da:

RIS.CO SOCIETA’ RISCOSSIONI COMUNALI SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FRANCESCO DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato LAURA ROSA,

rappresentata e difesa dagli avvocati LORENZO DEL FEDERICO, PIERO

SANVITALE;

– ricorrente –

contro

B.F., COMUNE DI FRANCAVILLA AL MARE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 22/7/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’ABRUZZO SEZIONE DISTACCATA di PESCARA, depositata il

18/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

CASTORINA ROSARIA MARIA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016 osserva;

Con sentenza n. 23/05/2017, depositata il 18.1.2018, la CTR dell’Abruzzo rigettava l’appello di Ris.Co Società Riscossioni Comunali s.r.l. su controversia avente ad oggetto avviso di accertamento emesso dal Comune di Francavilla al Mare relativo ad un terreno ritenuto edificabile per Ici, anno 2009, sul presupposto che il terreno, destinato a parcheggio pubblico fosse inedificabile.

Ris.Co Società Riscossioni Comunali s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo.

Il contribuente si è costituito dichiarando di rinunciare al giudizio ai sensi dell’art. 306 c.p.c.

1.Osserva preliminarmente la Corte che la dichiarazione di rinuncia agli atti del giudizio è inefficace in assenza di accettazione di parte ricorrente.

2.Con l’unico motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), introdotto dalla L. n. 248 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, conversione del D.L. n. 203 del 2005, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni in L. n. 248 del 2006 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), in quanto la CTR aveva erroneamente dichiarato inedificabile l’area posseduta dal contribuente e, quindi, non soggetta ad imposta, per il solo fatto che, pur essendo inserita in PRG in zona residenziale di completamento, sarebbe sottoposta a vincolo per la realizzazione di un parcheggio pubblico.

3. Il ricorso è fondato.

Non è circostanza contestata che il terreno oggetto della controversia risulta qualificato dal PRG come edificabile (zona residenziale di completamento) ed è sottoposto a vincolo per la realizzazione di un parcheggio pubblico. Tale vincolo non solo non rileva ai fini ICI, ma non qualifica l’area come inedificabile. Questa Corte ha chiarito che: ” In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, in nessun modo ricollega il presupposto dell’imposta all’idoneità del bene a produrre reddito o alla sua attitudine ad incrementare il proprio valore o il reddito prodotto, assumendo rilievo il valore dell’immobile, ai sensi del successivo art. 5, ai soli fini della de- terminazione della base imponibile, e quindi della concreta misura dell’imposta, con la conseguenza che deve escludersi che un’area edificabile soggetta ad un vincolo urbanistico che la destini all’espropriazione sia per ciò esente dall’imposta. Tale conclusione riceve conferma dalla disciplina dettata dal citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 2 – abrogato a decorrere dal 30 giugno 2003, ai sensi dell’art. 58, comma 1, n. 134, e del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 59, modificati dal D.Lgs. n. 302 del 2002 – e dal menzionato D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 8, i quali mirano a ristorare il proprietario del pregiudizio a lui derivante nel caso in cui l’imposta versata nei cinque anni precedenti all’espropriazione, conteggiata sul valore venale del bene, sia superiore a quella che sarebbe risultata se fosse stata calcolata sull’indennità di espropriazione effettivamente corrisposta (nè tale disciplina, nella parte in cui non si applica al periodo di tempo antecedente agli ultimi cinque anni rispetto alla data dell’espropriazione, pone dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 2,3 e 53 Cost.)”. (Cass. n. 12272 del 2017; Cass. n. 19750 del 2004). Tale principio è desumibile anche all’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimità in tema di espropriazione, laddove si è ritenuto che: “In tema di ICI, l’occupazione temporanea d’urgenza di un terreno da parte della P.A. non priva il proprietario del possesso del bene fino a quando non intervenga il decreto di esproprio (o comunque l’ablazione) del fondo, sicchè egli resta soggetto passivo di imposto ancorchè l’immobile sia detenuto dall’occupante” (Cass. n. 19041 del 2016).

L’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico (nella specie, parcheggio pubblico), se pure assume rilievo nella determinazione del valore venale dell’immobile, da valutare in base alla maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, non ne esclude l’oggettivo carattere edificabile del D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 2, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione che non fanno venire meno l’originaria natura edificabile (Cass. n. 23814 del 2016; Cass. n. 14763 del 2015). Va, quindi, disatteso il diverso orientamento (Cass. n. 25672 del 2008; Cass. n. 5992 del 2015) secondo il quale le aree sottoposte dal piano regolatore generale a un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle trasformazioni del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, non possono essere qualificate come fabbricabili, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, e restano sottratte al regime fiscale dei suoli fabbricabili. Tali pronunce, infatti, non tengono conto che il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), prevedendo che un terreno è considerato edificatorio sia quando la edificabilità risulti dagli strumenti urbanistici generali o attuativi, sia quando, per lo stesso terreno, esistano possibilità effettive di costruzione, delinea una nozione di area edificabile ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria. Essa, pertanto, non può essere esclusa dalla ricorrenza dei vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionino, in concreto, l’edificabilità del suolo, giacchè tali limiti, incidendo sulle facoltà dominicali connesse alla possibilità di trasformazione urbanistico edilizia del suolo medesimo, ne presuppongono la vocazione edificatoria.

Ne discende che la presenza dei suddetti vincoli non sottrae le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, ma incide soltanto sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile (Cass. n. 9510 del 2008; Cass.n. 9778 del 2010; Cass. n. 5161 del 2014).

La CTR impugnata non ha fatto buon governo dei principi espressi, dovendosi negare, ai fini ICI, la natura inedificabile dell’area compresa in una zona destinata dal PRG a “parcheggio pubblico”, la quale non può ritenersi esente da imposta.

4. Per i rilievi espressi, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.

Il recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni oggetto della controversia, rispetto al momento della introduzione della lite, induce a compensare le spese dei gradi di merito, mentre il soccombente è tenuto al rimborso delle spese di lite del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso del contribuente;

condanna la parte resistente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 510,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 30 gennaio 2020

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