Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20486 del 28/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/08/2017, (ud. 23/02/2017, dep.28/08/2017),  n. 20486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9142-2016 proposto da:

N.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARILENA RIGGIRELLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, – CF. (OMISSIS), in persona del Ministro

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1394/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 23/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2005 N.E. convenne in giudizio il Ministero della Giustizia per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un sinistro verificatosi all’interno della Casa Circondariale (OMISSIS). Espose di essere caduta da una panca, inciampando in un ferro sporgente dalla sedia e adiacente al pavimento, di cui il Ministero era proprietario e custode, sita nella sala di attesa dei colloqui.

Il Tribunale di Palermo accolse la domanda attorea attribuendo la responsabilità nella misura del 60% a carico del Ministero.

2. La Corte di Appello di Palermo, con sentenza n. 1394 del 23 settembre 2015, riformava la decisione impugnata e rigettava la domanda di risarcimento dei danni. La Corte ha ritenuto che la responsabilità dell’infortunio fosse da ascriversi esclusivamente alla N. la quale si era alzata incautamente dalla panca interrompendo così ogni nesso di causalità tra la cosa e il custode.

3. Avverso tale pronunzia N.E. propone ricorso in Cassazione con tre motivi.

3.1 Il Ministero della Giustizia ha depositato procura per la discussione orale.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, la proposta di inammissibilità del ricorso. E’ stata depositata memoria, fuori termine, dalla ricorrente.

4.1. Il collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio con le seguenti precisazioni, di condividere le conclusioni cui perviene la detta proposta.

6.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2051 c.c. e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, avuto riguardo alla ricostruzione della fattispecie oggetto del giudizio, con travisamento, contrasto irriducibile e illogico esame e valutazione delle prove acquisite al giudizio.

Sostiene che il giudice d’appello sarebbe incorso in errore perchè ha travisato le prove. Infatti nessuna delle affermazioni contenute nella sentenza e relative alla conformazione e struttura della panca troverebbe sostegno negli atti.

6.2. Con il secondo motivo si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avuto riguardo alle affermazioni per cui (…)la sua improvvisa manovra interrompe qualsiasi nesso di causalità tra la cosa e il custode (cap. 3, pag. 5, rigo 8 della sentenza) ed altresì (…) dal custode non può pretendersi un attenione che si spinga a prevedere e prevenire financo le macroscopiche ed ingiustificabili distrazioni di terzi (cap. 3, pag. 5, rigo 13, 14 e 15 della sentenza).

La Corte d’appello avrebbe errato anche in relazione alla prova del fatto dannoso e della sua riconducibilità causale alla panca, laddove ha ritenuto che la condotta della ricorrente, incauta ed improvvisa, fosse tale da interrompere il nesso causale.

6.3. Infine con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata anche per “la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e dell’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avuto riguardo alla erronea sussunzione come fonte di ragionamento presuntivo delle “(…) dimensioni intuitivamente adeguate per evitare il ribaltamento della struttura” (cap. 3, pag. 4, rigo 23 della sentenza) e delle affermazioni che “(…) è evidente che siffatto ferro non costituiva un’anomalia della panca, e ne costituiva un ordinaria componente” (cap. 3, pag. 4, rigo 28 e 29), che “(…) risulta anzi che la stessa rispondeva alle ordinarie regole di sicurezza” (cap. 3, pag. 5, rigo 3 e 4) e, infine, circa l’essere quella che occasionò il sinistro “panca assai diffusa nelle sale di attesa di ambulatori medici ed ambienti destinati alla collettività” (cap. 3, pag. 4, rigo 6 e 7)”.

Nel caso di specie il giudice del merito avrebbe fatto assurgere a fatto provato la regolarità della struttura tubolare della panca utilizzata dalla N., la sua rispondenza alle regole di sicurezza, la sua rispondenza al modello comunemente in uso in altri ambiti, ergendo al rango di presunzioni elementi assolutamente non convergenti, nè gravi, e addirittura del tutto inesistenti agli atti.

7. I motivi possono essere esaminati insieme e sono inammissibili.

Preliminarmente occorre evidenziare che parte ricorrente non ha sviluppato nell’esposizione dei motivi alcun argomento in diritto per contestare, con specifico riferimento a ciascuna delle disposizioni ed a ciascuno degli istituti asseritamente violati, in relazione a quale determinato convincimento, espresso dal giudice del merito, possa essere ravvisata l’applicazione erronea o falsa di quella singola norma o di quel istituto. Si è, infatti, limitata a sostenere l’inidoneità degli elementi di giudizio presi in considerazione a giustificare l’adottata decisione. Pertanto il motivo, sotto l’esaminato profilo, è da considerare inammissibile per assoluto difetto della necessaria specificità.

Invero, non può ricondursi nell’ambito d’una censura per violazione di legge idoneamente formulata, secondo i principi sopra precisati, la deduzione con la quale si contesti al giudice del merito non di non aver correttamente individuato la norma regolatrice della questione controversa o di averla applicata in difformità dal suo contenuto precettivo, bensì di avere o non avere erroneamente ravvisato, nella situazione di fatto presa in considerazione, la ricorrenza o meno degli elementi costitutivi d’una determinata fattispecie normativamente regolata. Una valutazione siffatta non comporta un giudizio di diritto ma un giudizio di fatto. Quanto, in particolare, alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. valgono, inoltre, le seguenti considerazioni. In materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (in termini Cass. 11892/2016 e Cass. 16598/2016).

E’, dunque, solo l’esorbitanza da tali limiti ad essere suscettibile di sindacato in sede di legittimità per violazione dell’art. 115 c.p.c., sindacato che, con riferimento a tale norma, non può essere, invece, esteso all’apprezzamento espresso dal giudice del merito in esito alla valutazione delle prove ritualmente acquisite.

A tal fine va osservato che è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, lo sono anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua giustificazione del criterio adottato; conseguentemente, ai fini d’una decisione conforme al disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettategli dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi onde pervenire alle assunte conclusioni, per implicito disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata. Pertanto, vizi motivazionali in tema di valutazione delle risultanze istruttorie non possono essere utilmente dedotti ove la censura si limiti alla contestazione d’una valutazione delle prove effettuata in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè proprio a norma dell’art. 116 c.p.c. rientra nel potere discrezionale del giudice di merito l’individuare le fonti del proprio convincimento, il valutare all’uopo le prove, il controllarne l’attendibilità e la concludenza e lo scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti. Ond’è che le esaminate censure, in quanto non intese a censurare la ratio decidendi ma a prospettare una diversa interpretazione degli accertamenti in fatto, estranea alle valutazioni rimesse al giudice della legittimità risultano inammissibili, e ciò anche a non voler tenere, comunque, nel debito conto che, nel caso in esame, la motivazione fornita dal detto giudice all’assunta decisione risulta adeguata e tutt’altro che incoerente, basata com’è su valutazioni di fatto obiettive in ordine alla valenza effettiva e logica attribuibile ai vari elementi di giudizio risultanti dagli atti e su razionali valutazioni di essi; un giudizio, dunque, effettuato nell’ambito dei poteri discrezionali del giudice del merito ed a fronte del quale, in quanto obiettivamente immune dalle censure ipotizzabili in forza dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la diversa opinione soggettiva di parte ricorrente è inidonea a determinare le conseguenze previste dalla norma stessa. Le esaminate ragioni di censura sono, dunque, inammissibili ed infondate non solo sotto il profilo ex art. 360 c.p.c., n. 3 ma anche sotto quello ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Difatti la ricorrente pur denunciando, apparentemente, violazione di legge, chiede in realtà a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (Cass. n. 21381/2006).

Ed in ogni caso non vengono rispettate le condizioni previste dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 c.p.c., il ricorso va dichiarato inammissibile. In considerazione del fatto che il Ministero convenuto si è costituito depositando la procura per la discussione orale occorre provvedere sulle spese.

PQM

 

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2017

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