Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20486 del 06/10/2011

Cassazione civile sez. II, 06/10/2011, (ud. 08/07/2011, dep. 06/10/2011), n.20486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.P., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale in calce al ricorso, dagli Avv. Mariotto Segni e Giuseppe

Leone, elettivamente domiciliato nello studio dell’Avv. Mariotto

Segni in Roma, via S. Ignazio, n. 9;

– ricorrente –

contro

F.S., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del controricorso e di procura speciale notarile,

dagli Avv. IANNOTTA Gregorio, Carmine Bevilacqua e Massimo Petroni,

elettivamente domiciliato presso lo studio degli ultimi due in Roma,

via Antonio Bertoloni, n. 26/b;

– controricorrente –

e contro

FA.Co., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Italo Tomassoni,

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Domenico Gentile

in Roma, via Carlo Poma , n. 4;

– controricorrente –

e contro

L.M.;

– intimato –

e sul ricorso proposto da:

FA.Co., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Italo Tomassoni,

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Domenico Gentile

in Roma, via Carlo Poma , n. 4;

– ricorrente in via incidentale –

contro

A.P., F.S. e L.M.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2161 in data 21

maggio 2009.

Udita, la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’8

luglio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi gli Avv. Mariotto Segni e Gregorio Iannotta;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto dei

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza depositata l’8 ottobre 2002, il Tribunale di Roma – pronunciando sulla domanda proposta da F.S. nei confronti di Fa.Co., L.M. e A. P., tendente a sentire dichiarare che il dipinto del maestro Fo.Lu., sequestrato presso la sua abitazione su disposizione del pubblico ministero il 21 giugno 1999, dopo tre anni di pacifico possesso, a seguito di denuncia per truffa presentata dall’ A. nei confronti del L., era di sua proprietà per averlo acquistato dalla Fa., nonchè sulla domanda proposta dall’ A., tendente a sentire annullare la vendita del dipinto effettuata da L., con conseguente riconsegna del quadro – ha ritenuto viziato da malafede per colpa grave il trasferimento del quadro dalla Fa. all’attore F. e, accertata la proprietà dell’opera in capo all’ A., ne ha disposto la restituzione, salvo che il sequestro fosse necessario ai fini penali; ha condannato il F. alla refusione delle spese in favore dell’ A., compensandole invece tra l’attore e gli altri convenuti.

2. – La Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 21 maggio 2009, in accoglimento dell’appello del F., ha dichiarato il medesimo acquirente di buona fede e, quindi, proprietario del dipinto in contestazione;

ha condannato l’ A. a consegnare il detto dipinto al F.; ha condannato gli appellati Fa. e L., in solido, alla refusione, in favore del F., delle spese dei due gradi del giudizio; ha compensato tra l’appellante e l’ A. le spese dei due gradi del giudizio.

2.1. – La Corte territoriale ha fatto leva sulle seguenti argomentazioni:

– “rilevato che la Fa. era conosciuta dal F., che con la stessa aveva concluso in precedenza e senza alcun problema successivo l’acquisto di altri importanti quadri, onde naturalmente dava per garantita l’autenticità, nonchè la liceità dell’acquisto, essendo la Fa. inserita nell’ambiente dei mercanti d’arte e dei galleristi, tanto che aveva contatti anche con la casa d’aste Sotheby’s, non si ravvisa una colpa dell’acquirente, non essendovi alcuna prova che egli stesso avesse avuto contezza della provenienza illecita dell’opera acquistata”;

“non era sussistente nemmeno un ragionevole dubbio sulla provenienza illecita, proprio per la suddetta conoscenza personale con la venditrice e per il fatto che il prezzo richiesto dalla Fa. e pagato dall’appellante era effettivamente quello di mercato. Al prezzo infatti di L. 220 milioni il precedente proprietario A. aveva venduto il quadro al L., anche se questi aveva pagato con assegni a vuoto”;

“la presunzione di buona fede non è vinta dall’allegazione del mero sospetto di una situazione illegittima, essendo invece necessario che l’esistenza del dubbio promani da circostanze serie, concrete e non meramente ipotetiche, la cui prova deve essere fornita da colui che intenda contrastare detta presunzione legale di buona fede”;

“tale buona fede, in mancanza di prove contrarie – anzi risulta che la Fa., indagata successivamente per ricettazione a seguito della denuncia dell’ A. nei confronti del L., è stata assolta alla detta imputazione perchè il fatto non costituiva reato – deve quindi ritenersi sussistente, anche perchè il F. ha corrisposto l’effettivo prezzo di mercato per il dipinto del Fo. che andava ad acquistare”.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso l’ A., sulla base di due motivi.

Ha resistito il F..

La Fa. ha proposto controricorso e ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.

L’altro intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

4. – La causa è stata avviata in un primo tempo alla trattazione in camera di consiglio, sulla base di relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ.; indi, riuniti i ricorsi, la Corte, con ordinanza interlocutoria n. 2132 del 26 gennaio 2011, ne ha disposto il rinvio alla pubblica udienza, per la mancanza delle condizioni di evidenza decisoria di cui all’art. 375 cod. proc. civ..

L’ A. ed il F. hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in relazione agli artt. 2697 e 2735 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per omessa motivazione della sentenza impugnata, nella duplice manifestazione di difetto assoluto e di motivazione apparente, nonchè per motivazione insufficiente circa il pagamento del prezzo.

1.1. – Il motivo è inammissibile, perchè formulato senza il rispetto delle prescrizioni dettate dall’art. 366-bis cod. proc. civ..

Questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dall’art. 47 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, e le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente – al contrario di quanto ritiene il ricorrente – che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass., Sez. 3^, 30 dicembre 2009, n. 27680).

Nella specie il motivo di ricorso, formulato ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, è totalmente privo di tale momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo.

Anche a ritenere, per ipotesi, che il quesito di sintesi risieda nell’ultima frase di cui si compone il motivo (“Si deduce perciò la violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in relazione agli artt. 2697 e 2735 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per omessa motivazione della sentenza impugnata, nella duplice manifestazione di difetto assoluto e di motivazione apparente, nonchè per motivazione insufficiente circa il pagamento del prezzo”), ed anche a ritenere fatto controverso il pagamento del prezzo, la sintesi finale, tuttavia, omette totalmente di indicare le ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione, e quindi è assolutamente non rispettosa della prescrizione di legge.

Infine, va dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata dal difensore del ricorrente, in sede di discussione, con riferimento agli artt. 3, 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 7 – relativa all’art. 366-bis cod. proc. civ., nella parte in cui sancisce l’obbligo, a pena di inammissibilità, in ordine alla proposizione di ciascun motivo riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, di indicare (in modo sintetico, evidente ed autonomo, secondo l’univoca interpretazione della S.C.) chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria e le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, poichè la suddetta norma di cui all’art. 366-bis – come interpretata costantemente dalla stessa giurisprudenza di legittimità – non discrimina, in alcun modo, i cittadini, non lede il loro diritto di agire in giudizio (peraltro esercitato mediante la difesa tecnica di avvocati iscritti nell’apposito albo dei cassazionisti e, perciò, dotati di particolare competenza professionale) e, infine, non impedisce (nè rende estremamente difficile) il ricorso per cassazione (Cass., Sez. 3^, 30 dicembre 2009, n. 27680).

2. – Il secondo mezzo denuncia la violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, in relazione alla erronea applicazione degli artt. 1147 e 1153 cod. civ., nonchè della L. 20 novembre 1971, n. 1062, art. 2, nonchè per omessa applicazione circa tale ultima norma di applicazione vincolante. Con esso si formulano i seguenti quesiti:

“E’ giustificabile il F., tanto più per la sua qualità di collezionista d’arte, ad avere omesso di richiedere e farsi rilasciare dalla Fa. la copia fotografica dell’opera con retroscritta dichiarazione di autenticità e indicazioni della provenienza, recanti la sua firma?”; “Non ha mancato ai suoi doveri e specificamente all’adempimento delle formalità prescritte sempre dalla L. n. 1062 del 1971, art. 2, la Fa., venditrice, per incarico datole da L., nonchè a sua volta intermediaria nel commercio di opere d’arte e collaboratrice di importanti gallerie?”.

2.1. – Il motivo – ancorchè accompagnato da idoneo quesito di diritto, formulato nel rispetto delle prescrizioni dettate dal citato art. 366-bis cod. proc. civ. – è inammissibile per novità della questione prospettata.

Il ricorrente, per dimostrare la colpa grave dell’acquirente, che esclude la buona fede, deduce che egli avrebbe omesso di pretendere dalla controparte l’adempimento dell’obbligo nascente dalla L. n. 1062 del 1971, art. 2, che impone di porre a disposizione dell’acquirente gli attestati di autenticità e di provenienza delle opere d’arte e di rilasciare all’acquirente copia fotografica dell’opera con retroscritta dichiarazione di autenticità e indicazione della provenienza.

Sennonchè, il motivo di ricorso prospetta, con il richiamare la L. n. 1062 del 1971 al fine di trarre dalla sua inosservanza elementi denotativi della mala fede dell’acquirente, un tema di indagine nuovo, che -in base a quanto risulta dalla sentenza impugnata – non è stato trattato nei gradi di merito.

Le disposizioni della L. n. 1062 del 1971 sono state invocate per la prima volta nel giudizio di cassazione, e la loro applicabilità richiede nuovi accertamenti di fatto, ossia la verifica che la venditrice Fa. rientrasse nel campo di applicazione della legge (che non ha una portata generale, riferita ad ogni ipotesi di vendita di opera d’arte, ma si applica in quanto si sia di fronte ad una “attività di vendita al pubblico o di esposizione a fine di commercio”, come recita il comma 1, dell’art. 1).

Di qui, appunto, l’inammissibilità del motivo, perchè prospettante una questione giuridica nuova, implicante un accertamento di fatto, che non è stata trattata nella sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. 1^, 30 novembre 2006, n. 25546).

3. – L’unico motivo del ricorso incidentale della Fa. deduce violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, per violazione di norme di diritto e per omessa e/o insufficiente motivazione. Il quesito di diritto che lo correda concerne, in parte, una ragione di difesa dal ricorso avversario (“Può A.P. per la prima volta in sede di ricorso per cassazione attribuire responsabilità per violazione di legge a Fa.Co. con domande nuove che non hanno mai interessato le domande nei due precedenti gradi di giudizio?”); per l’altro, prospetta vizi in procedendo della sentenza impugnata (mancanza di corrispondenza tra chiesto e pronunciato;

difetto assoluto di motivazione nel rigetto dell’appello incidentale), laddove il motivo deduce una censura di vizi in iudicando, in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

In ogni caso, il ricorso incidentale è manifestamente infondato nel merito. La Corte d’appello ha infatti rigettato l’appello incidentale della Fa., che era volto a vedere eliminate dalla sentenza impugnate le frasi e gli apprezzamenti ritenuti lesivi della sua reputazione, dandone adeguata motivazione, avendo rilevato che “la Fa. non indica nemmeno quali sono le frasi che ha ritenuto offensive e di cui chiede lo stralcio”. D’altra parte, non è configurabile il vizio di extrapetizione, perchè la condanna alle spese costituisce una pronuncia accessoria e consequenziale alla definizione del giudizio e può essere emessa a carico della parte soccombente anche d’ufficio ed in difetto di esplicita richiesta della parte vittoriosa.

4. – Il ricorso principale è inammissibile.

Il ricorso incidentale è infondato.

Le spese giudiziali, liquidate come da dispositivo in favore di ciascun controricorrente, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale. Condanna il ricorrente principale al rimborso delle spese processuali sostenute da ciascun controricorrente, che liquida, per il F., in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge, e, per la Fa., in complessivi Euro 1.500,00 di cui Euro 1.300,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2011

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