Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20486 del 06/09/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20486 Anno 2013
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: MELONI MARINA

SENTENZA

sul ricorso 814-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

IMMOBILIARE DUE DI BENEDETTO VANARA & C. SAS in persona
del socio accomandatario e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDERICO
CESI 72, presso lo studio dell’avvocato BONACCORSI DI
PATTI DOMENICO, che lo rappresenta e difende unitamente

Data pubblicazione: 06/09/2013

all’avvocato FALETTI GIANCARLO giusta delega a margine;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 49/2007 della COMM.TRIB.REG. di
TORINO, depositata il 09/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MELONI;
udito per il ricorrente l’Avvocato GUIDA che ha chiesto
l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato BONACCORSI DI
PATTI che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che respinge
l’eccezione di inammissibilità, nel merito rigetto del
ricorso.

udienza del 09/04/2013 dal Consigliere Dott. MARINA

Svolgimento del processo

L’agenzia delle Entrate di Torino ha notificato
P

C. s.a.s. un avviso di accertamento in relazione
alla mancata emissione di autofattura, ai sensi
dell’art.17 terzo comma DPR 633/1972, a seguito di
prestazioni di consulenza tecnica e commerciale
espletate nel 1999 nei suoi confronti da una
società spagnola e da questa regolarmente
fatturate.
Avverso l’avviso di accertamento la società
presentava ricorso chiedendone l’annullamento alla
Commissione Tributaria provinciale di Torino la
quale, con sentenza nr.113/24/05 del 18/1/2006,
accoglieva il ricorso ritenendo la violazione di
natura meramente formale.
Su ricorso in appello proposto dall’Ufficio delle
Entrate, la Commissione tributaria regionale del
Piemonte, con sentenza nr.49/31/07 depositata in
data 9/11/2007, confermava la sentenza di primo
grado. Avverso la sentenza della Commissione
Tributaria regionale del Piemonte ha proposto

1

alla società Immobiliare Due di Bendetto Vanara &

ricorso per cassazione

l’Agenzia

delle

Entrate con tre motivi, ha resistito la società con
controricorso e memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

lamenta nullità della sentenza per mancanza di
motivazione ex art. 360 nr.4 cpc in quanto il
giudice di appello ha motivato la sentenza
richiamandosi a quella di primo grado senza
pronunciarsi sui motivi e le censure proposte.
La censura è infondata. Infatti la sentenza
impugnata risulta conforme al disposto dell’art.
36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in tema
di contenzioso tributario, secondo cui la
sentenza deve contenere, fra l’altro, la
“concisa esposizione dello svolgimento del
processo” e “la succinta esposizione dei motivi
in fatto e diritto”- ed infatti contiene il
minimo indispensabile necessario a dar conto del
rigetto dell’appello attraverso la concisa
esposizione dei fatti rilevanti della causa,
rendendo possibile l’individuazione del “thema
decidendum” e delle ragioni che stanno a
fondamento del dispositivo. Deve essere
precisato

che

l’obbligo

di

esame

e

di

motivazione del giudice non implica risposta _>er
2

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente

ad

ogni

singola

eccezione

specie

se la domanda non espressamente esaminata

i

I

,

risultA incompatibile con l’impostazione logica
e giuridica della pronuncia. A tale proposito è
stato affermato che (Sez. 2, Sentenza n. 20311

vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza
di un’espressa statuizione del giudice, ma è
necessario che sia stato completamente omesso il
provvedimento che si palesa indispensabile alla
soluzione del caso concreto: ciò non si verifica
quando la decisione adottata comporti la
reiezione della pretesa fatta valere dalla
parte, anche se manchi in proposito una
specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una
statuizione implicita di rigetto quando la
pretesa avanzata col capo di domanda non
espressamente esaminato risulti incompatibile
con l’impostazione logico-giuridica della
pronuncia.”
2. Con il secondo e terzo motivo di ricorso

del 04/10/2011) “per integrare gli estremi del

la

ricorrente Agenzia delle Entrate lamenta la
violazione e falsa applicazione del D.P.R. n.
633 del 1972, art. 17 comma 3 e 7 comma 4, e
D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 44, in
relazione all’art. 360,comma 1, nn. 3 cpc nonché

3

\Y‘r\

l’omessa motivazione
controverso

e

su

decisivo

un

consistente

fatto
nella

“neutralità dell’operazione” in relazione
all’art. 360 n.5 cpc in quanto la CTR ha
affermato che non sussiste evasione d’imposta in

fatturazione e versamento del tributo e che
l’operazione è fiscalmente neutra.
3. I due motivi, da trattare congiuntamente, sono
infondati. Infatti è stato più volte affermato
da questa Corte che, nel meccanismo del reverse
change, l’inosservanza da parte del contribuente
delle formalità prescritte dalla normativa
nazionale, ossia dell’obbligo di emettere
autofattura, non può privarlo del suo diritto a
detrazione, giacché il principio di neutralità
fiscale esige che la detrazione dell’IVA a monte
sia accordata se gli obblighi sostanziali siano
stati soddisfatti, anche se taluni obblighi
formali siano omessi dai soggetti passivi

caso di mancato adempimento all’obbligo di auto

(essendo tali, in presenza di reverse change, i
cessionari o committenti): in tal senso, Corte
di giustizia UE, sent. 8.5.2008, in cause
riunite C-95/07, C-96/07 le cui massime, per
quanto interessa, sono le seguenti:

4

g”-

”L’inosservanza da parte di un soggetto passivo
delle formalità imposte da uno Stato membro in
applicazione dell’art. 18, n. l, lett. d), della

detrazione posto che, in forza del principio di
neutralità fiscale, la detrazione dell’imposta sul
valore aggiunto a monte deve essere accordata se
gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se
taluni obblighi formali sono stati omessi dai
soggetti passivi”; “I provvedimenti adottati dagli
Stati membri affinché i soggetti passivi assolvano
agli obblighi di dichiarazione e di pagamento o
agli altri obblighi che essi ritengano necessari ad
assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad
evitare le frodi, non possono essere utilizzati in
modo tale da rimettere sistematicamente in
questione il diritto alla detrazione dell’imposta
sul valore aggiunto. Orbene, una prassi di
rettifica e di accertamento che sanziona
l’inosservanza, ad opera del soggetto passivo,
degli obblighi contabili e di dichiarazione con un
diniego del diritto a detrazione, eccede
chiaramente quanto necessario per conseguire
l’obiettivo di garantire il corretto adempimento di
5

sesta direttiva non può privarlo del suo diritto a

tali obblighi ai sensi

dell’art. 22,

n.

7, della sesta direttiva, posto che il diritto
comunitario non viet

ati mem

VIrrogapé, se del caso, 1/un’ammenda o una sanzione
dell’infrazione,

proporzionata
allo

scopo

alla
di

gravità
sanzionare

l’inosservanza dei detti obblighi”.
Conseguentemente, secondo Cass. V sezione nr. 10819
del 5/5/2010 “qualora risulti che nel caso
concreto furono adempiuti (sia pure in modo
formalmente irregolare) gli obblighi sostanziali di
assunzione del debito IVA, mediante annotazione
della fattura nel registro degli acquisti, deve
essere quindi riconosciuto il diritto alla
detrazione e la contribuente non sarà tenuta a
versare alcuna somma all’erario a titolo d’imposta
quale effetto dell’accertamento. In secondo luogo,
qualora gli obblighi sostanziali siano stati
assolti, sia pure in forma irregolare (non secondo
il meccanismo dell’inversione contabile), la
sanzione è dovuta nella misura stabilita, per tale
ipotesi, dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art.
6, comma 9 bis, norma introdotta dalla L. 24
dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 155, entrata
in vigore il 1.1.2008, applicabile al caso in
esame, in virtù del principio di legalità di cui

6

pecuniaria

alla

VSENTE DA REGISTRAZIONiz:
Al SENSI DEL,
2’I93
N. 131 TA
– N. 5
MATERIA TXIBUTAKIA

disposizione

contenuta

nel

D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 3”.
Per quanto sopra deve essere respinto il ricorso
proposto e l’Agenzia delle Entrate soccombente deve

P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto e condanna l’Agenzia
delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio
che si liquidano complessivamente in e 2.500,00.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della
V sezione civile il 9/4/2013
Il consigliere estensore

Il Presidente

essere condannata alle spese di giudizio.

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