Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20482 del 11/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 11/10/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 11/10/2016), n.20482

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25506/2015 proposto da:

A.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI

114/B, presso lo studio dell’avvocato GIOVAMBATTISTA FERRIOLO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERDINANDO EMILIO

ABBATE giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 498/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del

16/03/2015, depositato il 19/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’08/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Roda Ranieri (delega verbale avvocato Ferdinando

Abbate) difensore della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

IN FATTO

Con ricorso del 17.1.2011 A.I. adiva la Corte d’appello di Perugia per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, in relazione all’art. 6 CEDU, per la durata irragionevole di altro precedente procedimento di equa riparazione instaurato innanzi alla Corte d’appello di Roma.

Resistendo il Ministero, la Corte d’appello perugina con Decreto emesso il 19.3.2015 accoglieva la domanda, per quanto di ragione, e condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 1.416,67. Stimata in tre anni la durata ragionevole del procedimento presupposto, articolatosi nel grado di merito, nel giudizio di legittimità e nel susseguente giudizio di rinvio; e valutata la durata eccedente in tre anni e cinque mesi, la Corte territoriale liquidava la somma anzi detta in ragione di un moltiplicatore annuo di Euro 500,00. Liquidava, poi, le spese in Euro 358,00, di cui Euro 8,00 per spese vive, oltre accessori, applicando il D.M. n. 55 del 2014.

Per la cassazione di tale decreto A.I. propone ricorso, affidato a un solo motivo, ha fatto seguito il deposito di memoria.

Il Ministero della Giustizia è rimasto intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 91 c.p.c., dell’art. 2233 c.c., comma 2 e del D.M. n. 55 del 2014, in quanto le spese sono state liquidate in misura inferiore ai compensi minimi previsti per lo scaglione di valore compreso tra Euro 1.100,01 e Euro 5.200,00.

2. – Il motivo è fondato.

Va premessa l’applicabilità alla fattispecie del D.M. n. 55 del 2014, essendo stata ultimata l’attività difensiva sotto l’impero di tale decreto (cfr. per l’affermazione del principio, sebbene riferito al D.M. n. 140 del 2012, Cass. S.U. n. 17405/12 e Cass. n. 2748/16).

Ciò posto, va osservato che indipendentemente dalla soluzione del problema se anche sotto la vigenza del nuovo D.M. permanga la regola dettata dal D.M. n. 140 del 2012, art. 1, comma 7, in base al quale in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, sono vincolanti per la liquidazione stessa, il risultato cui quest’ultima perviene incontra un limite nell’art. 2233 c.c., comma 2, che preclude di liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione (cfr. Cass. n. 25804/15, che riferisce tale limite alla facoltà, riconosciuta al giudice dal D.M. n. 140 del 2012, art. 9, di ridurre fino alla metà il compenso del difensore per l’opera prestata nelle controversie ex lege n. 89 del 2001). Il che consente di affermare che, salvo particolari ragioni, il giudice debba di regola attenersi al campo di variazione stabilito dalla fonte regolamentare, che tali esigenze di decoro per definizione soddisfano.

2.1. – Nello specifico, la liquidazione minima operabile in base al D.M. n. 55 del 2014, per le controversie innanzi alla Corte d’appello, il cui valore sia compreso come nel caso in esame tra Euro 1.101,00 e Euro 5.200,00 (in applicazione del criterio, non controverso, del decisum), è pari a Euro 1577,00, così specificato: 255,00 per la fase di studio della controversia, 255,00 per quella introduttiva di giudizio, 662,00 per quella di trattazione (nella quale rientra l’esame della costituzione dell’altra parte: v. Cass. n. 2311/15, non massimata) e 405,00 per quella decisionale. Applicando la deduzione del 50% consentita dal D.M. n. 140 del 2012, art. 9, si ottiene, infine, l’importo di Euro 788,50, che è ben superiore a quanto liquidato dal giudice di merito.

3. – Il decreto impugnato va dunque cassato e, decidendo la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, seconda ipotesi, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, in favore della parte odierna ricorrente va liquidata a titolo di spese la somma di Euro 788,50, cui vanno aggiunti Euro 8,00 per spese vive (come liquidate dalla Corte territoriale e su cui non v’è censura), e così in totale Euro 796,50; il tutto oltre rimborso generale forfettario ed accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.

4. – Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo e dimezzate anch’esse D.M. n. 140 del 2012, ex art. 9, seguono la soccombenza del Ministero della Giustizia, sempre con distrazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero della Giustizia alle spese del grado di merito, che liquida in Euro 796,50, e a quelle del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, in entrambi i casi oltre rimborso generale forfettario ed accessori di legge, il tutto con distrazione in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2016

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